Il 23 marzo 2023 uscirà nelle nostre sale John Wick: Capitolo 4, il nuovo film dell'iconica saga action interpretata dal divo Keanu Reeves, con la sapiente regia di Chad Stahelski.
La saga continua a regalarci forti emozioni dall'ormai lontano 2014, anno d'uscita del primo episodio. Come tutti sappiamo, Keanu Reeves è molto legato al personaggio e soprattutto ad una tipologia d'azione tipicamente orientale. Non a caso il suo esordio alla regia era proprio una co-produzione con la Cina, per il quale aveva convocato un gran bel numero di star del settore: stiamo parlando dell'ingiustamente dimenticato Man of Tai Chi.
Ad ogni modo, di seguito esploreremo 5 cult asiatici visti sicuramente più e più volte dalla coppia Keanu Reeves e Chad Stahelski.
1. A Better Tomorrow (1986)
Una lista del genere, non può non partire dal primo vero crime-movie del maestro John Woo: A Better Tomorrow. Siamo nel 1986, il nome di Woo pur essendo sconosciuto in Occidente è particolarmente noto nei lidi hongkonghesi. Woo fino a quel momento aveva diretto la bellezza di quindici film; quasi tutte commedie, fatta eccezione per alcuni intraprendenti wuxiapian all'insegna dell'amore verso il suo maestro Chang Cheh. Tuttavia il regista è assai frustrato, vorrebbe realizzare un noir a metà tra lo stile di Melville e l'aggressività di Peckinpah, sfortunatamente però i produttori non sono d'accordo. John Woo è sconsolato, si trova a Taiwan e pensa di appendere al chiodo la cinepresa; ma come in un film interviene un giovane Tsui Hark. Hark sta pian pianino conquistando l'industria ed in parte è merito proprio di Woo, in quanto lo ha introdotto nel giro che conta. Hark con lealtà e riconoscenza produce il primo crime-movie di John Woo: A Better Tomorrow.
A Better Tomorrow rappresenta una rivoluzione stilistica e contenutistica laddove d'emblée si codifica una nuova poetica cinematografica, che riprende in un contesto contemporaneo i miti e le strutture del vecchio cinema di arti marziali. Woo propone un nuovo modello d'eroe all'insegna di un binomio particolare: romanticismo e piombo. Eroe perfettamente incarnato da Chow Yun-fat. Il film è denso di valori, fondamentali per il regista: amicizia, rispetto verso gli anziani, lealtà, spirito di sacrificio, vendetta e redenzione sono tappe obbligatorie dell'eroe wooiano. Tappe percorribili solo attraverso la violenza: elemento imprescindibile della natura umana.
Il film presenta una regia rivoluzionaria, nasce l'heroic bloodshed. Ogni sequenza è un gioiello della settima arte, e a tal proposito ci soffermiamo sul pirotecnico ed esplosivo finale in cui una sparatoria multipla nei pressi del porto di Hong Kong diventa un teatro coreografico di pallottole e morte. La sequenza è tanto caotica quanto organizzata da una precisa struttura registica: contrapposizione dei piani, montaggio serratissimo ai limiti dell'umano, uso assiduo dello slow-motion, permeato da funzioni multiple, e gli elaborati movimenti di camera riescono ad equilibrare il trambusto visivo rendendolo leggibile e chiaro. L'eroe impugna due pistole ed è pronto a seminare giustizia a suon di proiettili.
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2. The Mission (1999)
Un altro film che ha sicuramente influenzato la saga di John Wick è The Mission, del maestro Johnnie To. Siamo sempre dalle parti di Hong Kong con il celebre cineasta che sembra prelevare alcuni aspetti tematici di John Woo, filtrati poi dal noir di Jean-Pierre Melville ed il tutto messo in scena con uno stile assolutamente nuovo ed innovativo.
In The Mission verremo catapultati in una Hong Kong nerissima, luogo tetro ed oscuro dove non sorge mai il sole; terra desolata, popolata solo da gangster. Non a caso, il film ruota attorno a 5 guardie del corpo intente a proteggere un noto boss delle triadi: pallottole e tradimenti sono dietro l'angolo.
L'opera è famosa per una cosiddetta perdita della centralità narrativa dell'indagine, a favore di un'eleganza formale distintiva e poetica. Le sparatorie non sono più indispensabili per le dinamiche della trama ma per la fascinazione che esse trasmettono. Attenzione, la stilizzazione narrativa di To è altamente sensata e mantiene sempre un'attrattiva clamorosa.
Ad ogni modo, vi citiamo l'epico gunfight nei meandri di un centro commerciale desertico e svuotato da qualsiasi presenza umana. La sparatoria è quasi "immobile", l'ipercineticità di Woo è scomparsa ed è sostituita da inquadrature statiche, rari e calibrati movimenti di macchina e composizioni volumetriche plastiche dove la concezione spaziale assume nuove forme e nuove identità (discroso poi approfondito nei meravigliosi Exiled e Vendicami). Imperdibile.
