Il primo è un fenomeno esploso sul web, i suoi video hanno macinato milioni di visualizzazioni, i suoi tormentoni ("Andiamo a comandare", "Tutto molto interessante") hanno fatto ballare e cantare orde di ragazzi e bambini; il secondo viene dalla commedia, fino allo scorso anno regista dei film campioni di incasso con Checco Zalone. Sono Fabio Rovazzi e Gennaro Nunziante, che inaugurano con Il vegetale un inedito sodalizio, quello che lancia l'esordio al cinema di Rovazzi e la prima volta di Nunziante senza Zalone.
Nel film il giovane videomaker di Lambrate, classe 1994, interpreta un neolaureato con il suo stesso nome, alle prese con una estenuante ricerca di lavoro a Milano, tra stage improbabili e offerte di volantinaggio, costretto a fare i conti con un padre truffatore e una sorellina caustica e viziata. Emblema di una generazione "vegetale", troppo onesta per sopravvivere nella società truffaldina lasciata dai propri padri.
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Ciclone Rovazzi, dal web al cinema
Sui siti web vieni definito in vari modi. Come è passare da YouTube al grande schermo?
Fabio Rovazzi: Il problema del web è quello di scrivere baggianate, qui sono un attore, ma su Wikipedia c'è scritto anche che sono un cantante. Passare dai sette minuti di video agli ottantatré di un film è stato impegnativo. Ho dovuto annullare il mio pensiero di linguaggio e affidarmi completamente a Gennaro. È stato pesante, ma sono molto soddisfatto.
Il tuo pubblico è molto trasversale: dai bambini agli adulti. Qual è il segreto di questa presa?
F. R.: È un pubblico che non ho mai cercato, è arrivato in modo inspiegabile e non capisco ancora come sia possibile. Quando cammino per strada mi fermano anche le ottantenni che mi vedono da Fabio Fazio, ma la parte più attiva e il motore di tutto sono i bambini, soprattutto i genitori. Sono sempre più contento di piacere ai giovanissimi, perché nei bambini c'è tanta sincerità.
Nel film non ci sono parolacce. Come mai?
Gennaro Nunziante: Perché Gesù non vuole!
F. R.: A un certo punto avrei voluto, poi mi sono accorto che c'era un puntatore laser sulla fronte di Gennaro!
Hai scelto Rovazzi per qualche affinità con Checco Zalone?
G. N.: No, non li accomuna nulla. Mi è capitato di vedere un suo video con Fabio De Luigi e in quella faccia ho visto il personaggio. Ci siamo poi incontrati a Milano e ci siamo messi a raccontare il progetto, perché le cose sono sempre figlie di una frequentazione e bisogna costruirle attentamente. Il lavoro su Fabio è stato fatto esattamente su di lui: è un vestito di sartoria, non è una taglia quarantaquattro che butti addosso a chiunque passi.
Come nasce la coppia cinematografica Zingaretti-Rovazzi? Non ricalca nessuno stile precedente.
Luca Zingaretti: Siamo una coppia molto atipica, alla fine siamo diventati amici. Quando un rapporto nasce così non può non essere una bella esperienza.
F. R.: Zingaretti mi ha fatto vedere cos'è la recitazione e io gli ho insegnato cosa sono le Instagram Stories.
G. N.: In genere quando faccio commedia lavoro per sottrazione, perché non mi piace mai superare il decibel del cattivo gusto. Per farlo hai sempre bisogno oltre del tuo volere anche di quello dell'attore; in Italia il rischio è che tu chiedi ad un attore di portarti due chili di zucchero e lui quasi sempre arriva con sei chili di zucchero, quattro di miele, dodici di marmellata. Devi lavorare cioè con gente che abbia l'intelligenza di sapere dove fermarsi; ho trovato in Luca una persona che in ogni istante sul set conosceva l'intero film. Ed è quello che fanno i grandi attori: pensano a tutto il film e non alla singola scena. Il lavoro di una commedia dipende dall'attore, perché è lui ascendere in campo.
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Nunziante e il racconto di una riconciliazione
Non hai paura di deludere il pubblico per non aver concesso a Rovazzi di ballare o cantare?
G. N.: Deluderei il pubblico se gli dessi qualcosa che sa. Ma io non penso mai al pubblico, credetemi. Quando scrivo ho sempre la certezza di avere davanti a me tanta gente molto più intelligente di me. Se pensassi al pubblico come qualcosa da modellare, allora farei un altro mestiere, anzi gli darei il Pc e gli direi di scriversi il film. Il pubblico ha bisogno di essere stupito con educazione e garbo. Delle canzoni di Fabio non mi fregava nulla, non mi interessavano, gliel'ho detto subito e lui sapeva sin dall'inizio che in questo film avrebbe fatto qualcos'altro. La cosa più bella è che qui Fabio ha fatto l'attore, ho trovato nel suo volto e nella sua fisicità l'emblema di un'intera generazione.
Il Vegetale è un film per alcuni aspetti molto disneyano, è una specie di Cenerentola al contrario. Come avete lavorato con questi elementi da favola?
G.N.: Credo di aver voluto raccontare una riconciliazione. L'Italia è un Paese che senza una riconciliazione non andrà da nessuna parte. Perché nel nostro paese non avviene? Perché per riconciliarsi bisogna dirsi la verità, perché la riconciliazione richiede ragioni profonde. Fabio le intuisce tutte e riconcilia un paese diviso. Io ho vissuto tante divisioni: Sud e Nord, giovani e anziani, occupati e disoccupati, pensionati e non. Viviamo un paese che continua a dividersi in fazioni: il protagonista di questa storia unisce ciò che all'inizio sembra impossibile e supera un lutto, la morte di una madre. Il nostro futuro può ripartire solo dalla riconciliazione, tutta la rabbia e il dolore devono diventare amore per l'altro. È un lavoro silenzioso e di cesello, immane, che forse appartiene più alle divinità che agli uomini, ma in un paese come il nostro sento che la filosofia del 'poco alla volta' è necessaria per aprire la finestra e far entrare un po' più di aria decente.
Fabio, nasci come filmmaker e la musica è stata per te il mezzo per arrivare a fare video. Ora puoi pensare a un tuo futuro da regista?
F.R.: Sì, è vero. Nasco come video maker, ho iniziato filmando persone che si divertivano in discoteca, una cosa davvero brutta. Oltre a fare l'attore, in questo film ho osservato molto. Il cinema è un campo che mi piace molto sin da piccolo e spero un giorno di poter fare una cosa tutta mia. Ma non tra un anno o due, perché avrò bisogno di tempo per comprendere fino in fondo questo mondo e non mi sembra giusto rovinarlo come ho fatto con la musica! A piccoli passi.