Il 16 gennaio è un giorno speciale per gli appassionati di cinema fantastico, perché John Carpenter compie gli anni. Parlare del cinema di John Carpenter significa parlare di un percorso autoriale coerente ed eterogeneo, compatto ma diversificato, che ha contraddistinto il cinema statunitense dagli anni settanta a oggi, e che si riflette con grande potenza sulle opere odierne dei nuovi cineasti malgrado l'allontanamento, sempre più inevitabile, del regista dalle scene. Quando Jordan Peele rispose al fumettista Adam Ellis, che su Twitter lo definì il "miglior regista horror di tutti i tempi", scrisse che sarebbe stato meglio per lui "posare il telefono" perché non avrebbe potuto tollerare "un'altra calunnia su John Carpenter". Il nome di Carpenter non emerse in modo del tutto casuale: Peele, infatti, doveva essere incappato in una delle risposte alla discussione, in cui qualche utente avanzava l'ipotesi che Halloween - La notte delle streghe fosse, dopotutto, l'unico grande film partorito dal regista.
L'horror contemporaneo: il punto della situazione
Questo episodio è probabilmente il più conciso riassunto possibile sul legame che sussiste fra Carpenter e le nuove generazioni di cineasti horror, e su come e quanto l'influsso delle sue opere risuoni nelle storie di paura che vengono rappresentate sullo schermo oggi. Facendo il punto sulla situazione dell'horror odierno ci si accorge di quanto composito e complesso sia il quadro che ci si presenta davanti: ciò a cui abbiamo assistito nei venti anni che ci allontanano dagli inizi degli anni duemila è un perpetuo susseguirsi e affastellarsi di correnti, sottogeneri e filoni cinematografici che ora sembrano essere la direzione condivisa e poco dopo lasciano spazio ai modelli seguenti.
Da Carpenter a Rob Zombie: ecco il nuovo Halloween
Fra le schegge residue della francese new wave estrema - così influente da aver saputo fratturare i suoi confini geografici per diffondersi come tendenza stilistica oltreoceano - e il remake/reboot (più consistente quello di oggi rispetto a quello di dieci anni fa), e dopo esserci lasciati alle spalle l'ondata di found footage non sempre ispirati, l'horror si è trasformato in un oggetto prezioso, uno strumento consapevole di poter studiare la contemporaneità. Opere come Scappa - Get Out, Barbarian, Hereditary - Le radici del male o Midsommar - Il villaggio dei dannati (e la lista sarebbe lunga) hanno dimostrato al pubblico odierno che spaventare e spaventarsi è molto più che un semplice trucchetto e che, banalmente, è solo la persistenza del film nella mente dello spettatore fuori dalla sala a garantire la persistenza dell'opera oltre il proprio periodo culturale. John Carpenter è uno dei più fulgidi esempi fra i registi e gli autori che hanno saputo assorbire le sensibilità della propria epoca per sintetizzarle in un nuovo linguaggio adatto a narrare universi comprensibili a ogni spettatore.
Halloween e lo slasher rivoluzionato
Anche se Halloween fosse davvero l'unico grande film del regista sarebbe davvero uno spreco chiudere il discorso così. Comprensibile essere assuefatti dalla sua formula, dopo oltre quarant'anni dal primo capitolo e tredici film, diretti da dieci registi, che plasmano quello che con ogni probabilità è il più amato franchise horror di ogni tempo. Eppure il pubblico del 1978 doveva pensarla diversamente, perché Halloween non somigliava quasi a niente di quanto realizzato prima. Certo, Carpenter e Debra Hill (alla sceneggiatura) rubano la struttura dello slasher a Reazione a Catena e a Non aprite quella porta, ma la violano e la manipolano dall'interno esaltandone le potenzialità. Laurie Strode è, come la Sally Hardesty di Tobe Hooper, una final girl in nuce; ma fiuta la minaccia, la elude e prova anche a risponderle, cominciando a seminare sul percorso quelle che diverranno le caratteristiche primarie di questo tropo narrativo nei decenni seguenti. Con Michael Myers diverrà il duplice centro focale di un'intera saga (a differenza di quanto accade con il film di Hooper, dove Sally esaurisce il suo arco narrativo nel primo film), basata sul rapporto di co-dipendenza fra due controparti, di uguale carisma e rilevanza.
Halloween - Genesi di una notte da incubo
Myers stesso è un'ombra ("The Shape" il suo soprannome) che con Leatherface può condividere soltanto il tipo d'arma e una maschera a celarne il volto, ma l'illogica immortalità che lo caratterizza è una novità che si mostrerà particolarmente adatta per plasmare molteplici villain simili (Jason Voorhees il primo) e serie potenzialmente infinite. È su tutte queste caratteristiche, e non su quelle dei precedenti horror, che lo Scream di Wes Craven e ogni altra parodia ironizzeranno con estrema lucidità, cristallizzando in definitiva il modello di Halloween come paradigma dello slasher moderno: il mostro, un tempo esiliato nelle aree rurali e desertiche degli Stati Uniti, è ora nelle città e dentro le case degli americani. Ciò che è peggio è che la sua identità resta sfuggente. Se Myers possiede qualità sovrumane, il Ghostface di Craven - che ne è figlio diretto - dev'essere smascherato per poter essere annientato, ma non può essere eliminato perché può reincarnarsi in chiunque.