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3. The Raid - Redenzione
Da Hong Kong ci spostiamo in Indonesia, dove nel 2011 il gallese Gareth Evans entra nella storia del cinema action con The Raid. Il film rappresenta una svolta epocale per il genere; Evans decide volontariamente di presentare una sceneggiatura incredibilmente basilare, in cui le parole sono sostituite da coreografie al cardiopalma riprese con uno stile virtuosistico senza precedenti. Il film essenzialmente mostra le gesta di una squadra SWAT, intenta a ripulire un edificio zeppo di criminali. L'impianto è fortemente videoludico e ogni piano equivale ad un preciso livello, con nuovi nemici e nuove sfide.
Ad ogni modo, il film è una sequela quasi infinita di scontri a fuoco e combattimenti corpo a corpo brutali, fisici ed altamente violenti. Per quanto riguarda le sparatorie, il regista opta per una shaky camera instabile e spasmodica, vicinissima all'azione; strategia alternata da incisive inquadrature a piombo, il tutto arricchito da una fotografia scura e cupa laddove spesso l'unica fonte di luce è data dalle scintille delle pallottole. L'obiettivo è chiaro: enfatizzare al massimo una certa atmosfera claustrofobica.
La camera - sempre a spalla - diventa invece più "stabile" negli scontri fisici, rendendo le sequenze maggiormente leggibili. Stabilità però accompagnata da una maggiore dinamicità dei movimenti di camera. Aumentano i long-take, così come i movimenti semi-circolari attenti ad inquadrare ogni minima mossa del protagonista Iko Uwais: una furia che agisce ad una velocità quasi inumana.
4. The Man from Nowhere
Nel 1999 in Corea esce Nowhere to Hide di Lee Myung-se, capolavoro avanguardistico del genere action. Talmente complesso da rendere impossibile qualsiasi epigono. Cosa invece non successa con The Man from Nowhere, di Lee Jeong-beom: un film capostipite, copiato praticamente da mezzo mondo, Chad Stahelski compreso.
Con The Man from Nowhere il cosiddetto "noir alla coreana" viene condotto su binari action non ancora percorsi, laddove cupezza e violenza estrema diventano la prassi. Il film è distinto da combattimenti monumentali, ripresi in maniera eccelsa e pensiamo all'iconica carneficina finale. Lee Jeong-beom sembra quasi replicare il sublime inferno di piombo di A Better Tomorrow, ma senza ricorrere allo slow-motion, sostituito da uno stile realistico e celere; stile tipico della new wave di Hong Kong marchiata Kirk Wong o Ringo Lam. Dinamismo filtrato a sua volta da una fugace geometricità di tooniana memoria, il tutto poi riproposto ed amalgamato assieme a fisici e meravigliosi corpo a corpo.
La sequenza in esame è assai complessa ed è strutturata in tre "combattimenti", tutti diversi fra loro. Ogni secondo è memorabile, tuttavia è impossibile non spendere due parole sullo scontro mortale tra il protagonista ed un sicario tailandese. Il cineasta ricorre a tantissime soggettive "postmoderne" in cui si evince un uso innovativo della snorricam: l'asse focale non è rivolto sul volto dell'attore ma è nella posizione opposta, consegnando a noi spettatori effetti visivi clamorosamente energici e tensivi. Meravigliosa poi la fine della sequenza, distinta da una ripresa obliqua dal basso, sul volto animalesco del nostro protagonista che ha appena giustiziato il nemico.
Tecnicamente dovremmo dire ancora tante cose ma terminiamo con il fulmineo long take piazzato a metà film, ormai storico. Il protagonista è braccato da alcuni agenti di polizia tra le scale ed il pianerottolo di un angusto palazzo. A questo punto l'uomo prima disarma gli agenti ed in seguito si butta a capofitto da una finestra, ed è proprio da qui che inizia il long take: shaky camera, semi-soggettiva, movimenti circolari e selettivi sono mixati in maniera tanto perfetta quanto contorta e tortuosa. Spettacolare.
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5. A Company Man
Dopo una serie di cult colossali, è doveroso citarvi un film sconosciuto dal grande pubblico ma molto vicino al futuro John Wick: A Company Man.
Anno 2012, l'esordiente Lim Sang-yoon porta su schermo un crime-movie piuttosto intrigante e roboante, focalizzato su un misterioso e solitario uomo che sotto le mentite spoglie del classico salaryman svolge in realtà la professione di sicario professionista.
Lim Sang-yoon è un regista di talento e prosegue un discorso action iniziato con il cult movie The man from nowhere precedentemente citato.
A Company Man pertanto ci regala sparatorie fulminee e postmoderne, in cui lo spazio scenico è usato alla perfezione; nel primo gunfight abbiamo ad esempio un utilizzo magistrale della luce scenica on-off (che Reavees ripropone in un segmneto di Man of Tai Chi).
Sparatorie spesso avvicendate da combattimenti corpo a corpo tambureggianti: shaky camera, piani iperravvicinati e jump-cut la fanno da padrone.
Interessante anche l'agenzia presso cui lavora il nostro "eroe". Gli uffici sono collocati in un grattacielo sfavillante in centro città, tutti gli impiegati vestono eleganti e hanno il sorriso stampato sul volto, tuttavia nei meandri sotterranei dello stabile troviamo i reali ambienti lavorativi: covi di killer senza scrupoli, tanto da anticipare il The Continental: luogo amato e odiato dal letale John Wick.