Locarno 2013: silenzio, parla Werner Herzog!

L'arte, l'umanità, il complicato rapporto con i suoi attori, il documentario, le nuove tecnologie. Werner Herzog, Pardo d'onore a Locarno, ci illustra la sua visione del cinema e del mondo.

Regista nel DNA, il grandissimo Werner Herzog non ha bisogno di moderatori. Gli bastano un microfono e una platea per fare il bello e il cattivo tempo sfoderando la sua naturale autorità teutonica, gestendo tempi e modi della conversazione, passando la parola e cedendo il proprio, di microfono, quando necessario. Herzog non è solo un maestro del cinema mondiale, ma è anche capace di humor nel commentare le proprie esperienze, facendo riferimento alla difficoltà a mediare tra un'idea di cinema pura e rigorosa e le pressanti richieste dei produttori. Il regista di Grido di pietra e Fitzcarraldo si prepara a una serata di fuoco in Piazza Grande dove domani sera riceverà il Pardo d'onore Swisscom, ma l'occasione è ghiotta per riflettere sul suo costante passaggio tra fiction e documentario, ambito in cui nel corso degli anni ha prodotto alcune pietre miliari del genere che rispecchiano i suoi valori etici e il suo sguardo capace di penetrare a fondo nell'animo umano.

La sua carriera cinematografica si è sviluppata in parallelo con quella documentaristica. Quale è il punto di contatto più forte tra fiction e documentario?
Werner Herzog: Il cinema, fictional e non, dipende soprattutto dal casting. Nel documentario ho sviluppato un sesto senso che mi permette di aver a che fare con ogni tipo di persona capendo immediatamente quelli adatti a comparire nel film. Sono piccoli dettagli che mi permettono di scegliere chi intervistare. A volte è necessario lasciare solo il personaggio e fare in modo che si esprima liberamente. Pensando alla fiction mi viene in mente Viva Zapata!, uno dei miei film preferiti. Il modo il cui Marlon Brando introduce il suo personaggio è unico.

Quando ha realizzato Fitzcarraldo quali difficoltà ha trovato a girare nella giungla?
Potete immaginare le complessità dovute alla location. Durante la lavorazione avevamo due navi gemelle, perché una doveva dirigersi verso le rapide e cozzare contro gli scogli. Non potevamo perdere la nave e abbiamo tentato disperatamente di evitare che si rompesse perché altrimenti avremmo dovuto aspettare altri sei mesi per girare. Avevamo alcuni uomini sulla nave e altri tre sugli scogli. Alla fine delle riprese ci siamo accorti che ci eravamo dimenticati un membro della troupe sulle rocce e ci è voluta un'altra mezza giornata per recuperarlo. Un altro problema sono stati i piranha che hanno morso uno dei cameramen, ma di solito non sono abituato a lamentarmi delle condizioni del set.

Sappiamo che anche la scelta degli attori non è stata facile.
Di solito faccio il casting dopo aver preparato gli altri elementi del film. Per Fitzcarraldo avevo scelto Jason Robards e Mick Jagger, ma quando eravamo a metà lavorazione Robards si ammalò. Vista la gravità della situazione lo abbiamo rimandato indietro e non gli abbiamo permesso di tornare nella giungla perché era un grosso rischio. Tra le varie alternative è saltata fuori l'ipotesi Klaus Kinski, ma io non pensavo che fosse in grado di portare a termine questo lavoro perché è un velocista e dopo 100 metri collassa. L'alternativa era che interpretassi Fitzcarraldo io stesso, ma alla fine la scelta è caduta su Kinski.

Cosa pensa della diffusione delle tecnologie leggere e dell'influenza che avranno sull'industria cinematografica nei prossimi anni?
Al mondo ci sono circa tre miliardi di persone che posseggono cellulari capaci di girare un film. Internet ha cambiato le cose rispetto al passato quindo ora quasi tutti sono in grado di fare un film. L'importante è sapere cosa esprimere. A questo punto ognuno deve essere abbastanza coraggioso da sperimentare e proporsi. Tentate di trovare una vostra visione personale. Non ci sono più scuse perché con pochissimi soldi ognuno di noi può fare qualcosa. Tutto dipende tutto dalla creatività individuale.

Di recente l'abbiamo vista in veste di interprete in Jack Reacher - La prova decisiva.
Io adoro tutto ciò che ha a che fare con il cinema: dirigere, scrivere, recitare, comporre musiche, occuparmi della produzione e del marketing. Per Jack Reacher la produzione aveva bisogno di qualcuno che risultasse spaventoso senza dire niente. Cruise e McQuarrie mi hanno voluto per questa ragione specifica. Mi hanno pagato bene per essere spaventoso e io ho fatto il possibile. A me viene molto naturale, non ho grandi difficoltà.

