Recensione Outrage (2010)

In Outrage viene fuori un'immagine più moderna della yakuza, nello spirito più che nei modi: Kitano non è interessato a dipingere le attività dei mafiosi contemporanei, ma ne critica la mancanza di spessore. Una scelta non efficace, ma anche stavolta non mancano le scene cult.

Il ritorno di Beat Takeshi

Torna a Cannes, Takeshi Kitano, di nuovo inserito nella sezione competitiva del festival francese dopo L'estate di Kikujiro. Ma il suo è un doppio ritorno, perchè dopo un periodo più autoriale ed una breve deriva autocelebrativa, è di nuovo il Beat Takeshi delle origini a dare vita al nuovo Outrage. E' infatti uno Yakuza Movie quello che l'autore nipponico presenta a Cannes, carico di violenza esplicita ed eccessiva, che segue intrighi, complotti e tradimenti dell'ambiente mafioso per conquistare o mantenere il potere. Una spirale di omicidi che non lascia nessuno al sicuro, che diventa incontrollabile dopo che la miccia, per quanto insignificante ed esile, è stata accesa, in un domino senza senso che può finire per ritorcersi contro gli stessi che l'hanno iniziato.
E' lo stesso Kitano a dar vita ad uno dei protagonisti, accompagnandosi con altri nomi noti ai cultori del cinema giapponese, da Soichiro Kitamura a Tetta Sugimoto e Jun Kunimura, tutti per la prima volta al lavoro con il regista; Beat Takeshi indossa i panni del capo del clan Otomo, spietato e sanguinario, ma mancante, al pari degli altri personaggi, dei tratti classici dello Yakuza da grande schermo: i mafiosi che l'autore dipinge sembrano non avere più il codice etico, il senso del rispetto e dell'onore a cui molto cinema ci ha abituati; sono piuttosto marionette manovrabili ed insensate, schegge impazzite da poter usare per i propri scopi.

Sebbene retrò in molte scelte della messa in scena, con armi che richiamano i gangster movie degli anni '70 (quindi coltelli e pistole, creativamente accompagnate da bacchette, strumenti odontoiatrici e una letale combinazione di corda ed auto), in Outrage viene fuori un'immagine più moderna della mafia giapponese, nello spirito più che nei modi: Kitano non è interessato a dipingere le attività degli Yakuza contemporanei, più rivolti alla moderna tecnologia ed economia, ma con i personaggi che decide di mettere in scena, sembra criticarne la mancanza di spessore.
La sua è indubbiamente una scelta, ma il risultato a livello cinematografico risulta meno efficace di Brother ed altri suoi lavori del passato, anche a causa di alcune scelte di montaggio, curato direttamente dall'autore, e di costruzione dell'intreccio che, soprattutto nella prima parte, non convincono completamente.

Kitano, però, è sempe Kitano e non mancano potenziali scene (e omicidi) cult, con esplosioni di violenza che insieme divertono e colpiscono lo spettatore. Il tutto accompagnato da un lavoro sui dialoghi diverso dal passato, che richiama nel parlato la violenza delle azioni, con i protagonisti che si accavallano l'un l'altro nel discutere animatamente, dall'efficace fotografia di Katsumi Yanagijima e da un comparto sonoro solido, fatto di effetti carichi e coinvolgenti, completati dalla colonna sonora composta da Keiichi Suzuki, nuovamente al lavoro con l'autore dopo Zatoichi.
Il risultato nel complesso non delude, ma nemmeno brilla al pari di altri lavori del maestro nipponico; non perchè di genere diverso dai suoi lavori più intimi che tanto abbiamo amato, ma perchè lui stesso, in passato, ci ha dimostrato di saper affrontare questo stesso tipo di film con risultati eccelsi.

Movieplayer.it

3.0/5