L'abbuffata di Mimmo Calopresti a Roma

Il regista e la protagonista del film Valeria Bruni Tedeschi chiudono i lavori della Festa del cinema numero 2.

Con L'abbuffata di Mimmo Calopresti, proiettato per la stampa stamattina, si è conclusa ufficialmente questa seconda edizione della Festa del cinema di Roma. Ora non resta che aspettare la proclamazione dei vincitori nelle varie sezioni. Ed è una chiusura simbolica quella di Calopresti, autore di un appassionato omaggio al cinema e ai suoi sogni, rincorsi da tre ragazzi di Diamante che coinvolgono l'intero paese nella realizzazione di un cortometraggio su un amore perduto e poi ritrovato. Il regista e l'attrice Valeria Bruni Tedeschi ci parlano di questa storia nata in territorio iraniano, ma arrivata sui lidi calabresi, che ha visto gente comune ed attori professionisti prendere parte, entusiasti, al progetto.

Mimmo Calopresti, questo suo quinto film arriva a quattro anni di distanza dal suo ultimo lungometraggio, e sembra nato sotto due segni: quello della libertà, di contenuti e di espressione, e quello della ribellione verso un certo tipo di cinema e di televisione. E' un impressione giusta?

Mimmo Calopresti: Non mi sento mai pacificato rispetto al cinema e alla vita. Da un paio d'anni facevo documentari e girando per l'Italia ho incontrato tanti ragazzi con il sogno del cinema. Questa cosa mi ha riempito di gioia perché va oltre il dibattito sulla sua crisi e conferma la vitalità dei giovani. L'abbuffata è un film su un'idea forte di felicità, su dei giovani che partono e provano a fare il loro film, quello che è successo un po' a me. Il soggetto mi è stato spedito da Valeria Bruni Tedeschi ed in origine raccontava di un ragazzo iraniano che voleva fare un film nella sua terra con un grande attore americano, quindi un film politico che però non riusciva ad andare avanti. Abbiamo allora deciso di cambiare e di trapiantare questa storia nel Sud Italia. I ragazzi del mio film hanno il desiderio di cambiare la propria vita attraverso il sogno del cinema, e in questo esprimono anche il bisogno un po' superficiale di divertirsi. Per poter realizzare questa pellicola ho dovuto fare le cambiali, proprio come le fece mio padre per comprare il frigorifero e la televisione, ma sono estremamente soddisfatto del risultato.

Nel suo film lei parla di cinema come mondo dei sogni e di televisione come luogo di noia, orrore e violenze, davanti alla quale si può addirittura morire. Perché?

Mimmo Calopresti: Una volta un mio amico mi raccontò un episodio buffo ed inquietante legato ad una sua zia che, facendo zapping, disse "stasera non c'è nulla da vedere in televisione" e un secondo dopo morì. Ho voluto riprendere questo ricordo per il mio film che rappresenta anche un po' una critica ad una televisione che offre un mondo che ti travolge completamente, ma che per me è ormai finito. Oggi si rischia di morire di fronte alla noia della televisione.

Quanto di Mimmo Calopresti c'è nei vari personaggi del film?

Mimmo Calopresti: Pensando a questo film mi è venuto in mente il fatto che quasi sempre gli autori si prendono e vengono presi troppo sul serio, allontanandosi così dal mondo. Apprezzo la Festa di Roma perché ha il pregio di far avvicinare le persone al cinema ed io con questo film volevo proprio uscire dalla torre d'avorio nella quale ci siamo rinchiusi, prendendoci anche un po' in giro. Nei tre ragazzi che inseguono il proprio sogno c'è il mio bisogno di andare ovunque ci sia benessere e vita. I ragazzi del Sud non sono solo quelli di Ammazzateci tutti, il movimento anti-'ndrangheta di Locri, ma sono tutti coloro che vogliono amare e che rappresentano la speranza del cambiamento. In più questi ragazzi, con la loro goffaggine nell'andare nel mondo, mi ricordano me stesso che vago in città straniere per cercar fortuna. Il loro spirito avventuriero lo condivido in pieno: nella vita bisogna conquistarsi da soli le cose.

