La prima fake news della storia e la più grande e clamorosa operazione di depistaggio: è quella che dà il titolo al film L'arma dell'inganno - Operazione Mincemeat, e che cambiò per sempre le sorti della Seconda Guerra Mondiale. Una storia messa in piedi sin nei minimi dettagli da un gruppo di agenti segreti britannici per depistare i nazisti e permettere alle truppe alleate di sbarcare in Sicilia limitando al massimo le perdite. Il piano era far credere alle armate tedesche che la riconquista dell'Europa occupata sarebbe iniziata dalle coste greche e non da quelle siciliane. Per farlo si servirono di un cadavere, lo fecero precipitare nelle acque a largo delle coste spagnole in uniforme militare e con una valigetta contenente documenti falsi sullo sbarco. Il compito di orchestrare il tutto spettò a due uomini Ewen Montagu e Charles Cholmondeley, interpretati nel film da Colin Firth e Matthew Macfadyen. A dirigere è John Madden, ai più noto come regista di Shakespeare in Love, che così ci racconta la genesi di un'opera che è insieme commedia e spionaggio, oltre che una riflessione sul potere della manipolazione del reale e sulla immaginazione come atto creativo. E ci rivela: "Il segreto di una buona storia? Mai fare supposizioni o conoscerne la fine prima di iniziare a raccontarla. Mi piacciono i film che sorprendono, e questa storia è ovviamente piena di sorprese, non solo per le persone che la stanno scrivendo, ma anche per quello che succede quando non ne hanno più il controllo. La sorpresa è un'arma straordinaria, anche se essere sorpresi nella vita non è sempre piacevole, lo è invece in un film. Ribaltare le aspettative dello spettatore è un modo per agganciarlo e connetterlo di più alla storia. Hitchcock si è sempre diviso tra suspense e sorpresa e anche questo film lavora su entrambe. Mi piacciono poi le storie in cui il pubblico non è in grado di prendere subito una decisione".
Da un'idea di Ian Fleming: le origini della storia
Non tutti sanno che a suggerire la storia fu Ian Fleming, che poi sarebbe diventato l'autore dei romanzi di James Bond; l'aveva letta in un romanzo di Basil Thompson e fu lui a proporla all'ammiraglio John Godfrey. "Dal punto di vista cinematografico è stato un grande dono. A quel punto della sua vita Ian Fleming non aveva ancora iniziato a scrivere le storie che noi oggi tutti conosciamo, stava invece scrivendo un'idea bizzarra su come ingannare il nemico attraverso la trappola di cui parliamo nel film. - racconta John Madden - Fu uno dei tanti scrittori che parteciparono all'operazione, quasi tutte le persone appartenenti al Comitato dei Venti della Naval Intelligence lo erano e questo era uno degli aspetti più straordinari di questa storia. I personaggi vivono per metà in un mondo di finzione, un mondo di speculazioni, di colpi di scena e ribaltamenti inaspettati. È l'idea che sta al centro di questa strategia di disinformazione e in quel momento Fleming si trovava proprio nel bel mezzo della Storia".
Ad attrarre il regista e la sceneggiatrice Michelle Ashford è stato il perfetto mix di toni differenti: "È una storia emotiva, è una commedia, un thriller, c'è lo spionaggio e finisce in un posto diverso da quello in cui inizia, che secondo me è il requisito fondamentale del racconto cinematografico".
L'arma dell'inganno - Operazione Mincemeat, la recensione: Guerra, fake news e fiction
I richiami al presente
Ma nonostante gli inevitabili accostamenti, Madden ci tiene a precisare che L'arma dell'inganno - Operazione Mincemeat non è in alcun modo collegato alle circostanze attuali del conflitto russo-ucraino. "Lo abbiamo realizzato due anni fa quando la situazione era completamente differente. Nello stesso tempo però nel bel mezzo del film c'è una battuta in cui Winston Churchill dice: 'La Russia sarà la guerra di domani'. Ogni racconto di guerra guarda al presente e al passato, perché c'è una specie di follia nella guerra che è costante. Ma l'ultima cosa che voglio fare è parlare o promuovere questo film sulla scia dell'orribile conflitto in corso in Europa, che sta riformulando tutte le nostre esperienze: non solo le storie al cinema, ma anche il semplice uscire o andare al ristorante, ci si sente in colpa e paralizzati da tutto questo". E se avessero dovuto fare un film di guerra oggi? Sarebbe stato semplicemente impensabile, sostiene.
