C'è sempre una dose di pacata timidezza nelle parole di Luca Marinelli, attore impetuoso sul grande schermo, quanto garbatamente introverso nel corso di un'intervista. Se la sua dote attoriale è evidente, quasi sfacciata, la persona non si espone mai più del dovuto, rintanata in una profonda tana di umiltà. Ma quando nello stesso anno sei stato il vorace Cesare di Non essere cattivo e il verace Zingaro apprezzato in Lo chiamavano Jeeg Robot, devi fare i conti con la ribalta, adeguarti agli occhi addosso e uscire, anche solo per un attimo, dal tuo guscio di preziosa normalità. Due ruoli borderline che gli sono valsi una doppia candidatura ai prossimi David di Donatello (come migliore attore protagonista e non protagonista), ma soprattutto la stima di un pubblico che ha ritrovato il talento schivo di un ragazzo modesto.
Probabilmente il Marinelli più simile a quello vero lo abbiamo visto in Tutti i santi giorni di Paolo Virzì; insicuro e impacciato, consapevole dei suoi mezzi senza mai ostentare una falsa sicurezza. Arrivato a Bari in occasione del Bif&st 2016, dove è stato premiato con il Premio Vittorio Gassman per la sua prova nel film di Claudio Caligari, l'attore romano ha ripercorso questa stagione cinematografica felice, vissuta in provincia, ai margini, a lottare con tutte le sue forze per emergere da una vita squallida.
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Quel che è di Cesare
Un incontro durato poco meno di un'ora e una parola a farla da protagonista: fortuna. Luca Marinelli concede al caso il merito di un successo confermato dalla folla eterogena che lo attende: le ragazzine affascinate dallo Zingaro e i sessantenni colpiti dal suo scarno Cesare. Ed è proprio dal protagonista di Non essere cattivo che parte il ricordo di un'annata indimenticabile: "Non posso che essere grato a Claudio, un uomo di cinema, fatto di cinema. Quando ho letto la sua sceneggiatura sono stato talmente rapito dalla storia da aver avuto il fiatone arrivato alle ultime pagine. Però devo ringraziare anche Valerio Mastandrea che ha insistito per farmi fare il provino e Alessandro Borghi che è stato un grande compagno. Per il resto ho solo tentato di tenere il passo di un film bellissimo, di starci dentro, insomma". Tra i retroscena più curiosi emerge quello dei primi provini del film, quando Marinelli e Borghi provavano a ruoli invertiti: "Nei primi due provini io ho portato Vittorio, ma mentre leggevo la sceneggiatura, pensavo solo e soltanto a quanto fosse bello il personaggio di Cesare. Poi Claudio ci ha invertiti e la cosa ha funzionato subito, tant'è che io ho avvertito immediatamente una connessione fortissima con Alessandro anche solo guardandolo negli occhi.
Un altro aspetto importante del film è stata la grande attenzione all'aspetto fisico. Non essere cattivo è stata una prova dura perché ci è stato richiesto di dimagrire, infatti io ho perso 8 chili. Soltanto per La solitudine dei numeri primi, sono ingrassato un bel po', avevo lavorato così tanto sul corpo. Credo sia un aspetto fondamentale perché il cinema rispetto al teatro è più aggressivo, la camera ti sta addosso e bisogna tener conto di molti dettagli". Il ricordo fugace del suo esordio nel film di Saverio Costanzo fa scaturire anche un'interessante riflessione sui tempi della sua carriera: "Quello è stato un film forte, un inizio segnato da un personaggio particolare. Forse è stato un bene stare fermo per un po', perché ho avuto tempo per digerire il mio esordio e ricominciare la mia carriera quasi da zero".
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Er botto dello Zingaro
A chi gli chiede come mai Marinelli sia così portato per le zone d'ombra dell'animo umano, lui risponde così: "In realtà non mi sento così adatto ai ruoli da cattivo e Virzì se ne è accorto. Certo essere un antagonista è divertente perché ti permette di esplodere e di dare sfogo alla tua parte più oscura. Sapete, forse la mia insegnante delle elementari ci avevo visto giusto. Avevo 8 anni e durante le prove di una recita mi volle far leggere una poesia. Io lo feci e lei rimase impressionata da quanto fossi stato bravo a rendere la tristezza del testo". Messi da parte gli aneddoti nostalgici, arriva il momento di fare i conti con un personaggio subito cult e memorabile: lo Zingaro di Lo Chiamavano Jeeg Robot. Un concentrato di isteria e alienazione, uno scarto della peggiore televisione finito nella malavita capitolina, ossessionato da un costante e frustrato desiderio di fama. "Devo dire che anche in questo caso la sceneggiatura diceva già tutto del film. Il personaggio dello Zingaro era descritto sin nei minimi dettagli, ben strutturato ed emergeva subito il dramma lacerante che viveva dentro di sé. Una volta sul set, all'inizio, tendevo ad essere molto teatrale, fuori dalle righe ed esasperato. In questo il lavoro registico di Gabriele Mainetti è stato fondamentale, perché lui mi riportava sempre in una dimensione più credibile e terrena, con i piedi per terra. Lui mi faceva restare a Tor Bella Monaca. Le ispirazioni le ho cercate dentro due grandi cattivi della storia del cinema, due personaggi che mi hanno davvero inquietato da spettatore: il Joker di Heath Ledger e il grande Antony Hopkins de Il silenzio degli innocenti".
Adesso, dopo due film così diversi e così ugualmente fortunati, è facile immaginare un attore invaso di nuove proposte e alle prese con strazianti dilemmi professionali, ma, come sempre, Marinelli tende a smitizzare, a semplificare: "Mah, non è che riceva così tanti copioni. Come li scelgo? Semplicemente quando mi piacciono, e me ne accorgo quando inizio a leggerli per casa ad alta voce. La mia guida sono i dubbi. Sono sempre assalito dalla paura e a volte, con la paura, si fanno le cose con attenzione". E allora, guardando alla carriera di questo grande attore, non possiamo che auguragli ancora tanti anni pieni di timore e di tanti altri, meravigliosi personaggi.
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