Da Ravenna a Miramar, Wellington, Nuova Zelanda.
O da Zora la vampira dei Manetti bros ad Avatar: la via dell'acqua di James Cameron. Comunque la si osservi, la carriera di Giuseppe Tagliavini colpisce. Che si tratti di geografia o di lista di film di cui ha curato gli VFX, il suo percorso è quello di tanti italiani desiderosi di lavorare nel mondo della settima arte che, per i soliti limiti di un'industria cinetelevisiva assente, o quantomeno che non può essere paragonata a quella di contesti ben più dinamici e strutturati, finiscono poi a farsi un nome altrove.

Non è la prima volta che ospitiamo Tagliavini sulle pagine di Movieplayer: l'anno scorso, la Disney l'aveva coinvolto nelle attività press del Regno del Pianeta delle Scimmie insieme a Emiliano Padovani, Look Dev Supervisor e Alessandro Saponi, CG Supervisor della pellicola di Wes Ball che, in quanto a VFX, è stata immeritatamente battuta agli Oscar da Dune 2 di Denis Villeneuve.
L'abbiamo incontrato, questa volta faccia a faccia, in occasione di FalComics 2025. Questa volta, senza le tiranniche limitazioni delle tempistiche dei junket, abbiamo potuto discutere ben più a lungo e a tutto tondo in merito al suo lavoro.
La folgorazione cinematografica e gli esordi
Cominciamo dall'inizio. Il film che ti ha folgorato, che ti ha portato a fare il lavoro che fai.
Sicuramente è Guerre stellari, Star Wars, come si chiamava un tempo prima che diventasse l'Episodio IV. Io e mio fratello lo guardavamo praticamente ogni sera, lo davano su Tele Santerno, una tv locale e praticamente una notte sì, il giorno dopo anche.
Quell'epoca in cui le tv locali italiane proponevano film in maniera non probabilmente legale. Io sarò riuscito a beccare Ghostbusters almeno 4 volte in TV quando avevo 5, massimo 6 anni.
[Ridendo, ndr.] No, non penso che avessero pagato i diritti, comunque noi ogni giorno lo guardavamo, letteralmente ogni sera in cui lo trasmettevano. Mio fratello poi è diventato regista e io sono diventato tecnico degli effetti visivi.
E qual è stato il tuo percorso? Da autodidatta? Tanto in Italia non abbiamo un contesto di scuole o di produzioni paragonabili a quella americana, quella inglese e adesso anche neozelandese.

Diciamo che 25 anni fa, quando ho iniziato, non c'era anche YouTube, non c'era internet, non c'erano le scuole per i VFX. Quindo sì, autodidatta, ho iniziato leggendo i manuali dei software. Letteralmente. Una cosa che adesso non si fa più perché ci sono appunto i tutorial per ogni cosa. Poi guardando VHS o DVD dove c'erano i backstage dei film: una roba proprio terra terra.
Usavi PC o Mac?
PC. Tutto su PC. Decisi di farmi installare Linux su un PC, un Pentium. Che se pensi a quanto è potente oggi un iPhone fa ridere a ripensarci. Ho iniziato a sperimentare i primi programmi grafici 3D e poi dopo ho aiutato mio fratello che stava facendo la scuola di cinema a Roma, stava girando un cortometraggio in pellicola e avevo fatto qualche effetto con 3D Studio Max, proprio una cosa semplice. Poi il film corto ha girato un po' per i festival. Attorno al 1999-2000 hanno contattato mio fratello proprio per chiedergli chi avesse lavorato agli effetti, ha dato il mio nome e da lì è iniziato tutto.

Il primo film sul quale hai lavorato qui in Italia?
Zora la vampira, dei Manetti bros. Praticamente testavo dei plug-in per un altro artista proprio all'inizio, plug-in per il fuoco fuoco che dovevamo creare per il film.
L'inizio della carriera internazionale
E il primo film internazionale? Ci hai lavorato dall'Italia o all'estero?
No, sono andato all'estero. Il primo film internazionale che ho fatto è stato Troy con Brad Pitt.
Ah, ecco. Una roba piccolina, insomma. E lì la tua mansione quale era?
Lavoravo a MPC a Londra. Questa compagnia purtroppo ha chiuso di recente e da lì appunto ho iniziato. Facevo il turno di notte all'inizio, dalle 9 alle 6 di mattina ed ero proprio entry level, quindi facevo rotopaint, cioè ritagliavo i personaggi, pulivo le varie inquadrature e da lì, grazie al knowledge che mi ero fatto in Italia, hanno chiesto se c'era qualcuno che che poteva dare la mano a fare una scena con una macchina che si chiama Inferno. L'altra persona non era riuscita a finire la scena, mentre io sono riuscito a concludere quasi come fosse un contest, una gara. Da quel momento in avanti mi hanno messo al turno di giorno e mi hanno affidato mansioni di composting e da lì addirittura mi hanno fatto diventare il supervisore di un dipartimento. Sono stato abbastanza fortunato anche grazie alla conoscenza che avevo acquisito in Italia.

