Giulia (Matilda De Angelis) ha 17 anni, occhi da cerbiatta blu come la striscia rasata di capelli che porta con disinvoltura, una passione sfrenata per i motori e tante responsabilità: abbandonata prima dalla madre e rimasta orfana di padre, la ragazza deve occuparsi non solo del fratello più piccolo, Nico (Giulio Pugnaghi), ma anche rimediare ai debiti lasciati dal genitore, pena la perdita della casa. Loris (Stefano Accorsi) è il maggiore dei tre fratelli, un passato glorioso nel mondo delle corse di rally che gli è valso il soprannome "il ballerino" per la sua capacità di danzare tra le curve della strada, che però si è bruciato i sogni di fortuna e gloria con la droga, che ha sostituito la sua fame di adrenalina.
Ricongiunti dalla dipartita del padre, i fratelli entrano subito in contrasto, con Giulia che si assume troppe responsabilità per i suoi 17 anni e Loris che è allergico a qualsiasi forma di impegno, volendo all'inizio soltanto impossessarsi della casa di famiglia, per liberarsi così della roulotte in cui vive. La passione per le quattro ruote fa però il miracolo: per aiutare la sorella a vincere le gare di corsa e non perdere così la casa, Loris riscopre se stesso e la sua famiglia: un percorso non facile, fatto di insidie e curve pericolose pronte a portalo ancora una volta fuori strada in ogni momento.
Dopo Lo chiamavano Jeeg Robot e Perfetti sconosciuti, il cinema italiano è pronto a vincere una nuova sfida con Veloce come il vento, terza pellicola di Matteo Rovere che abbandona gli appartamenti lussuosi dell'annoiata borghesia per sporcarsi le mani nelle officine della provincia di Bologna, entrando con occhio curioso nel mondo delle gare da rally, un panorama quasi sconosciuto dal cinema nostrano. Ispiratosi alla vera storia di Carlo Capone, campione di corsa negli anni '80 dalla storia personale tormentata, Rovere ha avuto il coraggio di cambiare totalmente genere, affrontando un tipo di cinema, quello delle gare sportive di corsa, che raramente è stato portato al cinema in Italia, assumendosi tutti i rischi di questa scelta, un po' come i suoi personaggi, che si buttano quasi senza pensare su piste sterrate a velocità incredibili, spinti sopratutto dal cuore più che dalla razionalità. Una mossa vincente: la pellicola è infatti priva di intellettualismi presuntuosi e asfittici, ma ha tanta voglia di fare e raccontare, di emozionare e stupire, ha, è il caso di dirlo, tanta benzina che pompa nei suoi circuiti e travolge lo spettatore con elementi semplici e allo stesso tempo spettacolari.
Matteo Rovere e le gare di corsa all'italiana
Rimasto incatenato per anni a commedie tutte uguali e film dalle pretese intellettuali ancora più omologati, il cinema italiano sembra ora vivere improvvisamente, quasi per una fortunata congiuntura astrale, una nuova stagione di vitalità e voglia di raccontare in modo nuovo: basti pensare a Lo chiamavano Jeeg Robot, che ha l'ambizione di creare una mitologia di supereroi all'italiana, o a Perfetti sconosciuti, che ribalta la commedia corale trasformandola quasi in un giallo all'Agatha Christie. Veloce come il vento non è da meno, lanciandosi nella sfida di filmare scene d'azione in automobile che, tranne forse il recente caso di Velocità massima di Daniele Vicari, mancavano dal cinema italiano dai poliziotteschi degli anni '70 e '80.
Appresa la lezione del cinema americano, guardando a pellicole come Rush di Ron Howard e alla saga di Fast and Furious - Solo parti originali, Rovere si lancia in riprese complicate, in cui protagonisti e stunt hanno dovuto guidare con tre telecamere poggiate sui cofani delle macchine, servendosi di un montaggio incalzante e inquadrature che mostrano anche l'interno del motore, per dare un'esperienza a 360 gradi delle corse, letteralmente gettando la macchina da presa tra metallo e bulloni, per imprimere sullo schermo tutta l'adrenalina di quel mondo affascinante quanto misterioso. Servendosi pochissimo della computer grafica, Rovere ha dato un'aura artigianale al suo film, curando molto anche fotografia e colonna sonora, grazie al lavoro di Michele D'Attanasio e Andrea Farri, divenuti colori fondamentali con cui dipingere la sua tela, tracciando un percorso che sicuramente servirà da guida per i prossimi cineasti spinti dalla stessa ambizione.
