Recensione I Don't Want to Sleep Alone (2006)

Tsai Ming Liang torna nella sua Malesia, fotografa l'inesistenza degli immigrati e dei vagabondi che popolano i non-luoghi di una città immobile, pone i corpi in orizzontale, vicini, per dar conto della distanza incolmabile che li divide.

L'amore muto sul materasso

I personaggi del cinema di Tsai Ming Liang continuano ad essere senza voce, anime sole che non sanno comunicare, ma che provano comunque ad avvicinarsi, a respirare i propri odori, a leccarsi le carni sudate per gustarne il sapore, così intenso e rigenerante, celato in corpi che si aggirano come fantasmi in città sempre più invivibili. Non ci si può più neppure baciare in un mondo paralizzato nell'umidità, dove è la malattia, piuttosto che la vita, a diffondersi senza regole, costretti a coprirsi le labbra con mascherine anti-amore. Eppure il bisogno di prendersi cura dell'altro è ancora forte, è un dolce tormento che va oltre le richieste d'aiuto, e diventa un'occasione per sentirsi, per riconoscersi attraverso il contatto fisico, in attesa di un gesto, uno sguardo, un lampo di vita.

Tsai Ming Liang torna nella sua Malesia, fotografa l'inesistenza degli immigrati e dei vagabondi che popolano i non-luoghi di una città immobile, pone i corpi in orizzontale, vicini, per dar conto della distanza incolmabile che li divide e sussurra, ancora una volta, vive l'amour, sulle ninne nanne di Mozart, che accompagnano viaggi d'amore su materassi galleggianti. Le sue solite, interminabili inquadrature fisse sono quadri autarchici di estrema perfezione stilistica, con un gusto straordinario nella disposizione dei corpi negli spazi, che ipnotizzano e sanno sfamare chi ha ancora voglia di immergersi in un cinema senza compromessi, che è solo potenza d'immagini e soffi di infinito.

E la vita che ci sbuffa in faccia il regista malese, arrivato senza mai incespicare al suo nono film, passa attraverso incontri inaspettati, possibilità dalla pelle sudata, sensazioni liquide che scorrono sotto la superficie e si incuneano tra le ossa rotte, tra i muscoli stanchi, massaggiati con vigore da mani sconosciute. Dopo l'inerte sesso in scatola de Il gusto dell'anguria, ai protagonisti di I Don't Want to Sleep Alone sembra essere rimasto solo l'amore con la mano: il petting per strada, la masturbazione del corpo in coma, i baci appassionati sul palmo caldo dopo una carezza. C'è ancora la possibilità di immergersi nel corpo di un'altra persona e, finalmente, non sentirsi più soli? L'attesa dell'amore sta nel sonno di corpi addormentati sopra letti d'acqua.

Non è facile entrare tra le pieghe silenziose del cinema di questo regista sempre così acuto nel rappresentare la realtà, l'incomunicabilità, l'impossibilità degli esseri umani di fondersi l'uno nell'altro, eppure è un piacere indescrivibile lasciarsi sommergere da tanta, crudele meraviglia.