Arrivare a 82 anni e dirigere un lungometraggio come Killers of the Flower Moon (leggi la nostra recensione) non è da tutti, e in effetti Martin Scorsese non è chiunque ma uno dei più grandi maestri del cinema contemporaneo. I progetti da sviluppare li sceglie ormai con molta cura, dedicandoci anima e corpo, e la storia degli Osage era uno di quei racconti veri e drammatici che l'autore voleva trasporre da tempo, da quasi un decennio.
L'uscita del saggio di David Grann ha aiutato Scorsese a chiarire alcune idee di tono, avvicinando il prodotto a un modello di cinema effettivamente più congeniale, eppure non si può dire che Killers of the Flower Moon sia un pedissequo adattamento di quel saggio romanzato (come lo è anche lo splendido Il diavolo e la città bianca di Erik Larson). Molto più corretto descriverlo come un tragico spaccato del cuore nero del capitalismo americano e del suo principio espansionista e colonialista impugnato in senso interno e parassitario, dedicando tempo e attenzioni cinematografiche al disfacimento concreto e spirituale di un popolo molto ai limiti del genocidio.
Voluto dal caso, voluto dal destino
Tale rivendicazione è per diritto del nostro destino manifesto di diffonderci e possedere l'intero continente, che la Provvidenza ci ha dato per lo sviluppo di un grande esperimento di libertà.
La citazione è del giornalista J. O'Sullivan e per prima, a metà del XIX secolo, ha introdotto la concezione di Destino Manifesto. Il pensiero univoco (Sullivan era fervente sostenitore democratico) era che gli Stati Uniti d'America avessero la provvidenziale missione di espandersi su tutto l'intero continente Nord Americano (ma poi ovunque), così da diffondere il loro modello liberale e democratico. Non solo una forma mentis politica di stampo palesemente espansionistico e colonialistico, ma anche una sorta di fede cieca nella presunta bontà della missione, chiara e voluta dal destino. Tale ideale venne soprattutto adottato nel periodo di annessione dei territori del Texas, dell'Oregon o del New Mexico, tutte zone abitate da secoli dalle diverse tribù di nativi americani, compresa la Nazione Osage protagonista di Killers of the Flower Moon. La differenza sostanziale tra Stato e Nazione è nei vincoli che tengono insieme la comunità, che in un caso sono di stampo giuridico, dando una lettura strutturale dell'organizzazione, nell'altro sono sociali, fatti proprio di persone.
Parlare di Nazione significa identificare un popolo su di una base identitaria, non politica. Lo sterminio avvenuto da parte statunitense contro i nativi è di fatto un genocidio, ma il fatto più increscioso in termini di comunicazione e giustificazione è stato proprio ricorrere all'espressione del Destino Manifesto per nobilitare la causa. Prendendo in esame la vera storia raccontata da Scorsese, il popolo Osage si spostò nei territorio dell'Oklahoma sotto promessa dello Stato Federale che non vi sarebbero state nuove intrusioni "di coloni bianchi", tutt'al più che Oklahoma - in lingua choktaw - significa proprio "persona rossa", a indicare l'identità stessa di quelle zone.
Lì si scoprirono però molto presto dei ricchissimi giacimenti petroliferi le cui concessioni finirono in mano agli Osage, motivo che trasformò profondamente l'approccio della Nazione in relazione al dilagante capitalismo di matrice statunitense, proprio intriso di sogno americano e di Destino Manifesto, gli stessi principi che guidarono i "coloni bianchi" nuovamente in quelle zone, alla ricerca di fortuna anche sottostando ai proprietari nativi e alle loro ingenti fortune. Nel ventesimo secolo, però, il pensiero era che la cultura indiana fosse destinata all'estinzione, tanto che i bianchi di Fairfax e delle contee Osage li chiamavano il popolo scelto dal caso (lo sottolinea Scorsese anche a inizio film), che rappresenta un'interessante contraltare "all'inevitabile missione voluta dal destino" degli statunitensi, come a depauperare intenzionalmente a priori una nazione delle sue ricchezze perché "casualmente ottenute", convinti della bontà provvidenziale delle proprie azioni contro.
Gli Osage: chi sono i nativi di Killers of the Flower Moon?
La coperta di Scorsese
È davvero quanto descritto finora che muove tutti gli ingranaggi della vera storia degli omicidi Osage e del lungometraggio, dove l'autore sfrutta l'occasione per mostrare la violenza e l'ipocrisia con cui si è deciso a tavolino il quasi-sterminio di un popolo in nome del cuore nero del capitalismo e della corrotta idea che tanto, prima o poi, sarebbe arrivata comunque la fine di questi nativi. Il regista mette in scena un film di caratura maestosa, distendendo i suoi intenti e la sua volontà autoriale come fosse una grande coperta cinematografica, proprio come quelle stese sulle spalle delle donne Osage e del meraviglioso personaggio di Lily Gladstone, e con cui i bianchi le appellano senza distinzione e con malizia. Scorsese stende questo velo sul corpo martoriato di una Nazione dall'interno e dall'esterno, riverso nel sangue di mille soprusi, inoltrandosi per altro nell'intuizione narrativa di mostrare il punto di vista sia del "tarlo bianco" che "della coperta rossa", e anzi incrociandoli, portando in superficie drammi e contraddizioni della tragedia.
Se il William Hale di Robert De Niro è allora la personificazione del volto oscuro del Destino, Ernest Burkhart di Leonardo DiCaprio è quello più arendtiano della banalità del male, così come la Mollie Kyle della Gladstone rappresenta tutta la sofferenza patita dall'interno Nazione Osage, maltrattata, avvelenata, dissacrata una cellula alla volta, fino alla salvezza voluta dal cielo - e quindi dalla provvidenza, a ribaltare il caso - e inviata ai nativi sotto forma di bureau federale, un organo governativo messo al servizio della protezione di un'identità sociale e culturale. Che è poi da queste infiltrazioni dei federali che si muove il racconto di Killers of the Flower Moon nel saggio di Grann, ma Scorsese voleva un taglio cinematografico e drammatico che mostrasse una chiara transizione dalle vecchie strutture del passato e alle nuove prospettive del presente, sequenziando ad esempio il passaggio del modello western a quello gangster senza soluzione di continuità e sfruttando quindi i due generi per sottolineare l'oscenità contraddittoria del Destino Manifesto davanti alla vera giustizia, reale e cinematografica.