Lo spunto fu, come ammette lo stesso Daniele Luchetti, la condanna di un ben noto imprenditore multimiliardario nonché sedicente statista ad operare in un centro di assistenza per i meno abbienti. Sarebbe stata satira sociale, commento all'attualità politica, invece il soggetto di Io sono Tempesta ha finito per mutare ed evolversi per partorire il personaggio il cui ruolo è stato affidato a Marco Giallini, uno squalo della finanza che, qualche tratto in comune con l'eroe primigenio ce l'ha eccome: innanzitutto quello di piacere ai poveracci.
Perché i poveri - e considerando che il 99% della ricchezza mondiale è in mano all'1% della popolazione, poveri lo siamo un po' tutti - rispettano e ammirano chi ha successo, soprattutto se è partito dal basso; provano al massimo un'invidia benevola verso chi li umilia e li sfrutta perché è sempre possibile che, per un caso fortuito, una vittoria alla lotteria, un'investimento miracoloso, una maxitruffa, un giorno si ritrovino al suo posto. È per questo che falliscono le rivoluzioni proletarie, perché siamo convinti che sia più conveniente tutelare i ricchi che solidarizzare con i poveri.
In un paese che ha i livelli di evasione fiscale e corruzione del nostro è evidente che, in buona parte, siamo programmati per fregare il prossimo. È nel nostro DNA. Le ideologie, per Daniele Luchetti, ci hanno illuso per qualche decennio di poter coltivare valori più elevati, di poter lavorare per migliorare la società e non solo il nostro orticello. Ma quel tempo è finito: sognavamo di cambiare il mondo, ora sogniamo le piastrelle della toilette losangelina di Chiara Ferragni. Si può ridere di questo squallore, di questo inarrestabile inaridimento? Daniele Luchetti ci ha provato.
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Arriva Tempesta
Forse è più Ebenezer Scrooge che Silvio Berlusconi, il nostro Numa Tempesta al momento della sua entrata in scena nel film di Luchetti. Insonne, tormentato da fantasmi che gli gridano il suo fallimento e la sua inadeguatezza nonostante il gruzzolo accumulato, solo in un gigantesco hotel extralusso che ha acquistato per rivenderlo a investitori stranieri. Salutista e mattiniero, Numa corre attraverso saloni e corridoi, chiama, invita e blandisce colleghi finanzieri e conoscenti dai ciclopici conti in banca, perché ha per le mani un lucroso investimento immobiliare in Kazakistan.
La legge ha però un colpo basso in serbo per il dottor Tempesta; una vecchia condanna diventa esecutiva e gli tocca un periodo di "volontariato" presso un centro di prima assistenza per indigenti e senza tetto. La morale tradizionale vorrebbe il cinico, gaudente toccato dalle privazioni altrui, soprattutto quella di Bruno, giovane padre finito per strada col figlio dopo aver perso tutto tra divorzio e disoccupazione. Ma i poveracci di Io sono Tempesta non si piangono addosso. Le vere sofferenze sono altre: la loro
disgrazia è temporanea, e forse sono loro che possono imparare qualcosa dal simpatico e truffaldino finanziere, e assaporare la svolta...
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Brave New World
E così, altro che Dickens; nella morality tale grottesca di Daniele Luchetti l'umanità è una marginale debolezza, l'empatia la bandiera di una donna sola, repressa ed esaltata nel suo attivismo socio-religioso, e un intralcio per chi vuol far soldi, perché i soldi si fanno soltanto in un modo: sfruttando e ingannando il prossimo. Che a sua volta, se può, fregherà qualcuno altro per mettere mano a una fetta di torta via via sempre più piccola.
Focalizzato su personaggi e ambienti più che su un plot coinvolgente e solido, Io sono Tempesta fa mostra di un lavoro notevole in fatto di ricerca sul campo, offrendo una visione realistica delle condizioni di vita dei reietti e una stellare rappresentazione della Roma del lusso e della bellezza senza tempo e quella dei giacigli di fortuna all'Esquilino.
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La sempre precisa ed eloquente fotografia di Luca Bigazzi e l'ottima messa in scena di Luchetti raccontano con toni lievi e surreali una vicenda non sempre convincente o incisiva negli sviluppi: carismatico, affascinante, luciferino eppure bonario e generoso coi suoi nuovi "amici", il Tempesta di Marco Giallini è un personaggio che non disgusta né seduce; forse più umanamente convincente il Bruno di Elio Germano, povero ma non disperato, che si trasforma in un buffo, paradossale e un po' patetico alter ego del finanziere. Accanto alle due star, tanti bravi comprimari, dall'ottima Eleonora Danco con un personaggio un po' penalizzato in fase di scrittura alle presenze vivaci degli attori non protagonisti che ingrossano le fila degli irriducibili socio-assistiti; nei suoi sviluppi narrativi, tuttavia, Io sono Tempesta soffre di una certa ambiguità e la risoluzione dell'intreccio, per quanto poco convenzionale, è anche poco incisiva. Forse un po' di cuore in più e un po' di cinismo in meno avrebbero reso il film più cinematograficamente coinvolgente, e fatto rimpiangere un po' meno la vitalità del cinema italiano che sapeva raccontare i derelitti con impareggiabile lucidità e ironia.
Movieplayer.it
3.0/5