La vita facile non esiste, parola di Lucio Pellegrini

Così, dopo Ora o mai più e il successo dei suoi "disperati" Figli delle Stelle, Pellegrini torna in sala con La vita facile: lo abbiamo incontrato a Roma insieme agli interpreti della pellicola Pierfrancesco Favino e Stefano Accorsi.

In passato la televisione è stata un importante banco di prova, capace di dare spazio ad autori con delle idee innovative e l'ambizione di conquistare il grande schermo. A dimostrarlo è il regista Lucio Pellegrini che, dopo aver creato trasmissioni cult come Target, Ciro e Il figlio di Target, è passato dietro la macchina da presa per portare al cinema la sua ironia agrodolce. Conquistato il favore del pubblico con un esordio a tempo di Mambo (Allora Mambo) e un Tandem condiviso con gli amici Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu e Luciana Littizzetto, il regista piemontese ha ben presto abbandonato la commedia satirica per concentrare la sua attenzione su piccole ma efficaci storie quotidiane senza rinunciare, però, a un pizzico d'irriverente sarcasmo. Così, dopo Ora o mai più e il successo dei suoi "disperati" Figli delle Stelle, Pellegrini torna in sala con La vita facile, un ulteriore tassello da aggiungere al ritratto della contemporaneità dove antichi vizi si fondono con impreviste virtù per creare una nuova maschera da incastonare nella moderna commedia all'italiana.

Prodotto da Fandango e distribuita da Medusa in 300 copie dal 4 marzo, il film s'interroga sulle tragicomiche "difficoltà" di esistenze privilegiate che non lasciano molto spazio alla comprensione dell'essenziale. Al centro della vicenda ci sono Mario (Pierfrancesco Favino) e Luca (Stefano Accorsi), vecchi amici e professionisti che hanno interpretato la vita e la medicina in modo del tutto diverso. Chirurgo a cinque stelle il primo, volontario in Africa il secondo, dopo nove anni di lontananza si ritrovano a collaborare all'interno di un luogo estraneo ed estraniante come il continente nero dove nulla è mai come sembra, tanto meno l'amore per la capricciosa Ginevra (Vittoria Puccini) e l'apparente moralità di un dottorino in perfetto stile Amaro Montenegro. Ad accompagnare Lucio Pellegrini durante la presentazione del film alla stampa romana il produttore Domenico Procacci e gli attori Camilla Filippi, Stefano Accorsi, Pierfrancesco Favino e Vittoria Puccini, per l'occasione ambasciatori dell'associazione Oxfam Italia, attiva in Africa con numerosi progetti dedicati alla tutela dell'infanzia.

Signor Pellegrini, il suo La vita facile è una commedia dall'aspetto multiforme capace, lungo il percorso narrativo, di abbracciare vari generi come il dramma, l'avventura ed il giallo soft. Come ha gestito e sincronizzato questi moduli così diversi tra loro?
Lucio Pellegrini: Ho sempre amato sperimentare e questo film, pur con una natura fortemente leggera, mi ha offerto la possibilità di inserire degli elementi drammaturgici a prima vista incompatibili. Dal mio punto di vista le storie devono essere raccontate da diverse angolazioni e attraverso moduli non necessariamente uniformi. L'importante è trovare un equilibrio tra i generi utilizzati.

Questo sembra essere un momento particolarmente positivo per la commedia, unico genere a far vincere il cinema italiano ai botteghini... Domenico Procacci: La commedia è un mezzo per raccontare la realtà, una chiave molto interessante, ma bisogna fare attenzione che non diventi l'unica. Non dobbiamo cadere nell'errore fatto già con i film generazionali. All'epoca sembravano la soluzione di tutto ma la realtà dei fatti era molto diversa. I guadagni conquistati dalla commedia in questi ultimi anni non possono essere il riflesso della situazione generale del cinema italiano. Sbaglia il Ministro Bondi a leggerli in questo modo e a negare sovvenzioni all'industria .

