Recensione Rebellion (2011)

Il ruolo ambiguo della politica, cosa si è disposti a fare per una causa che si ritiene giusta, il senso di responsabilità del singolo: tutto questo è il film di Kassovitz, che ritorna su un episodio vergognoso della nostra storia recente per parlare di civiltà e democrazia.

L'ideale e l'obbedienza

Parlare del proprio Paese è sempre una grande responsabilità, specie se il particolare momento che si vuole indagare più a fondo è un momento controverso, in cui hanno giocato poteri forti, di quelli a cui pestare i piedi può portare dei problemi. Sarà per questo che Mathieu Kassovitz ci ha messo tanti anni a veder realizzato il suo progetto, in cui è sia regista che attore; ma probabilmente è per lo stesso motivo che sentiva così forte la necessità di portarlo a termine. La storia di ogni Stato ha dei punti oscuri, delle macchie nel proprio curriculum che ne ledono l'immagine di realtà democratica, equa, solidale con tutti i propri cittadini. E alcune sono macchie impossibili da cancellare, la cui memoria, allo stesso modo, non deve sparire: perché un futuro migliore si basa sulla comprensione e sulla riflessione sul proprio passato, per quanto vergognoso sia.

Kassovitz interpreta Philippe Legorjus, capitano del Groupe d'Intervention de la Gendarmerie Nationale (GIGN): nel 1988, la sua squadra viene inviata in Nuova Caledonia per trattare con i ribelli Kanak, rei di aver fatto irruzione in una gendarmeria dell'isola, aver rapito venti uomini e averne uccisi cinque. Philippe è un negoziatore, e crede che il suo compito sarà quello di stilare un accordo che preveda la liberazione dei prigionieri con il minor spargimento di sangue possibile. Ma, arrivato a destinazione, scopre che l'esercito ha già preso il comando delle operazioni, e non sembra intenzionato ad andarci per il sottile. E' facile comprendere il motivo di una così dura presa di posizione da parte delle autorità: le elezioni presidenziali sono alle porte, e la gestione della faccenda della Nuova Caledonia potrebbe modificare gli equilibri del voto. Per i politicanti altro non è, quindi, che una ghiotta occasione per prodursi in atti dimostrativi, per assicurarsi ancora una volta una poltrona, a discapito di vite umane, siano d'oltremare o provenienti dal suolo francese. Per Philippe le cose si fanno ancora più complicate di quanto già non comportasse la difficile situazione: convinto che la soluzione non violenta sia comunque la migliore, si dedicherà, nonostante la disapprovazione dei piani alti, a conquistare la fiducia del capo dei ribelli, e a permettere che le sue rivendicazioni possano essere ascoltate dall'opinione pubblica internazionale, in modo da aprire la strada a una liberazione degli ostaggi il più indolore possibile.
Il Legorjus di Kassovitz è quindi un uomo dai saldi ideali, intenzionato ad agire per il bene, semplicemente applicando con senso del dovere i principi alla base del proprio lavoro, quelli che ha giurato di proteggere. Ma Legorjus non è neanche un illuso: sa che di fronte a certe imposizioni l'unica scelta è quella di piegarsi, perché un vero soldato deve, in ultima analisi, sempre obbedire agli ordini. La tensione tra la percezione dell'ingiustizia, nei confronti di se stesso e del proprio impegno, ma soprattutto nei confronti di un'idea di Stato che non dovrebbe giocare con le vite dei propri cittadini, e la rassegnazione al farsi da parte è il motore del personaggio, e Kassovitz incarna con la giusta intensità il tormento del proprio protagonista. Intento della sua regia è quello di avvicinarsi il più possibile agli uomini che prendono parte alla vicenda, a seguirli nelle loro esitazioni, nei loro rovelli, così come nella loro cieca determinazione, nella loro ottusità. Perché in questa storia, così come in tante altre, si chiama in causa sempre qualcuno di più in alto, qualcuno a cui si è dovuto rispondere, ma la responsabilità di quegli atti, le loro conseguenze, ricadranno sempre su chi era lì, ed il regista ne vuole giustamente dare conto. Allo stesso modo, anche le relazioni tra i personaggi sono tratteggiate in maniera efficace: l'incrinarsi degli equilibri di potere, il momento in cui viene accordata un'insperata fiducia, il crollo di ogni speranza sono tutti passaggi affrontati con attenzione. Kassovitz mantiene il polso sufficientemente fermo anche nelle scene d'azione, girate con uno stile asciutto ma che si apre anche ad apprezzabili guizzi di creatività, e che rappresentano un piacevole intermezzo in un film altrimenti abbastanza statico, in cui il fulcro è giustamente decentrato in favore dei momenti di attesa, di incertezza, dei tentativi frustrati, dell'impotenza di fronte al dramma.

Dire che riflettere su una pagina così oscura del nostro passato recente è importante, se non necessario, sembra quasi superfluo. Eppure sono proprio fatti come quelli del 1988 in Nuova Caledonia a testimoniare che c'è ancora molto da fare per mettere in pratica fino in fondo quegli ideali di democrazia e giustizia dietro ai quali ci trinceriamo, credendoci superiori e intoccabili, ed il film di Kassovitz è un'occasione per non lasciare inascoltati gli avvertimenti che ci vengono dalla storia.

Movieplayer.it

3.0/5