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Lo abbiamo visto a notte fonda, al Ravenna Nightmare Film Fest, e ne siamo rimasti ipnotizzati. Parliamo di IRA, il film di Mauro Russo Rouge che, dopo il festival di Denver e quello di Ravenna ha iniziato a girare l'Italia in tour, ogni settimana in città diverse dello stivale. Oggi, 19 novembre, è l'occasione per vederlo di nuovo a Roma, all'Apollo 11 di Agostino Ferrente, cineclub legato al racconto del reale. IRA, in un discorso come questo, ci sta benissimo, anche se non è un documentario, ma neanche completamente un film di finzione.
IRA è un film senza pre-produzione né sceneggiatura, realizzato pedinando, e provando a catturare la chimica tra loro, due attori-non attori, Samuele Maritan e Silvia Cuccu. I due ragazzi stavano vivendo una storia d'amore, ma poi il film è diventato altro, un film di finzione, con una storia con alcune situazioni forti.
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La storia di IRA è semplice: due ragazzi si incontrano, si cercano, si innamorano. Lui lavora al mercato, lei fa la prostituta. I due giovani vorrebbero andarsene insieme, ma lei ha un protettore. E le cose, ovviamene si complicano. E tutto diventa pericoloso. La storia è semplice. Ma, come vi abbiamo raccontato nella recensione di IRA, è il modo in cui è narrata a fare la differenza. Le immagini di IRA sono ipnotiche, stranianti, rarefatte, poetiche. Ma, soprattutto, scrutano nella bellezza di due ragazzi - due volti da cinema - e provano a coglierne l'essenza, la chimica tra loro. Che, al di là della storia di finzione poi costruita, è reale. Nel cinema italiano, negli ultimi anni, non abbiamo visto niente di simile. Quello che Mauro Russo Rouge è riuscito a fare è qualcosa che non accade spesso al cinema: un film di finzione che cattura la realtà. Oggi la storia tra i due ragazzi è finita, ma di fatto è immortale, quei momenti sono stati fissati nel tempo. Nei prossimi mesi IRA continuerà il suo viaggio in Italia: dopo Roma e l'Apollo 11 lo troverete anche a Vicenza (il 19 e il 20 novembre) al Multisala Roma, ad Ascoli (il 19) al Cinema Odeon 6, a Torino (il 20) al cinema Ambrosio e a Genova (il 21) al Cineclub Nickelodeon. E poi in varie città. La storia della realizzazione di IRA è davvero interessante. Ne abbiamo parlato, a Ravenna, con il regista Mauro Russo Rouge.
Da Tarantino a Iñárritu a un cinema personale
Qual è il cinema che le piace?
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Da sette anni sono il fondatore e il direttore artistico del Torino Underground Cinefest e sono molto legato al discorso indie, che non vuol dire per forza di cose low budget: se guardiamo al cinema americano ci sono prodotti indie con budget di quattro/cinque milioni di euro. Mi piace quel tipo di cinema, fatto con linguaggio poco ortodosso, fatto di camera a mano, scavalcamenti di campo. Sono laureato al DAMS, sul cinema di Quentin Tarantino: all'epoca mi ero molto appassionato al suo stile, al suo linguaggio. Avevo anche provato a fare un paio di corti a vent'anni, ma diventava sempre la solita parodia del cinema tarantiniano. Negli ultimi anni sono stato molto colpito dal cinema di Iñárritu, dal racconto delle coincidenze: Babel mi aveva profondamente turbato.
Qual è la sua idea di cinema?
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Per me il cinema non è una forma di intrattenimento, anche se è giusto che si definisca tale. Il mio film è assolutamente rivolto a persone che non considerano il cinema come una forma di intrattenimento. Anche se io sono un regista, e ho dei film all'attivo, ultimamente mi limito a filmare la realtà: sono quasi un documentarista. È vero che IRA nasce come documentario, ma poi diventa un film di finzione, ha una narrazione. Arrivando dal teatro mi piace improvvisare, prendere attori che non lo sono e non abbiamo alcuna esperienza.
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IRA: due attori presi dalla strada
I due protagonisti di IRA sono bellissimi, innamorati, colti in uno stato di grazia. Dove li ha trovati?
