Lo scontro, la recensione: la carne sul fuoco è troppa. O troppo poca?

La recensione di Lo scontro: ci aspettavamo una serie più audace (del resto, è un prodotto A24), e invece sembra che lo show non voglia osare più di tanto, restando bloccato in una dimensione generalmente poco coinvolgente e poco visionaria (riprendendosi solo sul finale). Su Netflix.

Lo scontro, la recensione: la carne sul fuoco è troppa. O troppo poca?

Siamo finiti in tilt come fossimo un flipper sconquassato. La strana sensazione che si aggirava nell'aria sembra ormai essere una certezza. E questa potrebbe essere l'ennesima conferma di un postulato stilato negli ultimi anni. La Golden Age della serialità televisiva si è esaurita, in funzione di prodotti "appena" interessanti, senza che abbiano la necessaria forza dirompente tipica del linguaggio seriale. O almeno di quel linguaggio originale e limpido che si è rimpallato negli ultimi dieci anni, spostando la nostra attenzione. Gli esempi sono sottintesi ed è inutile fare paragoni, ma è forse netto il cambio di passo: dietro le seconde, terze o quarte stagioni dei grandi titoli, oppure dietro sparute eccezioni (ci vengono in mente The Bear, Scissione, The Last of Us), il protagonismo incondizionato delle serie pare aver perso propulsione (restano invece abbastanza floride le miniserie antologiche). Non vogliamo generalizzare e, in un certo senso, la soggettività invade il giudizio critico, ma parafrasando l'emblematica frase pronunciata nel sesto episodio dalla protagonista, interpretata da Ali Wong, potremmo dire che "tutto quanto svanisce, niente dura per sempre. Siamo serpenti che si mangiano la coda". Giust'appunto.

Beef 101 Unit 00151Rc2
Lo scontro: Steven Yeun in una scena

Perché una certa delusione nei confronti de Lo scontro (ma il titolo originale, ben più efficace è Beef) è direttamente proporzionale alla speranza che nutrivamo nei suoi confronti. Eppure, almeno fino alla settima puntata (sono dieci in tutto), la serie creata da Lee Sung per Netflix non pare rispecchiare il suo background produttivo legato all'estro originale, figurativo e fluido di A24, tra l'altro fresca di tripudio con Everything, Everywhere All at Once e a suo agio anche tra le serie tv (basti vedere Euphoria). Siamo fan di prim'ora, e non neghiamo il nostro sbilanciamento a favore della distribuzione/produzione newyorkese, e magari anche per questo confidavamo in una serie che, dai presupposti, appariva esplosiva, anarchica, cattiva, vitale come sono in parte le ultime due puntate che chiudono lo show. Perché non c'è nulla di più interessante che affrontare un racconto partendo da un pretesto trascurabile che, via via, monta e diventa letteralmente ingestibile. Così ingestibile da travolgere tutto e tutti, prendendo le redini delle nostre vite. Come accade a Danny e ad Amy, non più padroni del proprio destino dopo il loro involontario contrasto.

Lo scontro: la trama. Maledetto il giorno che t'ho... suonato

Beef 101 Unit 00199Rc
Lo scontro: Ali Wong in una scena

Ma chi sono Danny (Lee Sung) e Amy (Ali Wong)? Lui è un sudcoreano tuttofare ossessionato da Burger King. Al limite di un esaurimento nervoso e sfinito da un mondo costantemente avverso. Lei, è un'imprenditrice in un negozio di piante extra luxury, con un matrimonio che non va come dovrebbe. Entrambi si sentono schiacciati, immersi, asfissiati. Pronti all'implosione. A tal punto che un nonnulla stravolgerà le loro vite. Danny, in retromarcia nel parcheggio di un negozio di ferramenta, sfiora il SUV bianco di Amy. La donna si attacca al clacson per diversi secondi, prima di sfrecciare via. I vetri sono scuri, ma dal finestrino spunta un dito medio. Per Danny, sull'orlo del baratro, è la goccia, il cavillo, la scintilla. Stanco di una vita che lo rilega ai margini, si getta a capofitto in un inseguimento automobilistico tra i sobborghi limpidi di Los Angeles, credendo erroneamente (e per cliché di genere) che alla guida ci sia un uomo.

