La colonna sonora de La guerra dei mondi

Nell'ultima fatica di Spielberg le musiche sono totalmente al servizio delle immagini e mai protagoniste, a differenza degli effetti sonori, che acquisiscono in questo contesto un'importanza pari, se non superiore, a quella dei dialoghi.

Ancora una volta Steven Spielberg si misura con un tema che tratta di alieni, anche se a differenza di E.T. L'extraterrestre ed Incontri ravvicinati di terzo tipo, ne La guerra dei mondi propone l'extraterrestre come vero e proprio invasore sterminatore. La soundtrack è affidata ad un "certo" John Williams, il cui connubio artistico con il regista è consolidato già dai tempi de Lo squalo (1975).
Ogni retorica introduttiva risulta superflua parlando di Williams, che è entrato di diritto nel novero dei Grandi Compositori del XX secolo; la sua musica gode di un potere evocativo tale da essere fruibile anche senza immagini, basti pensare alla Trilogia classica di Star Wars ed ai più recenti score per Harry Potter.

Nell'ultima fatica di Spielberg le musiche sono totalmente al servizio delle immagini e mai protagoniste, a differenza degli effetti sonori, che acquisiscono in questo contesto un'importanza pari, se non superiore, a quella dei dialoghi. Gran parte del minutaggio del film è addirittura privo di supporto musicale, lasciando pieno spazio alla fotografia, al silenzio ed agli effetti rumoristici.
Un John Williams per certi aspetti diverso da quello cui eravamo abituati, meno presente. Mancano i classici lite motiv (i.e. temi musicali ricorrenti all'interno di un'opera associati ad un personaggio o ad un evento), di matrice wagneriana, che invece hanno fatto da padrone nelle sue produzioni passate.

Il primo brano, contaminato da un timido uso di elettronica, disegna un sognante tappeto sonoro sulla grafica iniziale del film, per poi supportare la voce baritonale fuoricampo di Morgan Freeman, cui sono affidati il prologo e l'epilogo dell'opera di Spielberg.
Le musiche ricompariranno solamente dopo un ampio minutaggio nel corso della fuga dalla città, con un incedere di archi e percussioni, il tutto puntato dai fiati alla maniera di Williams, che a tratti ricordano soluzioni adottate nei più celebri episodi di Star Wars. Il tutto è focalizzato su sonorità gravi ed ossessive, rotte da acidi e repentini interventi degli ottoni, che su un incedere rapsodico di timpani incrementano, coadiuvando gli effetti sonori, la già elevata tensione delle immagini. Nulla di nuovo compositivamente parlando, anche se la firma dell'autore è comunque ben palesata dai crescendo di ottoni e da un'ossatura ritmica apparentemente sregolata.

Nel terzo episodio musicale, Reaching the Country, la tensione viene affievolita solo in parte, mantenendo viva quell'ansia statica definita dal tema portato dagli archi che è ad un passo dal tragico, ma invece di lasciarsi andare al tutti ritorna sempre su sonorità gravi e cadenzate.
The Intersection Scene ricalca la stessa intenzione del secondo brano, Escape from the city, incrementando ancor più l'effetto tensivo con un crescendo armonico ed agogico che prende lo spettatore per i nervi, merito di un sapiente uso del coro e delle sezioni di violini fra cui alegga la presenza del Webern serialista. Raggiunto il climax tutto ricade sui timpani, poi integrati dagli ottoni su un tremolo di archi per un ultimo eco di suspance.
Un clima disteso torna finalmente con il tema di Ray e Rachel, anche se l'arpeggio finale dell'arpa chiude il brano con un punto interrogativo.

Una fra le scene più d'effetto del film è quella del disperato tentativo di salvataggio sfruttando il traghetto, The Ferry Scene. La musica riflette con dovizia di particolari le intenzioni degli alieni e l'inesorabilità degli eventi; Williams supporta le macchine di distruzione e ne cadenza le azioni. Anche qui il coro lancia la tensione che però non precipita, anzi, viene ripresa da violoncelli, timpani ed ottoni che contrapposti al tema dissonante delle trombe conducono in un calando al finale.
Probing the basement adotta la stessa soluzione de Escape from the City, mantenendo però toni più acidi.

