Dopo i ritmi sincopati di Whiplash e le mirabolanti acrobazie, condite di romanticismo, di La La Land, Damien Chazelle inaugura il concorso veneziano con l'atteso Il primo uomo, biopic della maturità. Stavolta il regista opta per un cinema più intimo e meno spettacolare affidando a Ryan Gosling, suo attore feticcio dopo soli due film, il ruolo di Neil Armstrong per raccontare l'allunaggio americano del 1969. La missione riuscita è il culmine di un lungo e tortuoso percorso pubblico e personale raccontato da Gosling e dall'inglese Claire Foy nei panni della volitiva moglie di Neil, Janet Armstrong.
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Curioso come un cineasta anagraficamente giovane come Damien Chazelle, classe 1985, abbia scelto di raccontare un'epoca come la corsa allo spazio che non ha vissuto di persona. "Per la mia generazione è qualcosa di scontato" spiega il regista. "Noi siamo cresciuti in un mondo in cui andare nello spazio è possibile, abbiamo visto immagini iconiche. Ma più informazioni ho appreso sulle missioni spaziali, più il tema mi affascinava, così ho capito di voler raccontare questa storia".
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L'allunaggio secondo Damien Chazelle
Nei panni di Neil Armstrong, Ryan Gosling si è trovato a interpretare un altro personaggio taciturno, introverso, che affronta il proprio lavoro come una missione. Rispetto al passato, però, stavolta il divo ha dovuto confrontarsi con un'icona popolare. Come ha affrontato il mito del primo uomo capace di sbarcare sulla luna? "I figli di Neil Armstrong mi hanno aiutato molto, inoltre ho potuto conoscere la moglie, il cui ruolo nella storia è molto importante. La NASA ci ha aperto le porte, ho visitato il suo museo dedicato ad Armstrong e ho letto il fantastico di James R. Hansen. Neil era umile, reticente, abbiamo cercato di esplicitare le sue emozioni".
Di fronte alla definizione di eroe americano, Ryan Gosling fa un passo indietro ammettendo di non sentirla calzante al Neil Armstrong che ha conosciuto e interpretato: "Intanto chiariamo un punto, io sono canadese, quindi vedo l'allunaggio come un successo dell'umanità. Neil Armstrong era una persona umile, come molti astronauti, ha spostato l'attenzione da se stesso alle 400 persone che hanno reso possibile la missione, lui era la punta dell'iceberg e ci teneva che fosse chiaro. Non credo che si vedesse come un eroe americano, forse lo hanno percepito così gli altri, ma lui era molto diverso".
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La ricostruzione puntuale di un'epoca
Per Il primo uomo, Damien Chazelle ha ricostruito con puntuale accuratezza gli ambienti della NASA, le strutture in cui si addestravano gli astronauti e le navette spaziali. Gli attori sono stati costretti a recitare in ambienti claustrofobici, repliche dei moduli utilizzati per le missioni spaziali. "Ho visto le navicelle spaziali allo Smithsonian e in altri musei" specifica Damien Chazelle "e mi sono reso conto di quanto fossero piccole. Lo spazio è un vuoto nero, tu cerchi un posto dove atterrare mentre sei su una lattina volante, per me è una situazione terrificante". A confermare la fatica e il disagio provati ci pensano le star de Il primo uomo. Ryan Gosling ammette: "Per entrare nel ruolo ho dovuto apprendere l'abc del volo. È stata una pessima idea, pensavo che fosse importante per il mio personaggio, ma ho capito perché lui è diventato un grande astronauta e io no". Jason Clarke aggiunge: "Ho provato una forte claustrofobia, le capsule create da Damien son davvero realistiche, a un certo punto stavo per avere un esaurimento".
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Un biopic che ha il sapore di un documentario familiare
Claire Foy, splendida Regina Elisabetta nelle prime due stagioni di The Crown, parla poco di fronte alla stampa, ma la sua Jen illumina Il primo uomo con una grande performance. Ogni sequenza che la vede presente ci porta a concentrare l'attenzione su questa casalinga, minuta ma fortissima, e sul suo legame speciale col marito. "Per i figli di Armstrong, lui non era un famoso astronauta, ma il loro padre. Ci hanno consegnato la loro storia nelle mani, non sono stati gelosi. Neil aveva tante qualità, si immedesimava nel proprio lavoro, lo aiutava a razionalizzare i sentimenti che non riusciva a gestire altrimenti". Damien Chazelle aggiunge: "Abbiamo cercato di rendergli giustizia con un ritratto molto personale, volevamo fare un film che fosse quasi un documentario familiare".
Nei titoli di coda de Il primo uomo tra i nomi dei produttori spunta quello di Steven Spielberg. Damien Chazelle chiarisce la sua partecipazione: "Spielberg è entrato nell'orbita del progetto insieme allo sceneggiatore Josh Singer mentre lavoravano a The Post. Io sono cresciuto con i film di Spielberg, il suo cinema è un dono. La sua casa di produzione ci ha aiutato e sostenuto nei momenti di difficoltà". Tocca a un Ryan Gosling in vena di scherzi l'ultima parola. Quando gli viene chiesto cosa cerca in un regista per decidere di lavorare con lui, il divo ammette che "i capelli, devono essere belli, Damien è per metà canadese e questo aiuta". Poi si fa serio: "I due film che ho girato con lui sono quel tipo di opere spettacolari che tutti vorremmo vedere al cinema. Credo che Damien possieda un istinto forte, sa cosa vogliono le persone. Il suo istinto è un dono speciale per il cinema".