Judas and the Black Messiah, la recensione: il grido delle Black Panther, è il momento dell'orgoglio nero

La recensione di Judas and the Black Messiah, spaccato storico di Shaka King che ricostruisce la storia del Leader delle Black Panther Fred Hampton, in esclusiva digitale da oggi.

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Judas and the Black Messiah: Daniel Kaluuya in veste di insegnante

Pellicole come One Night in Miami, Il processo ai Chicago 7 e Da 5 Blood stanno risvegliando le coscienze del pubblico anestetizzato dal comfort claustrofobico delle pareti domestiche facendo parlare di sé nella corsa agli Oscar. La ciliegina sulla torta è l'opera radicale di Shaka King analizzata nella nostra recensione di Judas and the Black Messiah. Un film che non fa sconti nel mettere il pubblico di fronte alle responsabilità delle fazioni in campo - Black Panther ed FBI - mentre ricostruisce la storia di uno dei leader più giovani e stimati delle Pantere Nere, Fred Hampton.

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Judas and the Black Messiah: LaKeith Stanfield in una scena del film

La prospettiva scelta da Shaka King, regista e sceneggiatore insieme a Will Berson, rappresenta uno dei punti di forza di Judas and the Black Messiah. Anche se è la strepitosa performance di Daniel Kaluuya al centro della stagione dei premi, la storia di Hampton è raccontata dal punto di vista di William O'Neal, truffatore e ladro d'auto interpretato da Lakeith Stanfield, ingaggiato dall'FBI per infiltrarsi nella sezione delle Pantere Nere di Chicago e fornire informazioni su Hampton e i suoi compagni. Ad aprire il film sono finte immagini di repertorio che ricreano l'intervista rilasciata da Bill O'Neal per il documentario della PBS Eyes of the Prize II in cui l'ex informatore racconta la sua esperienza nelle Black Panther. Il vero O'Neal, che troviamo alla fine del film, è morto suicida la sera stessa della messa in onda del documentario.

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La Rivoluzione è l'unica soluzione

Il rivoluzionario marxista-leninista stoico e l'informatore pavido, bugiardo e opportunista interpretati da Daniel Kaluuya e Lakeith Stanfield sono due facce della stessa medaglia. Ai discorsi appassionati e all'abnegazione di Fred Hampton corrispondono le menzogne di Bill O'Neal, ma entrambi sono mossi dallo stesso scopo: cambiare la loro condizione nell'America degli anni '60 in cui i diritti civili dei neri sono ancora un'utopia. Illuminante, in tal senso, la conversazione tra l'agente Roy Mitchell (Jesse Plemons), burattinaio di O'Neal che si professa a favore della parità tra bianchi e neri, e il capo dell'FBI J. Edgar Hoover (un irriconoscibile Martin Sheen), a sua volta manipolatore supremo, in cui quest'ultimo chiede a bruciapelo a Mitchell come reagirà quando la figlia neonata, un giorno, "porterà a casa un negro".

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Judas and the Black Messiah: Daniel Kaluuya in una sequenza

Alle storie dei personaggi, in Judas and the Black Messiah, si affianca la Storia con la S maiuscola, la storia di una nazione, la storia del Movimento per i Diritti Civili, la storia delle operazioni segrete dell'FBI volte ad arginare il Movimento minando la credibilità dei suoi leader o eliminandoli fisicamente, come nel caso di Fred Hampton, ucciso nel sonno in un raid della polizia nel suo appartamento. Il corposo lavoro di ricerca di Shaka King e Will Berson si traduce in una pellicola solida e complessa che, pur concentrandosi sui risvolti umani delle vicende, brilla per equilibrio e asciuttezza. Poche le concessioni all'emotività, perfino nella ricostruzione della tenera storia d'amore tra Fred Hampton e la compagna Deborah Johnson (Dominique Fishback), incinta di suo figlio che nascerà un mese dopo la sua morte.

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Il punto di contatto tra storia e spettatore

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Judas and the Black Messiah: LaKeith Stanfield e Jesse Plemons in una scena

Shaka King è solo al secondo lungometraggio, ma sembra avere le idee chiare. Con il suo afflato rivoluzionario e la lucida denuncia della violenza e della sopraffazione di FBI e Polizia (con l'avvallo del Governo americano, ovviamente), il regista non fornisce solo un quadro preciso della situazione dei neri americani negli anni '60, ma mette lo spettatore in grado di unire i puntini cogliendo le assonanze col presente e con le proteste di Black Lives Matter. Quella tra neri e polizia si configura come una vera e propria guerra e Fred Hampton, da buon comandante, si dimostra abile ad arringare le folle per reclutare volontari e a costruirsi una rete di alleati, la Rainbow coalition. Non c'è idealizzazione né agiografia nella sua figura, ma una lucida ricostruzione storica, favorita da un sapiente uso di pochi, ma significativi materiali di repertorio, in cui si coglie una decisa prospettiva politica che trapela dalla narrazione senza forzature.

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Judas and the Black Messiah: una scena del film

In questo quadro così dettagliato, il Bill O'Neal di Lakeith Stanfield rappresenta il motore degli eventi drammatici avvelenando silenziosamente la lotta con il suo tradimento. Il vero O'Neal accettò il ruolo di informatore per evitare la prigione. La recitazione nervosa di Stanfield, i suoi sguardi obliqui e sfuggenti, le esplosioni di rabbia funzionali a distogliere ogni possibile sospetto dai parte delle altre Pantere ci restituiscono la sete di denaro mista ai sensi di colpa di un personaggio che non solo aderì alla lotta delle Black Panther, ma arrivò perfino a fare carriera nell'organizzazione divenendo capo della sicurezza. Bill O'Neal è il vero punto critico di Judas and the Black Messiah, la breccia che ci aiuta a penetrare un film rigoroso, per certi versi granitico, mettendoci in grado di comprendere fino in fondo un'epoca e i suoi conflitti.

Conclusioni

Daniel Kaluuya e Lakeith Stanfield, forti di due performance centrate ed efficaci come evidenzia la recensione di Judas and the Black Messiah, sono parte del dettagliato quadro storico di Shaka King incentrato sul Movimento per i Diritti Civili dei neri e sulle Black Panther. Una ricostruzione dettata da una rigorosa visione politica in cui si innesta, con grande efficacia, l'elemento umano.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
3.9/5

Perché ci piace

  • L'equilibrio e la sobrietà di Shaka King nel costruire con precisione un quadro storico di un'epoca centrale per i diritti umani.
  • Le performance efficacissime di Daniel Kaluuya e Lakeith Stanfield.
  • L'attenzione ai dettagli e l'uso sapiente dei materiali di repertorio.

Cosa non va

  • Il film è a suo modo rigoroso e fornisce pochi appigli emotivi allo spettatore concentrandosi soprattutto nel restituire un sapore e una visione politica.