Uno fra i più riusciti episodi musicali dell'intero score è Refugee Status, in cui il compositore cuce il brano sulla consapevolezza inerme dei protagonisti, esuli sulla loro terra. Il tema, o meglio il succedersi dei temi, è desolante e sconsolato, drammaticizzato dagli interventi dei corni.
Segue l'Attacco all'automobile, musicalmente prevedibile, che cita nella sua breve durata i temi tensivi precedenti.

L'altro meraviglioso momento musicale è sicuramente The Separation of the Family, in cui un pianoforte ricco di riverbero che sembra lontanissimo su un grave tappeto di archi si contrappone alle immagini del film disegnando uno scenario onirico attorno ai tre personaggi esaminati da Spielberg. È interessante notare quale tipo di suggestione inducono due soggetti, uno musicale ed uno cinematografico, diversi nell'intenzione se combinati sapientemente. Lo stesso metodo è usato da Dario Argento, che spesso contrappone ad immagini crude e cruente una nenia infantile. Con questo brano John Williams ha raggiunto l'apice compositivo di tutta la soundtrack.

The Confontation with Ogilvy rappresenta il climax tensivo di tutto lo score. L'ambientazione musicale ricalca molto il classico mood del thriller, con incedere di trememoli acutissimi di archi, sonorità cromatiche spezzate da falsi cedimenti strutturali, ma subito ripresi con lunghi e lenti crescendo che non rilasciano mai l'ansia trasmessa dalle immagini. Il brano, come pochi altri di questa soundtrack, può essere autosufficiente; la sua forza evocativa esula le immagini penetrando direttamente lo stomaco dello spettatore, assalito da una sequenza di sensazioni crescenti condotte dalle trame quasi seriali della musica di Williams.

Il commento musicale alla fuga dai "cesti alieni" rimane in secondo piano rispetto a quanto viene proposto dalle scene del film, già più che sufficientemente esplicative. Viene quindi fornita una mera cornice musicale che in cui si respira, anche se per un brevissimo periodo, un po' di Varése. È però interessante il finale del brano, in cui viene descritta la caduta e successiva distruzione della mastodontica macchina aliena, che rimane in bilico fra l'eroico e l'esasperata conclusione dell'azione, senza però eccedere in nessuna delle due condizioni.

Il film volge al "lieto fine" con la Reunion dei figli con la madre a Boston, sottolineato da un malinconico e non concludente tema che rivede protagonista il pianoforte; tema che non è incentrato sui figli e la madre, quanto piuttosto, come suggerito anche dalle immagini di Spielberg, sul rapporto Ray-moglie, Ray-figli, Ray-suocera. La fotografia ci fa apparire tutto comune, ed è all'enfasi musicale che è attribuito il compito di ricordare che al di fuori di quell'inquadratura tutto è raso al suolo, e questo lo comunica meravigliosamente bene Williams con quel suono dolce di pianoforte che però propone un tema non sempre consonante, non sempre concorde con i movimenti degli archi. Anche qui emerge la grande forza della musica di questo grandissimo compositore.

Nell'Epilogue Williams non fa altro che riprendere tutte le situazioni esposte nello score come una sorta di indice, anche se talvolta pare recuperare idee e soluzioni dai suoi precedenti lavori.

I momenti più interessanti di questa colonna sonora risultano essere quegli echi di serialismo che riportano alla figura di Webern, seppure tale stile compositivo venga in questo caso riferito solamente alla melodia e non all'incedere ritmico, ed i temi affidati al pianoforte, che ricalcano una duplice situazione emotiva: una affidata alle immagini che si contrappone a quella affidata alle musiche.

Nel complesso ci troviamo ad ascoltare una colonna sonora spesso in secondo piano, fedele ai "dogmi compositivi" del perfetto thriller. Certamente molti spunti sono degni di nota, ma Williams appare un po' sotto tono rispetto ad altri suoi lavori ben più acclamati. Da un compositore del suo calibro ci si sarebbe potuto, a ragion veduta, aspettare qualcosina in più, senza comunque nulla togliere all'ottimo lavoro. John Williams ci ha abituati troppo bene, e noi diveniamo sempre più esigenti...