La bellezza del somaro: parlano i coniugi Castellitto e il cast

Il nuovo film diretto da Sergio Castellitto e scritto da sua moglie Margaret Mazzantini è stato presentato a Roma in un incontro stampa che ha visto la presenza del cast quasi al completo.

C'era praticamente tutto il cast, oltre ai coniugi Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini, per la presentazione alla stampa del loro La bellezza del somaro: un film che, arrivato sei anni dopo il precedente Non ti muovere, ha rappresentato una curiosa svolta nella carriera di entrambi, con toni costantemente virati alla commedia grottesca e una galleria di personaggi volutamente sopra le righe. Tra i nomi presenti, vanno ricordati tra gli altri quelli di Laura Morante, Marco Giallini e Barbora Bobulova, che hanno parlato anche dei rispettivi personaggi; unico assente l'ottimo Enzo Jannacci, bloccato da un'influenza, che ha comunque fatto arrivare i suoi saluti alla platea per bocca del regista.

Nel film c'è la storia tra un uomo anziano e una ragazza; questo, al cinema, è sempre fonte di dramma e divertimento. E' così anche in questo caso?
Sergio Castellitto: Diciamo che è fonte di scandalo, a prescindere dal fatto che questo sia comico o drammatico. Nel nostro caso, farlo in chiave drammatica sarebbe stato più facile, addirittura banale. Quando si dissotterra uno scandalo, è meglio che faccia ridere.

Perché il personaggio di Jannacci si chiama proprio Armando? E' stata una scelta casuale quella del nome?
Sergio Castellitto: E' un nome che ci piaceva perché è un gerundio... è come dire "mi sto armando". E poi è un bel nome, all'antica.

Com'è stato il processo creativo del film?
Margaret Mazzantini: L'idea l'abbiamo avuta insieme anni fa, poi io ho scritto un lungo trattamento che si è trasformato nella sceneggiatura del film. Lo scrittore ha un occhio dilatato, come un radar che capta il suo tempo. Io lavoro come un rabdomante, cerco ciò che non conosco. In questo caso comunque l'idea principale era quella di fare una commedia, qualcosa che divertisse noi per primi: io scrivo spesso storie drammatiche, e un po' di leggerezza mi serviva. C'era voglia di divertirsi, di cazzeggio.
Sergio Castellitto: Il film esiste perché esiste la scrittura, la drammaturgia. E' un film che in un certo senso deve molto al mondo del teatro. Lo definirei un film gagliardo, che tratta temi seri con una pernacchia, uno sberleffo. Sotto la patina della commedia dice molto sulla realtà, ci si può ritrovare se stessi e i propri conoscenti: specialmente una riflessione su una generazione di quindicenni che non ne possono più di avere genitori che non fanno i genitori ma pretendono di essere "amici".

Il film si può definire nevrastenico, il pedale è sempre pigiato sul grottesco. Non ne viene fuori una bella immagine della generazione dei cinquantenni. Corrisponde veramente a quello che pensate di questa generazione?
Sergio Castellitto: Girando il film pensavo a Cechov, anche lui era nevrastenico. E' il mondo che è così, ma il nostro è anche un film malinconico, basti vedere le scene dei dialoghi tra genitori e figli; con queste improvvise aperture a un tono più malinconico, che viene fuori tra le pieghe della commedia.

Avevate in mente qualche modello cinematografico, magari qualche altro film di genitori e figli?
Sergio Castellitto: No, io non ho un approccio molto cinefilo, giro senza avere modelli chiari in mente. Nel film probabilmente ci sarà finito un po' di Ferreri, un po' di Monicelli e un po' di Scola, ma non è stata una cosa voluta.

Come mai quest'uso continuo di psicologi, nel cinema? Viene in mente anche Woody Allen.
Margaret Mazzantini: E' stato solo un caso, è una professione che offre buoni spunti per sviluppi comici. Nel film, piuttosto, è importante il motivo dell'alieno, che entra in questa famiglia progressista, esponente di una borghesia illuminata, sgretolandone le fondamenta.
Sergio Castellitto: Sì, Armando attraversa la vita di questi personaggi, ma non agisce, semplicemente è. Non ha un obiettivo vero e proprio.

Nelle scene iniziali del film sembra di cogliere la visione di una Roma un po' modaiola, specie nella scelta delle location (la chiesa di Meier, il sushi bar...) Sergio Castellitto: Volevo mettere in scena l'immagine di una Roma più "metallica", quasi fascista. Avrebbe fatto da contrasto al grosso del film, che invece è ambientato in campagna, con set molto ariosi.

Recentemente Marco Bellocchio ha detto che in Italia manca una cultura cinematografica, e che il cinema che abbiamo è compiacente col potere. E' d'accordo con questa analisi?
Sergio Castellitto: Più che col potere, è compiacente con la televisione, e spesso si finge cinema scimmiottando la peggior televisione. Fortunatamente il nostro film è distribuito dalla Warner, che ha scommesso su una collocazione natalizia andando così in controtendenza rispetto a ciò che si distribuisce in genere in questo periodo dell'anno. E' stata una bella scommessa.

Perché avete scelto questo titolo, e cosa rappresenta il somaro? Forse la staticità contrapposta alla frenesia dei personaggi?
Margaret Mazzantini: Certo, il somaro rappresenta innanzitutto questo. Ma il titolo del film è anche un modo di dire per indicare l'età giovane, l'adolescenza, in cui c'è una bellezza acerba, un po' goffa.

Una domanda rivolta ad ogni membro del cast: cosa ci potere dire dei vostri personaggi?
Laura Morante: In realtà, io devo dire che quando scelgo un film in genere lo scelgo per il film nel suo complesso, non per il ruolo. Questo mi piaceva perché è un film di maschere, e in questo è molto rischioso: il tono è grottesco, quasi farsesco.
Lola Ponce: Io interpreto Gladys, una ragazza pazza come un cavallo, fuori di testa per l'amore di Marcello. Sono onorata di aver preso parte a questo film, è coraggioso uscire a Natale con una pellicola del genere. I panettoni lasciamoli a casa e mangiamoceli!
Nina Torresi: Il mio personaggio è un'adolescente adulta, che ha a che fare con dei genitori che sono dei bambinoni. Un punto di contatto che ho con lei, se vogliamo, è nelle urla...
Svetlana Kreval: Io interpreto Cornelia, la domestica. E' una rappresentazione delle domestiche e delle badanti italiane, che in Italia stanno diventando sempre più i capi dispotici delle famiglie: ormai gestiscono loro la casa, hanno il potere.
Renato Marchetti: Io sono felicissimo del mio personaggio, che è un aspirante suicida: lo trovo strepitoso come tutta la sceneggiatura. L'ho affrontato nel modo più semplice possibile, senza calcare troppo la mano. Comunque fare questo film è stata una grande esperienza.
Emanuela Grimalda: Raimonda è una donna grande che occupa uno spazio vuoto. Sfoga la sua frustrazione nel cibo, è tanto grande fisicamente quanto emotivamente fragile.
Barbora Bobulova: Io posso dire solo che fare questo film ha funzionato da antidepressivo. Ero in un periodo di pieno stress da maternità, quando Sergio mi ha proposto di farlo ne sono stata felicissima, era proprio ciò di cui avevo bisogno.
Marco Giallini: Duccio è un incorreggibile donnaiolo, e devo dire che mi ci identifico. Anche se forse, da quel lato, sono leggermente meglio di lui.