Recensione H2Odio (2006)

Nonostante il soggetto sia abbastanza originale, il film di Infascelli resta gelido, scivolando sullo spettatore come l'acqua che scorre a litri.

La dieta del terrore

Un piccolo film del terrore per il regista di Almost blue, ma soprattutto un film che porta in dote una metodologia distributiva alquanto inusuale: un passaggio in anteprima nelle edicole, allegato ad un notissimo quotidiano, prima di un eventuale diffusione canonica nelle sale (improbabile) e nei videostore (molto più ipotizzabile). Questo è H2Odio, nuova opera di Alex Infascelli.
Olivia ospita le sue amiche sull'isola, nella casa di famiglia, per una settimana di purificazione. Si alimenteranno solo con: acqua, bastoncini di liquirizia e sale marino. La dieta estrema è presto abbandonata dalle ragazze ad insaputa della loro ospite, per la quale si sta risvegliando un passato inquietante. Scoprire il tradimento scatena una reazione inattesa che le trasforma in sue prigioniere prima e in vittime poi.

Strepitose le premesse, a partire dal luogo: un'isola impossibile da abbandonare, priva di qualunque contatto col mondo circostante, i quali boschi illuminati da una luce calda, echeggiano di morti lontane. Così la casa, fredda e asettica che costringe le ragazze a stringersi attorno al fuoco, mentre i giorni passano e le forze le abbandonano.
Non c'e' vita fra quelle mura, solo la follia di Olivia che esplode travolgendo tutto.
"La sindrome del gemello evanescente", il suicidio della madre, pesano su di lei come una condanna. Mentre l'acqua purifica il suo corpo, la ragione l'abbandona, liberandone la schizofrenia. Olivia è sola come la sua isola, cullata dalle acque di un invisibile liquido amniotico e trae forza dalla paura altrui compiendo la strage.

Nonostante il soggetto sia abbastanza originale, il film resta gelido, scivolando sullo spettatore come l'acqua che scorre a litri. Infascelli, sembra tanto compiaciuto dalle sue doti registiche da dimenticare la necessità di un ritmo, lasciando troppo spazio a lunghe sequenze silenziose, rallenty e flash-back infiniti e riducendo l'azione a pochi minuti. Non c'e' pathos, solo la consapevolezza, già a metà film, del perchè e del cosa accadrà. Non bastano quindi atmosfere alla The Blair Witch Project per negare che il cinema ha ancora bisogno di fare a pezzi donne giovani e belle, per accanirsi su stereotipi sociali in un simbolismo stantio. L'argomento sembrava gia' esaurito da Craven nel sublime L'ultima casa a sinistra.
A dispetto di ciò, vanno segnalate la scena d'allucinazione delle ragazze a digiuno e la colonna sonora altalenante e un po' ossessiva. Meno entusiasmo per dizione e recitazione, tanto forzate quanto fastidiose. Buono il cameo dello psichiatra Platinette (Mauro Coruzzi).