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Avevo finito da pochissimo le riprese del mio secondo film, Aberrante: erano stati quasi venti giorni di riprese sfiancanti, 14-16 ore al giorno, con 40-50 maestranze ogni giorno sul set. Avevo un sacco di adrenalina addosso, e non volevo che andasse persa. Così ho deciso semplicemente di scendere in strada e filmare. Lì ho conosciuto per caso questi due ragazzi e ho chiesto, tra la loro incredulità, di poterli seguire. Li ho conosciuti insieme, sono rimasto colpito dai loro volti. Anche se, nella prima parte del film, i volti li vediamo poco. Mi sono accorto che mi incuriosivano i giovani e mi sono accorto che volevo fare un film su di loro. Mi sono introdotto con loro all'interno di situazioni assurde, night club, bar dove li ho seguiti: queste inquadrature sono molto sporche, il fonico era nascosto. volevo che fossero loro, reali, e che ci fosse il loro contesto. Mi hanno detto: perché, trovata la location, non sei tornato dopo qualche settimana a girare? Non sarebbe stato lo stesso, e loro sarebbero stati ormai preparati...
Quando ha capito che il film sarebbe diventato una storia, un'opera di finzione?
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C'è stato un momento in cui mi sono detto: un documentario è una bella esperienza,
però non mi porta a nulla. Per quanto fossero dei personaggi interessanti, la loro quotidianità era fatta di cose più o meno futili, come la quotidianità di tutti. E ho deciso di romanzare un po' la vicenda. La scena del tour tra le prostitute è una scena vera, ci siamo andati veramente, ero nascosto col fonico dell'abitacolo. Dopo quel giro ho capito che la storia poteva decollare, andare in quella direzione. E ho fatto diventare lei una prostituta.
La cosa non è stata facile...
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Doveva impersonare una prostituta, essere un po' carina con dei potenziali clienti. La scena della fellatio, in auto, anche se poi effettivamente non c'è stata, inquadrata in questo modo, e grazie a un lavoro di sound design, è una scena molto forte, non facile da girare.
Cogliere la realtà
Ci sono delle scene, come quella sulla riva del fiume, assolutamente naturali, non preparate...
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La scena sul fiume è una cosa loro, che è stata filmata. Anche la scena all'interno del pub, dove lei gli dice "vuoi scopare" è reale, non sapevano di essere ripresi. Era una delle prime sere in cui ho iniziato a filmarli, eravamo all'interno di questo locale, erano lì da un paio d'ore - ho quaranta ore di girato per questo film - ed è successo questo. Lei non ha alcuna esperienza, ma ha una potenzialità unica. Mi sono innamorato del suo volto, della sua bocca.
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I rapporti, sul set e fuori, però, non sono stati facili...
Ci sono stati dei momenti un po' caotici in cui lei ha abbandonato le riprese. Convincerla a tornare non è stato facile. Era il periodo prenatalizio, durante il periodo di Natale ho cominciato a montare parte del film, e quando l'ho rincontrata le ho fatto vedere quello che avevamo prodotto, a grandi linee. Lei si è piaciuta tanto. È stata dura, ma sono riuscito a riportarla sul set. Ora è passato del tempo e abbiamo perso i contatti. Se il film fosse uscito subito forse avremmo recuperato un rapporto umano. Ma, l'ho detto presentando il film e ci tengo a precisarlo: quello che ho fatto non l'ho fatto con malizia. Io sapevo del risultato, ho intravisto in loro del potenziale. Insieme erano perfetti.
È qualcosa che non vediamo spesso al cinema: ha fatto un film di finzione ma ha colto la realtà...
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Ho fatto un film su di loro, ma il film è una condanna all'ira. Sentivo l'esigenza di fare qualcosa che poi si allargasse a tutto il contesto dei giovani. Il discorso di quelle riprese da dietro, quelle riprese infinite va in questa direzione: sono loro due i protagonisti, ma potrebbe essere chiunque. Non volevo che ci fossero contaminazioni: nonostante viviamo in un periodo storico in cui c'è la contaminazione dei social, non c'è un telefonino all'interno delle inquadrature. C'è una poesia in tutto questo.