Beef 102 Unit 03355Rc
Lo scontro: un momento della serie

Invadendo un giardino ben curato, Amy ha la meglio, sfuggendo senza che Danny sappia chi sia, pur temendo di essere riconosciuta dai vicini di casa che potrebbero far crollare il suo intonso ed effimero mondo. Tuttavia, qualcosa si è rotto, e la nevrotica connessione tra Danny ed Amy segue direttamente l'elettrizzante incipit della serie: la questione non è chiusa e i due, sfogando i loro repressi istinti, si daranno la caccia oltrepassando qualunque limite, coinvolgendo in modo subdolo le rispettive famiglie, a cominciare dall'indolente fratello di Danny, Paul (Young Mazino), o George (Joseph Lee), lo stantio marito di Amy che, intanto, fantastica su Mia (Mia Serafino), collega di sua moglie.

Gli 80 migliori film da vedere su Netflix

Identità, rabbia e depressione per una serie incredibilmente poco audace

Beef 102 Unit 00078Rc
Lo scontro: una foto di scena

Una tagline generale che mette uno-contro-uno due personaggi più simili di quanto si possa pensare, ma non necessariamente interessanti nell'universo generale, che esaurisce efficacia fino alla tardiva ma notevole conclusione. Ecco uno dei problemi de Lo Scontro: per buona parte della serie, non abbiamo nessun trasporto nei confronti di Danny e di Amy. Non perché siano respingenti; non perché siano all'apparenza sgradevoli o egoisti, ma perché (ci) risultano totalmente indifferenti, senza riuscire a stabilire con loro nessun tipo di rapporto, positivo o negativo che sia. Nonostante lo script abbia lo spunto giusto e, inizialmente, la forza dirompente di stupirci. Prima che poi si ammassino in modo poco originale le innumerevoli tematiche: la differenza di classe, la rabbia sociale, il matrimonio, le radici religiose e in particolar modo l'identità degli asioamericani, che siano d'adozione o di nascita, e la rispettiva difficoltà nel divincolarsi dall'integrazione di facciata, spesso oggetto di razzismo subdolo, occasionale e sottinteso.

Nelle dieci puntate si accodano le backstory di Danny e Amy, salgono in primo piano i personaggi di contorno e viene dosata, in funzione di un eccessivo stiracchiamento narrativo, la chimica corrosiva e perversa tra i protagonisti, che esaltano un rapporto extra-sentimentale che sfocia in una malata dipendenza, simile a quella di Danny per la carne, cotta e divorata senza nessun tipo di godimento. Il punto è questo: gli elementi a disposizione all'interno de Lo scontro ci sarebbero tutti, eppure la messa in scena è statica e l'umore resta stranamente composto, mantenendo divisi gli sfidanti. Potremmo dire che l'umore è quasi intrappolato. Come è intrappolata l'indole di Danny e Amy, rivelando progressivamente una natura ben diversa da come potevamo immaginare, al netto di un finale che sperimenta e punta alla libertà (era ora!), scrollando via un linguaggio latentemente debole, nonché già visto e già superato.

Beef 103 Unit 00723Rc
Lo scontro: un'immagine della serie

Ed è un rammarico, in quanto il cataclisma umano e sociale che indirizza l'azione è materiale pregiato, oltre che marcatamente contemporaneo; un racconto che sarebbe potuto essere predisposto per una serialità più asciutta (dieci episodi sono troppi) e possibilmente più audace, come sono audaci i titoli esistenzialistici delle puntate, che citano le riflessioni di Franz Kafka, di Werner Herzog, di Joseph Campbell. Del resto, da grandi autori e grandi produzioni ci si aspetta il meglio, se pensiamo che dietro Lo scontro ci sia uno degli autori più estrosi degli ultimi anni, oltre che un gruppo di sceneggiatori che comprende anche Joanna Calo, ossia il nome dietro capolavori come BoJack Horseman o lo stesso The Bear. Queste sì, serie tv meravigliosamente capaci di delineare i confini drammatici, elettrici e sfumati dell'identità univoca e della spaventosa depressione.

Conclusioni

Riponevamo aspettative molto alte nei confronti de Lo scontro. Un po' perché la produzione è ormai tra le più influenti, un po' perché il pretesto (uno scontro fortuito, appunto) avrebbe potuto generare una serie audace, libera, originale. Tuttavia, dieci puntate sono troppe e la scintilla iniziale finisce per spegnersi velocemente, riprendendo vigore solo durante le ultime due puntate.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
4.4/5

Perché ci piace

  • Il pretesto iniziale.
  • Gli ultimi due episodi.

Cosa non va

  • Nonostante la bravura degli attori, non entriamo mai davvero in contatto con i loro personaggi.
  • Dieci puntate sono troppe.
  • Alcune volte sembrano esserci troppi elementi, altre volte troppo pochi.