L'uomo, quella meraviglia dell'universo, l'ineffabile paradosso che ha spedito me fra le stelle, fa ancora la guerra contro i suoi fratelli?
Il 1968 è stato un anno pivotale nella storia della fantascienza, con l'uscita a poche settimane di distanza di due film entrati da subito nel novero dei grandi classici del cinema americano. Il 3 aprile esordisce negli Stati Uniti 2001: Odissea nello spazio, capolavoro visionario di Stanley Kubrick che avrebbe segnato un punto di non ritorno per il proprio genere di appartenenza (e non solo). Ma nei due mesi precedenti, il pubblico era già accorso in massa nelle sale per un altro kolossal sci-fi, un film non altrettanto seminale, ma capace comunque di raggiungere una canonizzazione immediata: Il pianeta delle scimmie.
Diretto da Franklin J. Schaffner a partire dal romanzo dello scrittore francese Pierre Boulle, Il pianeta delle scimmie viene proiettato per la prima volta al Capitol Theatre di New York l'8 febbraio 1968 e scrive un capitolo di innegabile importanza per la moderna fantascienza. A cinquant'anni esatti dal suo debutto, torniamo dunque insieme a Charlton Heston su quel pianeta misterioso e sinistro per esplorare le ragioni del suo macabro fascino, in grado di superare anche la prova del tempo, nonché di ispirare ben quattro sequel (tutti realizzati fra il 1969 e il 1973), serie televisive, il remake omonimo di Tim Burton del 2001 e il fortunatissimo reboot inaugurato nel 2011 con L'alba del pianeta delle scimmie.
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"Visto di qui, tutto sembra così diverso..."
Quando, nell'inverno del 1968, Il pianeta delle scimmie approda nei cinema americani, la 20th Century Fox punta moltissimo su questo progetto: la star del film è Charlton Heston, ovvero il volto per eccellenza dei kolossal degli anni Cinquanta e Sessanta, mentre la regia è stata affidata a Franklin J. Schaffner, che aveva già collaborato con Heston tre anni prima ne Il principe guerriero (nel 1970 Schaffner tornerà trionfalmente dietro la macchina da presa con il dramma bellico Patton, aggiudicandosi l'Oscar per la miglior regia). Grazie alle ottime recensioni e a un passaparola formidabile, la pellicola non tarda a trasformarsi in uno degli eventi cinematografici dell'anno: registra venticinque milioni di spettatori nei soli Stati Uniti, entrando nella classifica dei dieci campioni d'incasso del 1968, e un anno più tardi ottiene due nomination agli Oscar per le musiche e i costumi, insieme a una statuetta speciale per il truccatore John Chambers.
Alcune fra le ragioni del successo del film non sono difficili da decifrare: dall'esplorazione di uno spazio considerato come l'ultima risorsa della civiltà umana al confronto con mondi del tutto nuovi, Il pianeta delle scimmie segue un filone ben preciso di fantascienza avventurosa, particolarmente in voga all'epoca, quando l'attenzione pubblica è dominata dalla "corsa allo spazio". E ad accompagnare lo spettatore in questo viaggio irto di pericoli sono la figura e la voce di George Taylor, interpretato da Charlton Heston: l'astronauta che, nel prologo, spiega di essere in procinto di ibernarsi insieme al resto del proprio equipaggio, a sei mesi dall'inizio di una spedizione di altri corpi celesti che ha portato lui e i suoi compagni - prodigi dei paradossi temporali - a tagliare ogni legame con il proprio presente. "Se la teoria è esatta, gli uomini che ci hanno spediti quassù sono morti e sepolti da un pezzo, voi che mi state ascoltando ora siete una razza diversa... e spero che sia migliore! Io lascio il ventesimo secolo senza alcun rimpianto".
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"Io non sono un anello mancante!"
Ma dopo un incipit dal sapore classico, e una prima parte che viaggia lungo binari piuttosto canonici, Il pianeta delle scimmie prende una direzione inaspettata: mette in sordina l'avventura e l'azione e, con l'entrata in scena delle scimmie del titolo, si trasforma in qualcosa di profondamente diverso. Il romanzo di Boulle e il film di Schaffner sono imperniati infatti su una sorta di distopia dai contorni quasi satirici: la descrizione di una civiltà, quella delle grandi scimmie umanoidi, i cui tratti rispecchiano con angosciante precisione le dinamiche e i comportamenti della società umana.
È il meccanismo alla radice di un racconto che adopera la fantascienza per rileggere la nostra epoca, rovesciando però gli equilibri di forza fra uomo e animale: ecco dunque che Taylor viene catturato, esaminato e trattato alla stregua di una belva, una creatura privata della dignità e della libertà. Gli unici a comportarsi con gentilezza nei suoi confronti saranno una coppia di scimpanzé, la sensibile psicologa Zira (Kim Hunter, in un ruolo che Ingrid Bergman si pentirà di aver rifiutato) e l'archeologo Cornelius (Roddy McDowall), i quali non tarderanno a rendersi conto del valore di Taylor per ricostruire alcune informazioni essenziali sulla storia e lo sviluppo della specie umana, replicando così al sapere dogmatico delle "versioni ufficiali" con la precisione della scienza.
The War - Il pianeta delle scimmie: Ape-calypse Now
"Che cosa troverà la fuori, professore?"
La ricerca della verità, la verità sulla condizione umana e sui rapporti fra l'uomo e la scimmia, condurrà il film verso un finale giustamente celebre: Il pianeta delle scimmie si conclude infatti con uno degli explicit più sorprendenti e memorabili negli annali del genere della fantascienza (e per chi non l'avesse ancora mai visto, vi raccomandiamo di interrompere qui la lettura). George Taylor, sottrattosi alla prigionia insieme a Nova (Linda Harrison), fugge nella regione nota come la "zona proibita" fin quando, lungo la spiaggia, non si imbatte in uno spettacolo atroce: la sommità della Statua della Libertà che emerge dalla sabbia. È il colpo di scena e la tragica epifania su cui si chiude l'opera: la rivelazione che quel pianeta misterioso, dominato dalle scimmie, non è altro che la Terra, in un lontano futuro postapocalittico.
"Maledetti, maledetti per l'eternità!": è la rabbiosa invettiva di Taylor all'indirizzo dell'umanità intera, responsabile della propria autodistruzione. Un epilogo insolitamente coraggioso nel suo radicale pessimismo verso le "magnifiche sorti e progressive", e in cui trovano perfetta espressione le inquietudini della Guerra Fredda e il timore di un conflitto atomico che, negli anni precedenti, era già parso più volte sul punto di esplodere. Poco più di un anno più tardi, il 20 luglio 1969, l'uomo avrebbe 'superato' le barriere della fantascienza, mettendo piede per la prima volta sulla Luna; ma in un film come Il pianeta delle scimmie, così come in buona parte del cinema di quegli anni (un titolo su tutti, Il dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba di Kubrick), la fantascienza o la fantapolitica costituiscono ancora le chiavi di lettura per un futuro quanto mai incerto e gravido di minacce.