Recensione Sword in the moon - La spada nella luna (2003)

Tecnicamente molto meno ineccepibile dei classici a cui si ispira, il film azzecca alcuni buoni momenti ma si trascina un pò stancamente nella retorica del genere, incapace di affrancarsi da un incipit troppo esplosivo che costringe il film a vivere esclusivamente sulla sfera dell'azione.

Korean wuxiapian

Lo si è detto in più occasioni: il cinema coreano moderno ha, come tutte le cinematografie in salute, due anime: una più ricercata e sperimentale, ricca di eccellenti prodotti e che vede in Kim Ki-duk il suo simbolico portavoce e una più spettacolare e attenta ai gusti di un pubblico molto ricettivo. A fondamento di questa condizione c'è un industria che si appoggia su una società attualmente in un periodo rigoglioso dal punto di vista economico-produttivo. Molto spesso è infatti, il solo mercato interno sufficiente a garantire la fortuna di film con altissimi budget, permettendo di conseguenza alle distribuzioni estere titoli di successo a prezzi ridotti. E' in ragione di tale argomentazione che, solo negli ultimi nove mesi, in Italia sono passati al cinema una ghost-story ringuista come Two Sisters, un action-movie sopra le righe come Tube, il Blade Runner digitale coreano Natural City e ora questo La spada nella luna, piuttosto che autentiche perle come Sympathy for Mr. Vengeance o Memories of a Murder per citare solo un paio di eccellenti film.

Cifra comune di quest'ala mainstream della produzione coreana pare essere, oltre all'evidenti possibilità produttive, un'ostentata ricerca dell'effetto visivo spesso fine a sè stesso, una scrittura prolissa e confusionaria, un sottostrato melò tipicamente orientale e una costante attenzione alla vendibilità del prodotto oltre le mura nazionali. Sword in the moon non fa eccezione, anzi rende paradigmatica la pretestuosità del suo plot come puro meccanismo di produzione di eventi filmici. Eppure, in un modo o nell'altro restituisce al genere wuxiapian una certa fisicità primordiale assente in qualche modo nella rilettura portata in dote dai due film di Zhang Yimou, specie Hero.

Il wuxiapian coreano conta qualche precedente, ma di certo l'incursione nello sfavillante cinema dei cavalieri erranti conta numericamente e qualitivamente prodotti comunque inferiori alla produzione cinese e hong-konghese che il regista Kim Eui-Suksembra proprio prendere ad ispirazione non cogliendone appieno lo spirito originario. Narrativamente Sword in the Moon non si discosta dai temi e dai luoghi simbolici del genere, raccontando la storia di due eccezionali combattenti Gyu-yeop e Ji-hwan, discendenti della scuola Vento fresco, luna chiara, sulla cui spada è inciso il nome. Di fronte a un tragico ricatto Gyu-yeop è costretto a spalleggiare un colpo di stato per salvare i propri uomini da uno sterminio. I due, uno ufficiale altro samurai, ormai nemici, dovranno fronteggiarsi cinque anni dopo, quando il ritorno dei samurai mieterà vittime tra gli ufficiali colpevoli del colpo di stato, per arrivare al re.

Tecnicamente molto meno ineccepibile dei classici a cui si ispira, il film azzecca alcuni buoni momenti ma si trascina un pò stancamente nella retorica del genere, incapace di affrancarsi da un incipit troppo esplosivo che costringe il film a vivere esclusivamente sulla sfera dell'azione. Ma Kim Eui-Suk non è Tsui Hark e la sua messa in scena si dimostra troppo lacunosa. Le abbondanti scene di combattimento sono dirette in modo poco convincente: l'uso del ralenti diventa spesso l'unica chiave stilistica messa in gioco, il montaggio è così caotico da disturbare e il commento sonoro appare eccessivamente enfatico. Anche la fotografia non colpisce mai veramente nel segno, per quanto alcuni totali si mostrano piuttosto suggestivi, come d'altronde i costumi e lo sfoggio di armi coreane dell'epoca.