Un mondo capovolto
Al contrario della maggior parte della letteratura cinematografica sulla Seconda Guerra Mondiale, L'arma dell'inganno - Operazione Mincemeat non si concentra sui grandi eventi, come il D-Day o Dunkirk: "Quello raccontato nel film è un angolo di mondo in cui tutti sono abituati a questi fatti, sono assorbiti dalle loro vite, hanno centellinato le occasioni di divertimento e vivono nell'oscurità totale, anche se in qualche modo cercano di trovare sempre un nuovo equilibrio in uno spazio insolito dove ogni cosa è capovolta, la guerra è in corso ma altrove". Non si tratta di dare una lezione, ma di un'occasione per esplorare alcune dinamiche e raccontare una storia straordinaria "di chi è stato lasciato a casa lontano dal fronte per diversi motivi di età o di genere, un gruppo di persone che combattono un tipo di guerra diversa. Insieme diventano i creatori di una finzione in cui si perdono, e questo è molto umano. Nessuno dei personaggi fa nulla di straordinario, non si sentono eroi, né dei trionfatori. In quel momento gli eroi erano coloro che si trovavano al fronte".
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Il ruolo delle donne
Nel mondo descritto dal film, tradizionalmente dominato dagli uomini, le donne (Kelly Macdonald e Penelope Wilton) ricoprono un ruolo fondamentale diventando spesso un punto di riferimento. "Rappresentano il cuore e la coscienza del film. - spiega il regista - Gli uomini inevitabilmente cadono in una specie di competizione, anche nel senso di chi vuole controllare e guidare la narrazione, perché Montagu e Cholmondeley sono due personaggi molto diversi. Le donne invece camminano insieme sullo stesso sentiero, vanno nella stessa direzione, si allontanano dalla realtà ma per poi tornarci. Sono il centro dell'universo almeno nel mio mondo e per questo cerco sempre di far ruotare ogni cosa attorno a un punto di vista femminile, anche quando tecnicamente sembra siano gli uomini al comando. Michelle è un'autrice molto intelligente con un punto di vista unico su questo, ma mai ghettizzato".
La reunion con Colin Firth
Il set del film è stata anche l'occasione per riunirsi a Colin Firth, venti anni dopo Shakespeare in Love. "Siamo amici e siamo molto vicini. Volevamo tornare a lavorare insieme da molto tempo, sin da Shakespeare in Love, le occasioni non sono mancate in questi venti anni, è da un po' che ci giriamo intorno con vari progetti ma non ci siamo mai riusciti, il tempo non era mai dalla nostra parte. Ma questa volta è finalmente successo, era la storia giusta e Colin era perfetto per il ruolo di Montagu, un consigliere del re, un avvocato arguto, intelligente e raffinato, disposto a lasciarsi tutto questo alle spalle per dare il suo supporto alla guerra".
E aggiunge: "Colin poi è una persona molto impegnata politicamente, abbiamo parlato molto di cosa non volevamo fosse questo film. E quando lavori così tanto con qualcuno che conosci, tutto ti sembra più semplice, persino costruire un personaggio complesso che richiede diverse qualità. Colin si mette al servizio del materiale, e se si fida della persona con cui lavora, non hai nulla di cui preoccuparti. Ad esempio, nella scena finale di Montegu e Cholmondeley sulla scalinata: l'abbiamo analizzata, sezionata e scomposta molte volte identificando tutti i tipi di insidie che potevano esserci. E alla fine gli ho detto: 'Non devi preoccuparti'. Queste persone non hanno la capacità di guardare le cose in modo obiettivo, semplicemente le parole escono dalla loro bocca naturalmente e la scena si riproduce da sola. È come la fine di un'opera di Shakespeare, non devi mai provarla, devi semmai provare gli atti che la precedono. Colin e Macfadyen sono estremamente credibili, entrambi sono attori molto spiritosi e lavorare con loro è stato molto divertente".