Recensione Questione di tempo (2013)

Un film con due anime, anzi, due film diversi. Il primo è una commedia british scatenata, romantica e divertentissima; il secondo un melodramma lento, ripetitivo e alla lunga un po' floscio.

La vita, soprattutto

Questione di tempo è un'occasione mancata, ma solo a metà. Per il suo autore Richard Curtis questo è solo il terzo lungometraggio da regista che arriva dopo due opere di culto come Love Actually - L'amore davvero e I love radio rock, ma Curtis è uno degli sceneggiatori brillanti più apprezzati della scena inglese. Quando la sua verve comica è al top sono fuochi d'artificio e questo si verifica puntualmente nella prima parte di Questione di tempo. Un film con due anime, anzi, due film diversi. Il primo è una commedia british scatenata, romantica e divertentissima; il secondo un melodramma lento, ripetitivo e alla lunga un po' floscio. Centoventitré minuti sono decisamente troppi, soprattutto quando, dopo un primo tempo che strappa risate in ogni scena, i momenti divertenti scompaiono di colpo per lasciar posto alla malinconia. Di chi è la responsabilità? Probabilmente dei viaggi nel tempo.


Spieghiamoci meglio. Questione di tempo mixa quell'irresistibile sarcasmo britannico che deriva da una percezione della realtà unica a un tema fantastico come quello dei viaggi nel tempo. A possedere questa dote è l'imbranato Tim che, mentre è alla ricerca disperata di una fidanzata, trova invece un superpotere ereditato dal ramo maschile della sua famiglia. E' l'ironico padre, interpretato dal mitico Bill Nighy - attore che in un film di Curtis non può proprio mancare - a fornirgli le 'istruzioni per l'uso' dell'incredibile capacità (come apprendiamo immediatamente "uccidere Hitler non è un'opzione"). Superfluo specificare come Tim metterà a frutto la sua dote speciale per controllare l'attitudine alle gaffe cosmiche con le ragazze e, in poche parole, a trovare l'anima gemella. Anima gemella che, in presenza di viaggi nel tempo, non poteva che essere l'americana Rachel McAdams. A brillare nel cast, grazie al phisique du role e ai dialoghi energici e intelligenti di Richard Curtis, è soprattutto il rosso Domhnall Gleeson, i cui goffi tentativi di seduzione e gli approcci totalmente sbagliati con il prossimo sono fonte di continua ilarità.

Come da tradizione, nei film di Curtis il cuore del film è costituito da un matrimonio da tregenda dopo il quale, inaspettatamente, il ritmo crolla. Il plot si fa drammatico, i viaggi nel tempo diventano un mezzo necessario, e al tempo stesso, un ostacolo, allo sviluppo familiare. Man mano che la vita, con le sue gioie e i suoi dolori, va avanti sembra non esserci più spazio per la magia. Probabilmente la voglia di Richard Curtis di rimettersi dietro la macchina da presa combacia con la necessità di fare un discorso più personale, di elevare il tono. Così i comportamenti inappropriati e le battute colorite (ma mai volgari) lasciano il posto a una riflessione sul senso della famiglia e della vita. Scelta comprensibile, e da un certo punto di vista ammirevole, ma rinunciare alla sua verve brillante è davvero un peccato anche perché, quando il ritmo rallenta, i difetti saltano impietosamente agli occhi. Inoltre l'irresistibile talento comico di Bill Nighy non viene sfruttato per niente. Anche l'uso della colonna sonora, eccezionale come sempre nelle pellicole di Curtis (Cure, Sugarbabes e Nick Cave, solo per citarne alcuni), scandisce chiaramente due momenti diversi visto che nella seconda parte i brani pop cedono il passo a composizioni malinconiche. Alla fine Questione di tempo ci lascia con l'amaro in bocca pensando a ciò che sarebbe potuto essere, ma per fortuna le scene di culto non mancano. Quando, durante la visione, sentirete le note de Il mondo di Jimmy Fontana ripensate a queste parole.

Movieplayer.it

3.0/5