Un ululato lungo dieci episodi, un verso gutturale che da triste lamento lontano si avvicina sempre di più, trasformandosi pian piano in urlo di battaglia, colmo di fierezza e desiderio di rivincita. Basta guardare in faccia Jon Snow per capire come sia successo, cosa sia cambiato in questo lupo ferito e poi rinato: stessi occhi per sguardi diversi, ripresi con due inquadrature dai movimenti opposti. Siamo nel finale della quinta e della sesta stagione de Il trono di spade, il volto è sempre quello del prode Jon Snow. In La misericordia della madre, il Lord Comandante della Guardia della Notte giace su un letto di neve, dove i più fantasiosi hanno persino visto un lupo ululare nella macchia di sangue che si diffonde dietro un ragazzo attonito da un tradimento appena consumato nel suo ventre. L'inquadratura si avvicina lentamente, mentre lo sgomento di Jon lascia spazio al nulla.
Il bastardo è morto, pugnalato dai suoi stessi uomini, in quell'eremo gelato di nome Castello Nero. Dieci puntate più tardi e una (in)sperata resurrezione dopo, ritroviamo Jon nella sua più genuina autenticità. Un emozionate flashback ha finalmente fatto luce sulle sue origini, ma nonostante tutto il dolore provato da quel bambino, i suoi occhi sono quelli buoni di sempre.
Questa volta il primo piano si allontana lentamente da lui, mostrandoci un ragazzo ormai uomo che, anche davanti ad un Nord di nuovo unito, coeso nell'acclamarlo a gran voce "King in the North", non accenna nemmeno ad un pizzico di vanagloria. L'eroe che muore, l'eroe che nasce. In mezzo c'è la vita di Jon Snow, personaggio amabile e amato che oggi vogliamo celebrare come il cuore (puro) di quella serie oscura e torbida di nome Il trono di spade. Perché tra tanto sangue e in mezzo a tanto fango, qualcuno riesce a rimanere candido come la neve.
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Oltre la Barriera, dopo la Morte: il viaggio dell'eroe
Da primo degli ultimi a Re del Nord. Un percorso lungo e tortuoso che ha visto Jon Snow faticare oltre ogni umana sopportazione, senza che una serie di esperienze traumatiche ne intaccassero davvero il cuore. Anche dopo tante battaglie, tanto sangue, tanto odio guardato in faccia, gli occhi di Jon ci vengono mostrati ancora pieni di quella docile bontà che prometteva sin da neonato. Ci sembrano lontani (perché lo sono) i tempi degli sguardi torvi di Lady Catelyn, dei preziosi consigli di Tyrion ("mai dimenticare chi sei, perché di certo il mondo non lo dimenticherà. Trasforma chi sei nella tua forza, così non potrà mai essere la tua debolezza. Fanne un'armatura, e non potrà mai essere usata contro di te") e delle vessazioni subite tra i Guardiani della Notte; tutte situazioni che ci hanno portato ad empatizzare con questo ragazzo dall'aria vagamente triste, inizialmente presentato come "debole" per cui è molto difficile non temere e non tifare e poi accompagnato verso un'ascesa a cui ogni Stark sopravvissuto sembra destinato (Arya e Sansa sono risorte come lui). La Madre dei Draghi abbia pietà di noi, ma Jon Snow è forse il personaggio che più di ogni altro è chiamato a vestire i panni dell'eroe, di un eroe tragico. A partire dalla lacuna affettiva di una madre mai conosciuta, sino al sacrificio dell'arruolamento tra le fila dei Guardiani della Notte.
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Ma Jon non è certo destinato a rimanere immobile sentinella, ferma lì a vigilare sull'enorme Barriera, perché il fato ha scelto per lui una vita da guerriero, o meglio, da avventuriero, da uomo che si spinge di continuo oltre i territori più noti e rassicurantui per incontrare l'ignoto. Prima immerso nella comunità ostile dei Bruti, poi a tu per tu con gli Estranei in una battaglia gelida e memorabile e, infine, spinto oltre la vita stessa, in quella misteriosa partita vinta con la Morte grazie (si presume) al volere del Signore della Luce. Ecco perché Jon Snow è il motore principale de Il trono di spade, perché è colui che valica una realtà ordinaria e terrena, abitata da intrighi, giochi di potere e umani sotterfugi, per elevarsi al di sopra di tutto questo, per scoprire lo straordinario che George R.R. Martin ha in serbo per lui e per noi. Per guardare un mondo nuovo con gli occhi di sempre.