Una concezione moderna del Male
Il dr. Loomis, uomo di scienza, si arrende all'ipotesi (ben poco scientifica) secondo cui Myers sarebbe semplicemente "il Male". E il male è un concetto che il cinema horror di Carpenter, profondamente lovacraftiano, ha sempre affrontato fissandolo di storia in storia come pilastro narrativo. Esiste sul piano corporale, talvolta come organismo, ma in forme non sempre chiare. Non solo Halloween e The Shape, ma anche Il signore del male e la misteriosa sostanza liquida, verde, che dovrebbe costituire la materializzazione di nientemeno che Satana stesso. O ancora l'alieno de La cosa, altrettanto liquido nella sua essenza parassitica di mutaforma in grado di emulare ogni essere umano, ingurgitandone il corpo e lacerandone i confini fisici.
Halloween Kills, Jamie Lee Curtis: "Siamo tutti sia Laurie Strode che Michael Myers"
Il Male come essere semi-fisico eppure mai del tutto visibile è il compromesso ideale fra la tradizione delle creature mostruose fanta-horror e ciò che verrà dopo Carpenter. It Follows, film di David R. Mitchell uscito nel 2016, assimila alla lettera la lezione carpenteriana - persino sul piano stilistico - ponendosi come ibrido perfetto fra Halloween e La cosa. Il villain che insidia gli adolescenti protagonisti di Mitchell non è neppure un individuo: è, piuttosto, un'entità in grado di assumere le sembianze di qualsiasi persona, purché rimanga in grado di portare a termine il suo compito (facilmente intuibile). Dalle due opere di Carpenter It Follows trae, inoltre, l'insegnamento sul potere di un finale non risolutivo.
Jordan Peele e l'eredità del cinema di Carpenter
È forse nell'horror di Jordan Peele che possibile ritrovare polarizzati tutti gli elementi fondanti del cinema di Carpenter con una densità mai vista prima. Se Get Out, esordio dello sceneggiatore regista, mostrava più di una chiara affinità con The Stepford Wives e Indovina chi viene a cena?, nell'approccio alla materia fantastica e nella costruzione di meccanismi allegorici il cinema di Peele è il più ammirevole epigono di Carpenter. L'utilizzo del genere come mezzo per una riflessione sulla realtà che viene modellata dalla società che rappresentiamo come collettività è la carta vincente di Peele da Get Out al recente Nope, ultimo film diretto in ordine cronologico. Fra Noi, in cui la doppiezza dei protagonisti aveva il doppio ruolo di materiale puramente orrorifico e simbolico (fonte di paura di per sé e in quanto specchio della doppiezza degli Stati Uniti), e poi Nope, in cui il costituente fantascientifico apriva una meditazione sul senso dello showbusiness e sull'atto del guardare, Peele preleva ed eredita da Carpenter la sua capacità di fondere lo spettacolo con la critica sociale, l'intrattenimento con l'esigenza di analizzare il presente. Forse ispirato dai tre film di Peele giunge poi anche Zach Cregger con il suo Barbarian, incubo a livelli in cui la gerarchia sociale viene rappresentata per mezzo di una vera e propria architettura che serve a condurre la protagonista in luoghi ignoti e oscuri.
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E non dimentichiamo Candyman, remake di Nia DaCosta dell'originale film di Bernard Rose basato sul romanzo di Clive Barker, in cui il mito del martire nero diviene simbolo cinematografico per un'inquietante messa in scena del razzismo sistemico. Essi vivono, cult indiscusso, appare come una sorta di progenitore per tutte queste opere (come lo è 1997: Fuga da New York per diversi universi distopici di oggi, a partire da The Purge) che s'interrogano, attraverso la possibilità del gioco messa a disposizione dal genere horror, sull'impalcatura più sotterranea ma più inflessibile della società. L'horror contemporaneo sembra dunque sdoppiato in due tendenze essenziali: una di queste è quella focalizzata sull'introspezione psicologica e sui traumi individuali, materia molto cara ai grief horror di casa A24 e Blumhouse. L'altra è quella che allarga la lente su più individui, più azioni concordi, e quindi sul corpo sociale che fabbrica l'essenza stessa del mondo in cui viviamo. È il cinema che ha cambiato la percezione del pubblico riguardo le potenzialità dell'horror, ed è il cinema che guarda a John Carpenter come punto di riferimento.