Il titolo del film, L'abbuffata, si riferisce all'abbondante cena finale che ha conseguenze inaspettate per i protagonisti. Qual è il suo rapporto con il cibo?

Mimmo Calopresti: Ho messo nel film quella che è la mia esperienza. Quando tornavo a Reggio Calabria con mio padre, tutte le domeniche d'estate, c'era questo rito di dover andare a mangiare ogni volta da tutti i parenti, che è anche una cosa divertente certe volte, ma per me in generale è stato un incubo che ho voluto riprendere in questo film.

E del suo rapporto col Sud cosa ci dice?

Mimmo Calopresti: Quella che c'è nel film è l'idea del Sud che mi piace, quella degli immigrati che hanno trovato il benessere altrove, ma hanno perso la possibilità di aprire la finestra e affacciarsi alla meraviglia della natura al tramonto. Il Sud è il mito. Nel film il personaggio di Valeria Bruni Tedeschi dice "è bello morire a Diamante". Io voglio bene a tutto il Sud e spero che ci sia una possibilità di cambiamento. Spesso la rappresentazione dei ragazzi del Sud è limitata perché vengono mostrati come un problema, ma queste persone sono molto di più e devono essere messi in condizione di poter prendere in mano il proprio destino. Vorrei che l'idea del Sud come un mondo chiuso si rompesse finalmente.

Come ha scelto gli attori non professionisti per il suo film?

Mimmo Calopresti: Nel film sono mischiati attori e persone "vere" di Diamante che desideravano tanto partecipare alla sua realizzazione. E' stato molto tenero lavorare con persone che non sapevano nemmeno chi fosse Gerard Depardieu, ma entusiaste del suo arrivo, quando tutte aspettavano il "grande attore". Abbiamo realizzato il film con in testa l'idea del grande gioco del cinema e volevamo restituire agli spettatori questo divertimento e questa voglia di fare che c'era sul set. Durante la lavorazione del film aleggiava una certa aria felliniana, come quando abbiamo girato a Cinecittà, perché c'era tanta gente che desiderava entrare nel film, essere immortalata in un'inquadratura. Fellini era uno che i sogni li ha messi direttamente nel cinema, e quindi li ha realizzati e a me rende entusiasta vedere che c'è ancora tanta gente che crede nella magia del cinema.

Lei nel film dice che il cinema ha bisogno di purezza. In che senso?

Mimmo Calopresti: Il mio lavoro è un lavoro di racconto della realtà. Il cinema è il mezzo più potente di far vedere la verità, perché ha la capacità per esempio di mostrare un tramonto, che è qualcosa che va al di là della messa in scena.

Valeria Bruni Tedeschi, è stata lei ad inviare a Calopresti il soggetto dal quale è stato poi tratto il film. Com'è andata?

Valeria Bruni Tedeschi: Avevo letto, grazie ad una mia amica iraniana, un soggetto di un ragazzo, suo connazionale, che aveva già scritto soggetti per Kiarostami. Amo molto il cinema dell'Iran perché mi stupisce sempre e quando ho letto questa piccola storiella ho pensato subito a Mimmo. Sapevo che questa idea poteva corrispondere all'idea di libertà e di innocenza che cerca sempre lui. La storia era ambientata in Iran, ma immaginavo si potesse adattare a qualsiasi piccolo villaggio dell'Italia, non solo ad uno del Sud. Gli ho quindi spedito il soggetto pensando che l'avrebbe rifiutato, per una presa di posizione, e invece il giorno dopo mi ha chiamata per dirmi che lo trovava molto bello, emozionante, e che voleva farlo suo. Quando poi mi ha chiesto di interpretare un piccolo ruolo ho accettato volentieri perché per me era un modo simbolico per tenere ancora la mano a questa storia, che sapevo sarebbe stata messa in scena al meglio da Mimmo. Calopresti per me è uno dei più grandi registi italiani e ha solo bisogno di poter volare come un uccello.