Matilda De Angelis e Stefano Accorsi: una coppia indimenticabile
Cuore pulsante di Veloce come il vento è la coppia di protagonisti: Matilde De Angelis - che somiglia vagamente a Jennifer Lawrence ma possiede un'eleganza che non appartiene invece alla star americana - è una scoperta, la sua Giulia è spontanea e sincera, un personaggio femminile finalmente a tutto tondo, con paure, responsabilità, coraggio e anche un sano desiderio di divertirsi, che a 17 anni dovrebbe essere la normalità. Gli occhi grandi e pieni di speranze di Giulia sono il contraltare perfetto per quelli di Loris, bruciati dalla droga e spesso persi nel vuoto, a guardare un passato che non tornerà più e fissi su un presente squallido da cui è difficile riemergere. Lavorando sul fisico come mai nella sua carriera, Stefano Accorsi è una delle scommesse vinte dal film: guardato ultimamente sempre con pregiudizio, l'attore si è fatto trasformare, perdendo 10 chili di peso, sporcandosi unghie e capelli, facendosi truccare i denti perché sembrassero marci e recuperando l'accento romagnolo, che forse non usava dai tempi del famoso spot di "du gusti is megl' che one". Il suo Loris, che avrebbe potuto facilmente trasformarsi in una macchietta, è invece un derelitto autentico, come dice nel film "di disperati veri siamo rimasti in pochi": nonostante la sgradevolezza iniziale, ci si affeziona presto al personaggio, che verso il finale finisce per rubare la scena, raccogliendo il testimone da Giulia come centro morale del film. Il balletto tra i due, sia emotivo che tra le curve della pista, commuove e appassiona, perché la storia dei fratelli De Martino è finalmente vera e autentica, fatta di sbagli e dolore, di sudore e impegno, di slanci presi in preda all'impulsività e quindi pieni di vita.
Il percorso dei fratelli De Martino e il futuro del cinema italiano
Le ambizioni "americane" del film, che rimane comunque italianissimo, ma ha un'idea, finalmente, internazionale di cinema, non riguardano solo le corse però: il percorso dei due protagonisti sembra venire direttamente dalle pellicole di riscatto che hanno reso grande il cinema made in USA, con i fratelli De Martino trasformati in dei Rocky Balboa della provincia bolognese: appesantiti da un passato infelice, schiacciati da debiti, responsabilità e sogni infranti, Giulia e Loris sfruttano quello che hanno, ovvero il loro corpo e il cuore, piegando il proprio fisico a uno scopo, vincere le gare, che diventa anche il senso delle loro vite e metafora dell'esistenza umana stessa. Sfruttando le proprie capacità, i fratelli ritrovano se stessi: una storia di redenzione che paradossalmente sembra ricalcare quella del cinema italiano. Stefano Accorsi, nel bene e nel male, uno degli attori di maggior successo emersi in questi ultimi 20 anni, è un Loris a sua volta: esploso tra fine anni '90 e inizio 2000, l'attore è stato sempre più criticato per poi sparire per un lungo periodo, in cui ha lavorato in Francia. Tornato ora in Italia, l'attore sta cercando di trasformarsi e migliorare: ci ha provato con la serie 1992, altro progetto ambizioso, e ora con questo ruolo, per cui si è imbruttito e ha lavorato sul corpo, proprio come avrebbe fatto una star americana. Prendendo per mano la giovane e promettente Matilda De Angelis, è come se Accorsi rappresentasse il vecchio modo di fare cinema italiano che cerca di trasmettere la sua esperienza alle nuove leve, tracciando insieme un percorso dalle idee chiare e il cuore limpido.
Movieplayer.it
4.0/5