Recensione Il gladiatore (2000)

Un altro "cult-movie" da aggiungere alla collezione di Mr. Scott: chapeau!

L'impero in salsa hollywoodiana

Il gladiatore si trascina dietro un amletico interrogativo: retorica rievocazione del "bel tempo che fu" o "peplum" ai limiti del capolavoro cinematografico? Se il pubblico non ha dubbi e promuove a pieni voti Ridley Scott (già firma di "cult movies" come Alien e Blade Runner), la critica come al solito si divide.
Gli "aficionados" ne sottolineano il carattere magnificente, evidenziando una sorta di rapporto di parentela col glorioso Ben Hur di William Wyler; i detrattori al contrario ne mettono in luce gli anacronismi (presenti a bizzeffe) e le forzature narrative da "mega-produzione" obbligata a tutti i costi a registrare incassi record.

Come sempre la verità sta in mezzo. Il gladiatore non è certo un film con velleità storico-documentaristiche, tutt'altro: vuol semplicemente tenere incollato alla poltrona l'appassionato di storia romana, strizzando l'occhio a quanti si lasciano conquistare da un cinema confezionato a suon di miliardi, prescindendo dall'effettiva qualità del prodotto. Il suo mestiere lo fa bene, non c'è che dire e se il professore ha in uggia le mirabolanti peripezie del buon Massimo, lo spettatore medio esce dalla sala pienamente soddisfatto.
Il gladiatore vola alto sin dall'inizio: la rievocazione della prima battaglia in terra teutonica (la più fedele in termini storici e uniformologici) fornisce immediatamente un'idea delle dimensioni del progetto: grandioso.

Germania: il valoroso generale Massimo Decimo Meridio (Russell Crowe: L.A. Confidential, A beautiful mind) ha vita facile contro un manipolo di barbari incapaci di fronteggiare un esercito indiscutibilmente superiore. La ribellione è vinta e Massimo può finalmente pensare di "appendere la spada al chiodo" per dedicarsi alla famiglia. Ma Marco Aurelio (Richard Harris: I cannoni di Navarone, Gli spietati), l'imperatore filosofo, gli ha riservato un compito che non può rifiutare: prenderà in mano i destini di Roma all'indomani della sua morte. Non sarà il figlio Commodo (Joaquin Phoenix: 8 MM - Delitto a Luci Rosse, Signs) a farlo, perchè troppo viziato e irresponsabile. Massimo, di cui Marco Aurelio ha enorme stima, è tutta un'altra storia. A Commodo non va giù e, appresa la notizia della mancata investitura, fa fuori il babbo e ordina l'uccisione del generale e della sua famiglia. Il trono è suo.

Massimo, scampato miracolosamente alla morte, si ritrova in Africa a dover combattere accanto a schiavi destinati a saziare la fame di violenza di una pletora di berberi eccitati. Dai lustrini di Roma all'anonimato di un'arena improvvisata nel cuore del deserto. Il passato è alle spalle: il pluridecorato "Braveheart" in salsa capitolina è diventato l'ultimo dei gladiatori: ripartire alla conquista di Roma - vessata e umiliata da un volgare dittatorello - dall'ultimo gradino, non brilla certo per originalità ma si sa, attira simpatie e funziona al botteghino. Ai bordi del dipinto aggiungici una manciata di figure di decoro (Lucilla, il figlio Lucio Vero, Proximo, i senatori) e il quadro è pronto: la parabola dell'uomo che osò sfidare un impero si chiude tra l'acclamazione della folla assiepata nelle tribune del Colosseo. Massimo ha vinto, peccato che abbia coronato la sua impresa in un finale stracolmo di retorica (ma come evitarla in una pellicola simile...) e completamente privo di un briciolo di realismo. La splendida colonna sonora firmata da Hans Zimmer cresce d'intensità, le parole di Lucilla consegnano al mito la figura del generale appena stramazzato, ma dimenticarsi di un imperatore (per quanto discutibile) a bordo arena è francamente troppo. Evidentemente l'incensante climax non poteva essere interrotto ma a tutto c'è un limite...

Il Gladiatore è questo: prendere o lasciare. Il latinista non si offenda: Ridley Scott griffa un'ottima pellicola, supportata dalla straordinaria performance di un Russel Crowe definitivamente consacrato nello "star-system" hollywoodiano. Giudizio sospeso invece sul Commodo di Phoenix: ci è o ci fa? L'aura da "bamboccione" sul trono è frutto di grandi capacità recitative o di spiccate limitazioni espressive? Ai posteri l'ardua sentenza...
Le falle ci sono, il sentiero narrativo è abbastanza logoro ma i cinque Oscar (film, attore protagonista, costumi, effetti visivi, suono) a fronte delle dodici nomination è un rapporto che ci sta. Statuette pienamente meritate nonostante tutti difetti.
Un altro "cult-movie" da aggiungere alla collezione di Mr. Scott: chapeau!