E il passaggio in Weta quando è avvenuto?
Nel 2007. Stavano cercando gente, al tempo, dopo King Kong si entrava in Weta Digital solo di conoscenze. Nel senso che dal reparto assunzioni chiedevano solo gente che avesse già un livello senior, per quello prendevano gente che veniva consigliata da altri, come nel mio caso.
D'altronde è una maniera per risparimare.
Esatto, non c'erano tutti i classici colloqui. Sono andato in Nuova Zelanda per il secondo Fantastici Quattro e per The Water Horse, sono stati i miei due primi progetti in Weta. Ma la compagnia era molto diversa al tempo. Praticamente prendevano gli artisti per un dato film, poi, finito quello, non c'era tipicamente altro su cui lavorare e perciò poi mandavano via chi avevano ingaggiato. Adesso è tutto cambiato. Innanzitutto si chiamava Weta Digital, adesso si chiama Weta FX. Io tornai a Londra e dopo ancora in Weta nel 2009 per Avatar.
Weta è un insetto. Quanto è diffuso e quanto è grosso? Tanto per essere preparato per quando ti verrò a trovare.
Si trova un po' dappertutto. Va da 10 centimetri a anche 30 centimetri, però non punge, non morde.
Quindi è un insetto innocuo.
Si.
Sai, lo chiedo perché Peter Jackson, Richard Taylor con creature brutte e cattive.
Cosa fa un supervisore al compositing
Bene, ora spiega anche alla casalinga di Voghera che magari ci sta leggendo cosa fa un Compositing Supervisor.
Ecco, ora dopo più di dieci anni sono appunto diventato un supervisore al compositing.
Quindi supervisioni l'operato di più persone.
Esatto, sono il secondo in comando su un progetto. Se il supervisore ai VFX va sul set e deve fare qualcos'altro oppure c'è un'emergenza, io copro lui, quindi mando avanti tutta la baracca. Esamino e valuto l'operato di tutti gli artisti, di tutti i dipartimenti. Praticamente adesso è più un lavoro di management, perché appunto ho un team sotto di me. Tutto cambia da film a film ma ne Il Regno del Pianeta delle Scimmie ho avuto 38 artisti da supervisionare, più ovviamente devo anche organizzare anche le operazioni con gli altri dipartimenti perché essendo il supervisore appunto fai tutti i meeting con gli altri supervisori degli altri dipartimenti per decidere cosa fare, dove correggere e sistemare quello che non va.

Sei un supervisore severo?
Se ti devi arrabbiare, t'arrabbi. Mi spiego: io metto sempre il 110%, come minimo, in quello che faccio e spero che anche gli artisti che lavorano con me facciano la stessa cosa. Do rispetto ai colleghi e al progetto, per questo spero che anche altri mettano lo stesso rispetto in quello che fanno e diano al massimo. Una volta come ti dicevo Weta assumeva solo senior, gente già esperta. Ora devo anche comunicare delle note, nel senso che magari devo far notare se le tonalità di nero o di un altro colore non vanno bene, se sono troppo chiare, sono troppo scure. L'immagine deve essere bilanciata, il mio lavoro è anche bilanciare l'immagine, dare il colore corretto. La qualità finale che esce da Weta va controllata e approvata da me.
Il progetto più complicato fatto finora?
Sono tutti diversi e ognuno ti pone davanti a delle sfide. Tanto dipende anche dal tempo che si ha a disposizione. Più ne hai più è facile da gestire. Quando hai poco tempo è tutto un po' più difficile. Però se devo dire un titolo forse l'Hobbit, intesa come trilogia. Era una sfida perché il progetto era girato a 48 frame al secondo invece dei normali 24 e per di più era in 3D nativo Bisognava comporre l'occhio destro e l'occhio sinistro per avere l'immagine stereo.
L'Oscar perso
L'anno scorso sei stato coinvolto da Disney per l'attività stampa del regno delle scimmie. Il titolo diventa sempre più lungo per ogni capitolo della saga, Kingdom of the Planet of the Apes. Quanto vi ha bruciato aver perso l'Oscar? Perché parlando di VFX il livello qualitativo delle scimmie dal primo film di Rupert Wyatt in poi è andato sempre aumentando e effettivamente l'ultimo era fuori scala.
Diciamo che su Variety il giorno dopo gli Oscar è uscito un articolo in cui si chiedevano cosa altro deve fare il pianeta delle scimmie per vincere un Oscar, perché comunque l'hanno visto anche loro, l'hanno visto tutti. Noi come compagnia siamo stati nominati ai VFX con tre film all'ultima edizione degli Oscar: con Better Man, Alien: Romulus (Tagliavini ci ha tenuto a precisare che i criticatissimi effetti speciali che hanno riportato in scena dal primo Alien l'Ash di Ian Holm non sono stati fatti da Weta, ndr.) e Il Regno del Pianeta delle Scimmie su 5. Erik Winquist il nostro VFX supervisor, c'è rimasto molto male perché anche in passato è stato snobbato dall'Academy. Mi dispiace per il team ma anche per lui perché comunque ha fatto tanto.
Weta FX ha lavorato anche alle due stagioni di The Last of Us. Tu ci hai messo mano?
No, nel senso, ho proprio dato una mano in due cosine ma niente di che, cose che si fanno fra colleghi.
Chiudiamo con l'inevitabile domanda: Peter Jackson. Che tipo è?
Peter Jackson è Peter Jackson. Anzi: Sir Peter Jackson ormai. È qualcuno che ha fatto qualcosa d'impensabile. Ha portato Hollywood in Nuova Zelanda, ha creato praticamente da zero un'industria cinematografica. Anche perché così non deve lasciare Wellington! Se pensi a tutti i traguardi storici che ha raggiunto penseresti chissà che, ma poi lo vedi sempre che va in giro perennemente scalzo. In puro Kiwi style.