I personaggi di Mario, Luca e Ginevra mettono in scena il ritratto dell'italiano opportunista e superficiale tanto caro alla tradizione del nostro cinema. Potete dirci qualcosa di più su di loro?
Pierfrancesco Favino: Mario è un fetente. Credo che non si possano usare altre parole per definire un soggetto che, decide di sfruttare le situazioni sempre e comunque a suo vantaggio. Certo, dal punto di vista professionale è stato stimolante confrontarsi con un personaggio che rintraccia le sue radici nella nostra migliore tradizione cinematografica, ma è pur vero che socialmente non possiamo vantarci della sopravvivenza di un similemodello umano. L'ambientazione africana, poi, non ha fatto altro che esaltare ancora di più le differenze tra una terra che ha costantemente bisogno d'aiuto e delle persone concentrati solo sui propri bisogni.
Stefano Accorsi: Bisogna partire dal presupposto che in questo film nulla è come sembra, tanto meno i suoi personaggi. Appena si crede di averli inquadrati ecco arrivare una smentita improvvisa a rimette in discussione tutta la narrazione. Sia Luca che Mario faticano ad accettare alcuni aspetti della loro natura e per questo motivo fuggono nel tentativo di cancellarli e rifiutarli. Da qui, partendo proprio dalle loro debolezze, si delinea una storia reale sull'egoismo umano, priva dei soliti sentimentalismi e di un cinismo superficiale troppo facile da utilizzare.
Vittoria Puccini: Ginevra mi fa molto ridere e, se devo essere sincera, provo per lei e per la sua inconsistenza una certa tenerezza. E' una donna superficiale con molte zone d'ombra, che piomba in una realtà diversa anni luce dalla vita facile a cui è abituata con la convinzione di poter dettare le sue regole. E' un pesce fuor d'acqua e rimane molto ambigua per tutta la durata del film. Non si capisce con chiarezza quanto usi le sue armi femminili per manipolare i due uomini o quanto si aggrappi a loro per trovare la sicurezza che non ha.

Nella costruzione del cialtronesco Dott. Tirelli si riconoscono i tratti di altre maschere portate al cinema dai padri della commedia italiana come Manfredi, Sordi e Gassman negli anni sessanta. Un elemento questo che ci obbliga a riflettere sulla staticità del carattere italico...
Pierfrancesco Favino: Non so se Sordi o Manfredi si ispirassero a degli esempi reali, ma è un dato di fatto che dagli anni sessanta ad oggi è ancora possibile rintracciare questo tipo di personaggi. Probabilmente nulla è cambiato da Il medico della mutua.
Lucio Pellegrini: Non mi sento di dare un giudizio universale sugli italiani, però ci troviamo sicuramente in un mondo da accettare o rifiutare senza vie di mezzo. In questo senso mi sembrava interessante raccontare la storia di due personaggi agli antipodi nel confronto con la società moderna e con i suoi compromessi. Una coppia di quarantenni ancora figli di un paese di vecchi, manipolati da un settantenne perfido e calcolatore, proprio come accade al il nostro paese in questo momento.

Parafrasando il titolo del film qual è la vita facile, quella occidentale con le comodità cui siamo abituati o quella africana dove tutto è fortemente determinato dal ciclo della natura?
Lucio Pellegrini: Difficile dare una risposta. Volevo soprattutto che l'Africa si trasformasse in un teatro capace di esaltare le caratteristiche di questo gruppo d'italiani. A prima vista per Mario e Ginevra la vita facile è fatta di quelle comodità e privilegi cui non vogliono assolutamente rinunciare, mentre per Luca è rappresentata proprio dal rifiuto dell'eccesso. E' pur vero, però, che il film rimette tutto in discussione.
Stefano Accorsi: La vita facile è un sogno, una chimera al quale i personaggi ambiscono in modo diverso senza essere completamente contenti di ciò che si ha. A prima vista la vita in Africa può sembrare in qualche modo più semplice, più a contatto con la realtà ma non bisogna perdere di vista le difficoltà di un'esistenza che non può e non deve essere definitiva. Per riuscire a vivere in un continente complesso come l'Africa bisogna fare un lavoro incredibilmente impegnativo sulla propria morale ed accettare le regole di un mondo dove si vive e si muore per motivi totalmente diversi dal nostro.

Quali ricordi e fascinazioni vi ha regalato questa esperienza?

Vittoria Puccini: Abbiamo sempre girato in zone assistite da una missione o da una associazione, quindi non abbiamo toccato con mano le situazioni più estreme. Certo è una realtà profondamente diversa dalla nostra, i disagi in cui vivono le popolazione nomadi sono enormi e non ci sono strutture adeguate . Ma ciò che ti colpisce di più di dell'Africa è il rapporto quasi ancestrale con la natura. Non è l'uomo che detta le regole, ma è il paesaggio a prendere il sopravvento su una umanità a cui non rimane che adattarsi.
Pierfrancesco Favino: Il fatalismo che accompagna la popolazione africana nasce proprio dalla grande unione con la natura. In quei luoghi sterminati hai la netta sensazione che i tempi della vita siano dettati da decisioni non tue.
Stefano Accorsi: Come occidentali è impossibile non rimanere colpiti dal rapporto naturale che c'è tra la vita e la morte. Tutto in Africa combatte per la sopravvivenza divorando ciò che si ha accanto.