Live forever: dagli U2 a Woodstock, i concerti al cinema

Dai grandi raduni musicali degli anni '60, alle ultimi immagini di Michael Jackson; in ogni film-concerto c'è qualcosa in più della semplice testimonianza di un avvenimento: c'è il desiderio di conservare qualcosa che andrebbe perduto e quel qualcosa è condividere la sensazione di essere lì.

E' una lotta contro il tempo per non sparire. E' sempre così per un film, quando tenta di afferrare la realtà di una storia per trasformarla in immagini e lo è a maggior ragione per i film-concerto, opere che per loro conformazione raccontano uno strano tipo di evento reale. Non un semplice 'fatto', ma uno spettacolo vero e proprio che oltrepassa i confini del palco per fondersi con gli spettatori 'reali' e poi con quelli virtuali, in sala o davanti ad un televisore. Nel variegato mondo dei documentari, i film-concerto, pur con la loro scintilla di realtà, conservano delle caratteristiche del tutto originali. C'è qualcosa in più della semplice testimonianza di un avvenimento, che pure resta obiettivo principale. C'è il desiderio di conservare qualcosa che andrebbe perduto e quel qualcosa è condividere la sensazione di essere lì.

Nasce tutto con i grandi raduni degli anni '60, quando in un tripudio di 'sex, drugs and rock'n roll' si sentiva forte la voglia di partecipare al cambiamento. Monterey Pop prima e Woodstock dopo rappresentano la chiave di volta di questo sotto genere. In Monterey Pop del 1968, Don Alan Pennebaker (autore di svariati documentari per Bob Dylan e del film-concerto su David Bowie, Ziggy Stardust and the Spiders from Mars) racconta il leggendario concerto del 1967 con lo spirito di un cronista. Tra gli operatori di ripresa troviamo documentaristi celebri come Richard Leacock, pioniere del Direct Cinema e Albert Maysles, che Jean-Luc Godard definì "Il migliore cameraman americano" e che nel 1970 diresse con il fratello David Gimme Shelter, film concerto dei Rolling Stones; eppure Pennebaker non rinuncia alla collaborazione del pittore Brice Marden. L'attenzione al dettaglio, il volto dei cantanti (una sfilata da brividi, da Jimi Hendrix a Janis Joplin, passando per Simon and Garfunkel e The Who), il variopinto pubblico, si fonde con il colore. Il risultato è di una sorprendente pienezza stilistica.
Suono sincronizzato e uso di macchine da presa leggere sono stati il marchio di fabbrica della premiata ditta Pennebaker-Leacock. Due anni dopo, nel 1970, la loro lezione viene ripresa e riletta da Michael Wadleigh che in Woodstock Tre giorni di pace, amore e musica, ha raccontato probabilmente il più grande raduno rock della storia. Il film conquista l'Oscar come miglior documentario di lungometraggio e grazie al montaggio innovativo restituisce la meraviglia di quei giorni. Proprio al montaggio collabora Martin Scorsese, forse il regista che più di ogni altro ha saputo confrontarsi con questo sotto-genere, imprimendogli uno stile del tutto personale.

L'ultimo valzer del 1976, film-concerto dedicato all'ultima esibizione di The Band, rappresenta la prima incursione di Scorsese nel mondo delle sette note, che frequenterà con successo negli anni successivi collaborando con Bob Dylan (No direction home), con Michael Jackson (per la regia del video Bad), e soprattutto con i Rolling Stones. Shine a Light del 2008 rappresenta forse il punto più originale del rapporto tra film e concerto. I Rolling Stones da una parte, Martin Scorsese dall'altra, sembrano due pugili sul ring. Ognuno difende il proprio territorio dalle incursione dell'altro e la sensazione forte che emerge dalla visione è che il regista non abbia alcuna intenzione di essere un mero testimone di un evento unico nel suo genere, il concerto delle 'Pietre Rotolanti' al Beacon Theatre di New York, ma anzi che voglia forgiare lo spettacolo a sua immagine. Questa più di ogni altra è l'opera indefinibile: non è un film, non è un documentario. E' un succulento ibrido dove alla fine vince la rappresentazione della musica.

Questa sembra essere la sfida principale di ogni film-concerto: mostrare lo spettacolo musicale attraverso la poesia delle immagini o raccontarlo e basta? Il paradosso, semmai, è che si va al cinema per gustare uno show che con il cinema c'entra fino a un certo punto. In effetti, sono pochi in proporzione i film-concerto che arrivano sul grande schermo; il destino di molte opere è quello di finire sul mercato degli home video, una nicchia per intenditori. La risposta più banale, forse la più sensata, è che in ogni caso non si può prescindere dall'approccio 'cronachistico'. In pochi però hanno saputo andare al di là di questo aspetto.
A buon diritto può finire in questa lista Jonathan Demme autore di Stop Making Sense, documentario del 1984 sui Talking Heads. Si parte con David Byrne che da solo sul palco, accompagnato unicamente da una chitarra acustica e da uno stereo, comincia il suo show partendo dal grande classico Psycho Killer. Poco alla volta gli fanno compagnia tutti gli altri membri della band, Jerry Harrison, Tina Weymouth e Chris Frantz. Il regista de Il silenzio degli innocenti fa un uso specifico del grandangolo per portare lo spettatore ad avere il più possibile una visione piena del palcoscenico. Non c'è traccia di montaggio sincopato alla MTV, dunque, ma vediamo solo un gruppo di artisti 'd'avanguardia pop', la loro arte. E un modo diverso di raccontarla. Basti dire che il pubblico, co-protagonista di ogni film concerto che si rispetti, compare solo alla fine.

