Una domanda, quella del titolo, che si presta a numerose risposte. Forse le risposte che ne derivano non sono del tutto compiute, e forse non sono del tutto granitiche, ma è comunque chiaro che nei due film di Todd Phillips, basati sul villain della DC, ci sia parecchio materiale umano su cui ragionare. Per questo, bisogna partire innanzitutto dal titolo scelto per il discusso sequel, Joker: Folie à Deux. Una follia a due, diremmo, prodotta un po' a sorpresa dopo lo strepitoso one shot del 2019 (immediatamente diventato instant cult generazionale, un po' come avvenuto per Taxi Driver), ma comunque in grado di catturare l'attenzione (almeno teoricamente) avendo come co-protagonista una certa Harley Quinn, rivista per l'occasione da Lady Gaga.
Ora, l'idea di immediata lettura sarebbe che questa doppia follia si riferisca sia ad Harley che all'Arthur Fleck di Joaquin Phoenix, protagonisti di un continuo scambio, tra numeri musicali in stile Broadway e un'aula di tribunale. Lettura però troppo semplicistica e superficiale, in quanto la folie à deux nel campo medico è la definizione di un disturbo psicotico condiviso - un sintomo di psicosi che viene rimpallato da una persona all'altra, per farla breve - ma, nei film, è anche riferibile al doppio scambio tra Arthur Fleck e Joker, che nel sequel (così come alla fine del primo film) diventano due entità quasi separate, capaci di influenzarsi a vicenda, alterandosi fino alla definitiva metamorfosi.
Joker: Folie à Deux, una follia scaturita dal disagio
A tratteggiare questa caratteristica l'intro di Joker: Folie à Deux. Una introduzione animata, in stile Looney Tunes, e realizzata da Sylvain Chomet. Una breve sequenza che mostra quanto l'anima di Fleck sia essenzialmente divisa in due, e ben presto ingoiata dalla presenza del suo clownesco alter-ego (tanto che Fleck, in aula di tribunale, verrà difeso da... Joker). Piccolo passo indietro: la sindrome del disturbo psicotico condiviso (conosciuta anche come sindrome di Lasègue-Falret) è estremamente rara, e documentata da una manciata di casi appena, ma risulta coerente con la scelta narrativa di Todd Phillips. Ovvero, la follia scaturita e ampliata in Arthur parte da un disagio intrinseco, tipico di chi vive socialmente ai margini, e in completo disagio, agganciato in quella che potrebbe essere una realtà dissociata. Lo stesso profilo di Arthur, e lo stesso profilo di Harleen "Lee" Quinzel, incontrata durante la detenzione dell'Arkham State Hospital.
Eppure, la suggestione psicotica tra i due è successiva all'influenza di Joker su Fleck. E qui veniamo alla domanda iniziale, Arthur è davvero cattivo, oppure è vittima di un società aberrante, bullizzante e denigratoria? Certo è, che la divisione tra le due "fazioni" (anche ideologiche, se volgiamo) è decisamente sottile. Tra l'altro, l'infatuazione amorosa di Fleck verso Lee fa (ri)accendere la presenza di Joker, come se stessimo leggendo Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, che finirà per risultare la parte dominante dell'uomo, annichilendo Arthur.
Joker: Folie à Deux, Joaquin Phoenix e Lady Gaga: "Il nostro? Un sequel che capovolge le regole"
Una trasformazione spaventosa
Una parte della risposta al quesito - ripetiamo, non per forza oggettiva - deriva dalle sfumature dei villain di Gotham City. La grande fortuna di Batman, del resto, arriva dall'eccezionale caratterizzazione dei suoi cattivi. Non è da meno Joker, in parte riscritto da Todd Phillips in due film che fungono da origin story. Cattivi mai standardizzati, aperti a numerose letture, umanizzati, profondi. La follia infettiva di Fleck, allora, deriva dal suo drammatico passato, tra abusi e violenza, nonché segnato da un trauma celebrale che lo condizionerà per il resto della vita. "Nato per portare gioia e allegria nei cuori della gente", il povero Arthur diventa bersaglio di se stesso, delle sue risate, e di quell'odio che lo ha tragicamente accompagnato fino a consumare un omicidio in diretta tv.
Noi, dall'altra parte, diventiamo spettatori di una trasformazione spaventosa nei suoi riverberi attuali, in quanto appare chiaro che il Joker sia un'estensione malvagia di Fleck; una risposta all'odio covato, il frutto di un male subito per anni, e quindi liberato e legittimato secondo i canoni psicotici di un individuo disturbato, pronto ad accendere una società sull'orlo di una crisi isterica (innegabile la modernità della sceneggiatura del film del 2019). Tant'è, che finirà per infettare l'intera Gotham City, che lo elargirà a simbolo rivoluzionario.
Dunque, la folie à deux iniziale si allarga fino ad una folie à plusieurs (follia di molti), secondo i tratti del disturbo psichiatrico, in cui al vertice c'è sempre una persona dominante. Tuttavia, l'induttore, scopriamo essere, non è Fleck, bensì il pagliaccio Joker prima (summa delle esperienze negative), e Lee dopo (altra summa, in questo caso l'idealizzazione dell'amore): il pensiero impazzito del clown assoggetta Arthur, che poi verrà assoggettato da un'altro induttore, ossia la stessa Lee, come vediamo in Joker: Folie à Deux. Una lunga catena in cui la follia diventa l'esaltante presa di coscienza, mischiando realtà e finzione, tra cinema e brutale verità. O per meglio dire, seppellendo, sotto un'inquieta risata, quel precario confine tra vittima e carnefice.