La giustizia secondo Jon Snow
"Per questa notte e per tutte quelle a venire". Così si conclude il solenne giuramento per diventare Guardiano della Notte, parole altisonanti che valgono come un concentrato di onore, sacrificio e devozione nei confronti di tutta Westeros. Un rituale che, nel caso del lupo di Grande Inverno, si trasforma quasi in un paradosso: il "bastardo" che giura fedeltà, il ragazzo che incarna il disonore di Ned Stark che si impegna ad essere leale. Eppure, da allora, il buon Jon Snow non è mai venuto meno ai suoi doveri (Ygritte vale come eccezione alla regola), non solo nei confronti dei difensori della Barriera, ma in nome di una serie di valori abbracciati in quel di Winterfell. Sulla scia del ligio e irreprensibile Ned Stark, Jon ha imparato a farsi valere con la spada senza dimenticare i sorrisi, a farsi rispettare senza mai disdegnare affetto e piccoli gesti di gentilezza, di altruismo, di amore e di amicizia (Sam ne sa qualcosa).
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Così come fece suo padre prima di lui, decapitando il Guardiano della Notte terrorizzato dagli Estranei e venuto meno alla sua parola, anche Jon farà calare cappi e lame sul collo di traditori imperdonabili. Insomma, anche quando fa ricorso alla violenza o alla condanna a morte, il nuovo Re del Nord rimane legato ad un radicato senso di giustizia che ne guida le azioni. Pur non essendo uno Stark di nome, per lui è impossibile non seguire il solco dell'etica del casato, grazie ad un senso di appartenenza alla famiglia mai affievolito. Lo capiamo dall'abbraccio intenso con Sansa, dalla furia con cui irrompe a Grande Inverno, dalla violenza con cui cadono i suoi pugni sul volto di Ramsay, da quei vessilli di Casa Stark che tramandano l'orgoglio di chi "non sa nulla", ma non dimentica affatto.
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Del ghiaccio e del fuoco
Prima gli occhi del lupo, e adesso quelli del Corvo. Lo sguardo annebbiato di Bran ha fatto finalmente luce sul mistero meno misterioso di tutti i tempi, rivelandoci (o meglio, confermandoci) finalmente le origini del nostro Jon: nato da Lyanna Stark e da Rhaegar Targaryen, il figlio primogenito di Re Aerys il Folle e fratello di Daenerys. Il che farebbe del neonato (se legittimo, ma Lyanna e Rhaegar potrebbero anche essersi sposati in segreto) apparso in The Winds of Winter l'erede al Trono di Spade. Snow è quindi un cognome ormai usato solo per questioni di comodo, come ha fatto Ned per coprire il pesante fardello di quel marchio a fuoco che "Targaryen" porta con sé. Protetto da questa coltre di neve, camuffata da tradimento Stark, Jon assume così un ruolo ancora più centrale, come profetizzato dal titolo dell'opera omnia di Martin: Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Ed ecco concretizzarsi un'altra teoria sulla bocca di molti: e se tutta questa grandiosa storia corale fosse soltanto la grande ascesa di Jon Snow? Del ragazzo in cui ghiaccio e fuoco convivono?
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Il fatto di aver dedicato la scena madre dell'ultimo episodio della serie proprio a lui potrebbe essere più che un indizio, ma il limbo collettivo in cui siamo caduti tutti dopo la sua morte vale come conferma: Jon Snow è il cuore di questa serie. Gli altri personaggi più amati agiscono guidati da altro: Daenerys di diritto, Tryion col cervello, mentre Arya e Sansa sono costrette dalla vita a pianificare le loro azioni. Jon no. Jon fa quello che sente e quello che ritiene giusto. Così, quando Sansa gli annuncia che "l'inverno è qui", che la tanto temuta stagione è arrivata, Jon sorride e alza gli occhi verso il cielo. Come se per lui non fosse la condanna di una minaccia imminente, ma una vecchia promessa paterna che, finalmente, si avvera.