The Song Remains the Same, film diretto nel 1976 da Peter Clifton e Joe Massot e incentratro sul grande concerto che i Led Zeppelin tennero al Madison Square Garden di New York tre anni prima, parte addirittura come un gangster movie, con grande uso di pallottole, ralenti e vernice colorata al posto del sangue. Un tocco inaspettato che regala all'opera una partenza da brividi, sostenuta ampiamente dalla grande carica di Jimmy Page e soci, presenti nei titoli di testa come attori veri e propri.
Dalla poesia psichedelica dei Led Zeppelin, alla prosa vigorosa di Phil Joanou. Il regista canadese, che ha tentato senza fortuna l'approdo nel grande cinema, ha provato a 'rileggere' il genere con Rattle and Hum, film-concerto del 1988 dedicato al trionfale tour americano degli U2 all'epoca di The Joshua Tree. Oggi che i quattro di Dublino tornano sul grande schermo con U2-3D di Catherine Owens e Mark Pellington, in uscita il 28 maggio, fa un certo

effetto rivedere quelle immagini di 22 anni fa. Sequenze di grande impatto emotivo, come quella in cui la band di Bono si esibisce in una chiesa di Harlem, cantando con un coro gospel I Still Haven't Found What I'm Looking For, si alternano all'elegia della visita a Graceland, il 'santuario' di Elvis Presley e ai concerti negli stadi statunitensi, tutti completamente sold out.

Il 3D rappresenta un capitolo nuovo nella storia del racconto della musica al cinema. La macchina da presa si fa avvolgente per portare lo spettatore là dove si è già compiuto il 'miracolo'. E' un salto notevole che porta il pubblico a diventare quasi un attore principale dell'evento. Risale al 2008 la presentazione da parte della Walt Disney Pictures di Hannah Montana/Miley Cyrus: Best of Both Worlds Concert Tour, girato in Disney 3D, seguito poi dal film sui Jonas Brothers. U2 3D rappresenta il primo caso di film-concerto in 3D applicato al rock. Nato con l'obiettivo preciso di essere un regalo per i fan, l'opera è un ambizioso progetto che promette di far proseliti. Tuttavia, le mille potenzialità delle riprese tridimensionali devono essere valutate in abbinamento alla musica.

Contenuti in 3D sono presenti anche nel film testamento Michael Jackson's This is it, diretto da Kenny Ortega. Il documentario avrebbe dovuto solo riprendere le prove della grande star in vista dei concerti alla O2 Arena di Londra fissati per il luglio 2009, ma la morte del re del pop ha trasformato l'opera in una preziosa ultima testimonianza del 'genio al lavoro', tanto per riprendere il discorso iniziale del grande tentativo di sfuggire al tempo. E visto che di numero uno indiscusso si trattava, i numeri che hanno accompagnato l'uscita del documentario di Kenny Ortega sono stati da record. Michael Jackson's This Is It ha incassato 101 milioni di dollari nei primi 5 giorni di apertura; 21 milioni solo nel week-end nelle sale nordamericane.

Il film-concerto non è solo il surrogato di un grande show, ma (anche) un modo per vedere quel che normalmente sfugge. Lunga è la lista di opere che si sono mosse su questo terreno, a partire da Let it be - un giorno coi Beatles, film di Michael Lindsay-Hogg del 1969, che testimoniava, tra le altre cose, l'ultimo grande concerto dei 'Fab Four' sul tetto della Apple Records al numero 3 di Savile Row a Londra. 40 minuti entrati di diritto nella storia del rock mondiale immortalati in un film che ha vinto anche l'Oscar alla miglior colonna sonora. Negli anni '70 cresce in maniera esponenziale il numero dei film-concerto.
Non si può dimenticare il già citato Gimme Shelter dei Rolling Stones, opera diretta dai fratelli Maysles che mostrava il mega concerto gratuito organizzato da Jagger e compagni a Oakland, nella California del Nord. L'opera suscitò un grande scandalo per la violenza di alcune scene. In quell'occasione, infatti, perse la vita un giovane spettatore colpito a morte da alcuni Hell's Angels, chiamati ad organizzare il servizio di sicurezza. I Rolling Stones, veri habitués della Croisette (quest'anno presenti nella sezione Quinzaine des Realisateurs con il documentario Stones in Exile, uno degli avvenimenti più seguiti dal pubblico ), presentarono il film fuori concorso nel Festival di Cannes del 1971. Una versione ampliata è tornata nelle sale cinematografiche nel 2000.
Imperdibile reperto della grandezza di un performer di razza come Bon Scott è AC/DC: Let There Be Rock, uscito nei cinema nel Settembre del 1980. Girato al Pavillon de Paris il 9 dicembre del 1979 è l'ultimo concerto del frontman del gruppo australiano prima della sua morte, avvenuta nel Febbraio del 1980. Per i patiti dell'hard rock, l'uscita in DVD dovrebbe essere prevista nel Gennaio del 2011.
La 'silenziosa' evoluzione di questo genere è passata dunque dalla cronaca pura, alla sperimentazione, fino all'ultimo passo, quello più estremo, ossia l'identificazione tra musica e spettatori in sala grazie ai film in 3D. E' presto per dire chi vincerà, per capire se il pubblico apprezzerà quello che ha già dimostrato di amare in opere come Avatar. Un concerto è pur sempre un'esperienza a parte, difficilmente riproducibile al cinema. Il filo rosso resta però la buona musica. Il bello dei film-concerto è che si possono 'vedere' anche a occhi chiusi.