Sentendola parlare si percepisce la passione per il suo lavoro che l'ha spinta ad accettare lavori insospettabili, come il doppiaggio de I Simpson.
A dire la verità quando ho accettato non sapevo molto de I Simpson, ma questa è stata l'apoteosi della mia partecipazione alla cultura americana. Io conoscevo la serie solo perché avevo visto le immagini e i disegni su numerose riviste perciò pensavo che fossero fumetti. Quando mi hanno invitato a parlare sono rimasto stupito.

In molti documentari ha scelto di utilizzare la tecnologia digitale. Come mai questa decisione?
In realtà cerco sempre di girare in pellicola per principio, ma ci sono dei film impossibili da girare in pellicola come Death Row o Cave of Forgotten Dreams. Ogni film richiede un tempo diverso di lavorazione. Per girare Cave of Forgotten Dreams ci sono voluti sei giorni, ma potevamo lavorare solo quattro ore al giorno, Potevo avere solo tre persone con me e una attrezzatura ridottissima. Devi imparare a fare i conti con quello che ti capita, ma ogni film richiede il suo tempo. My Son, My Son, What Have Ye Done è stato montato in cinque giorni, mentre per il remake de Il cattivo tenente la produzione esigeva che girassi le coperture.. Io conoscevo solo le coperture della macchina, ma mi chiedevano di girare inquadrature dall'alto, dal basso, totali, dolby... non sapevo a cosa servisse. Io giro solo quello che mi serve, non un minuto di più. Occorre tenere sotto controllo il set, anche nei momenti in cui non si gira. Io ho sempre un occhio sull'attrezzatura e esigo che walkie talkie e cellulari siano usati a distanza per non interferire con il set. Sul set di Jack Reacher c'erano 250 persone sedute intorno a noi intente a parlare al cellulare, ma se fosse stato il mio set li avrei mandati a metri e metri di distanza. Io sono sempre l'ultimo a spostarsi al momento del ciak, sono colui che sta tra la troupe e le attrezzature e questo è ciò che dovrebbe sempre fare un regista. Non devi essere un dittatore, ma mantenere il controllo della situazione

Grizzly Man, con il suo tema scottante, pone questioni complesse sulla distanza e vicinanza da tenere con il soggetto.
Qui entriamo nel campo dell'etica. Io ho affrontato un argomento molto noto ai media. Gli attacchi dei grizzly erano così violenti che gli operatori non avevano nememno tempo di togliere l'obiettivo per mettere al riparo le attrezzature. Avevo in mano anche del materiale video che mostra gli ultimi sei minuti di vita di Grizzly Man, ma mi sono rifiutato di usarli. Credo nella dignità e nella privacy della morte.

Le capita di scrivere sceneggiature per documentari?
Di solito non scrivo sceneggiature per i documentari. Mi capita solo se devo chiedere finanziamenti alle tv e in quel caso scrivo brevi trattamenti.

Quando gira i suoi documentari mostra il girato ai protagonisti?
Se lavori con un uomo come Kinski, mai fargli vedere un solo secondo di girato altrimenti sarà la tua fine.

C'è un percorso preciso che guida le sue scelte ogni volta che pensa a un nuovo progetto?
Io non progetto la mia carriera, ma spesso sono i progetti che mi piovono addosso. E' capitato per Grizzly Man che mi è stato proposto da un produttore che vive a pochi km da me. Per quanto riguarda il mio mediometraggio contro l'uso degli sms in macchina, One Second to the Next, l'idea è nata dall'osservazione della realtà. Quando guardi nei cortili della scuola i ragazzi quasi non si parlano perché sono intenti a inviare messaggi. Lo stesso accade nelle famiglie che vanno al ristorante. Ho intuito che qualcosa di veemente si sta verificando nella nostra società e per questo ho deciso di girare questo progetto.

Quale è il suo segreto per produrre un cinema così potente e comunicativo?
Non ci sono segreti se non conoscere il cuore degli uomini. In My Son My Son, What Have Ye Done c'è una scena che se avessi proposto a uno studio, anche indipendente, avrebbero immediatamente chiamato la sicurezza per farmi ricoverare. L'eccentricità fa paura, ma se avete qualcosa di molto significativo che volete inserire in una storia, anche se non è perfettamente in linea con il resto, fatelo. Non seppellite le vostre fantasie, ma trovate il modo di esprimerle. My Son My Son, What Have Ye Done è il mio film più strano, è ricco di immagini che sgorgano dall'incoscio. Starà poi al pubblico dare senso a tutto ciò.