Tu eri molto amato, don Tommasino. Perché io ero tanto temuto e tu tanto amato? Perché? Io ero altrettanto onorato e volevo fare il bene. Che cosa mi ha tradito? La mia mente, il mio cuore? Perché tutti questi rimorsi?
Le lacrime che si affacciano negli occhi di Michael Corleone, durante questo doloroso monologo; la voce bassa, poco più di un sussurro, mentre si rivolge alla salma del suo amico d'infanzia, nel vano tentativo di aggrapparsi a un barlume di quiete. L'erede di don Vito, animato da una determinazione incrollabile e feroce, ora è un uomo fragile e insicuro, incapace di trovare ristoro dall'angoscia che lo attanaglia. Tanto più che, ne Il Padrino, parte III, la morte sembra gravare costantemente su di lui: una presenza ricorrente e inesorabile, che Michael avverte sempre più prossima. In fondo, il capitolo conclusivo della saga di Francis Ford Coppola è innanzitutto un film sulla vecchiaia, sulla decadenza, sulla difficoltà di attraversare indenni la fine di un'epoca, nella vana speranza di sottrarsi al peso del passato.
Francis Ford Coppola e il ritorno dei Corleone
Il padrino, parte III esordisce nelle sale americane il 25 dicembre 1990, a sedici anni di distanza dal precedente sequel. Per Francis Ford Coppola, reduce da un decennio di alti e bassi e da un paio di progetti commercialmente poco fortunati (Giardini di pietra del 1987 e Tucker - Un uomo e il suo sogno del 1988), si tratta di un inatteso recupero dell'universo narrativo che lo aveva consacrato, all'inizio degli anni Settanta, come uno dei massimi talenti della New Hollywood. L'opera, che vede Al Pacino indossare per la terza volta i panni del boss Michael Corleone, registra un grande successo di pubblico, con più di trenta milioni di spettatori, e riceve sette nomination agli Oscar, tra cui miglior film e regia, eppure qualcosa non funziona come sperato.
In parte per il confronto proibitivo con la coppia di capolavori realizzati fra il 1972 e il 1974, in parte per un approccio meno dinamico e più introspettivo, l'approvazione della critica è tutt'altro che unanime, e all'entusiasmo per il ritorno della saga si mescola un diffuso senso di insoddisfazione, che in molti casi si concretizzerà negli strali rivolti all'indirizzo della figlia del regista, Sofia Coppola (ingaggiata all'ultimo minuto per rimpiazzare Winona Ryder nella parte di Mary Corleone). Lo stesso Coppola, nel trentennale del film, tornerà a metterci mano licenziandone una nuova versione dal titolo Il Padrino Coda - La morte di Michael Corleone.
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La redenzione impossibile di don Michael
All'interno della trilogia ispirata al romanzo di Mario Puzo, Il Padrino, parte III costituisce il tassello più cupo; di sicuro non ha segnato l'immaginario collettivo con una forza paragonabile a quella de Il Padrino e de Il Padrino, parte II, eppure risulta assolutamente coerente rispetto alla parabola di Michael Corleone, allo spirito della saga e alla sua esplorazione ad ampio raggio del potere, motore della hybris e causa primigenia della corruzione morale dei personaggi. E la tragedia, in questo film funereo e disperato, deriva proprio da qui: per la prima volta, Michael Corleone è pienamente cosciente di essere un uomo corrotto, alla ricerca di un'impossibile redenzione.
Una redenzione che, per Michael, si identifica in un obiettivo ben preciso: estirpare la radice criminale del proprio impero finanziario. Su un piano individuale, la remissione dei peccati di Michael dovrebbe verificarsi mediante la confessione, segnata da un rimorso supremo: il ricordo lancinante dell'omicidio di Fredo ("Ho ucciso la carne di mia madre"). Sul piano pubblico, quello legato all'eredità del nome dei Corleone, a ripulire la reputazione della famiglia dovrebbero essere invece i vertici della Chiesa Cattolica (quale superiore autorità morale, d'altronde, agli occhi di Michael?): una convergenza dei rispettivi interessi economici nella comproprietà della cosiddetta Internazionale Immobiliare, l'affare multimilionario che tuttavia richiede di essere certificato dalla firma del Santo Padre in persona.
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All'ombra del Vaticano
Ecco dunque che ne Il Padrino, parte III, molto più che negli altri due capitoli, la finzione si intreccia con la storia recente (italiana e non solo), dando vita a una sorta di inquietante roman à clef. Impossibile infatti, soprattutto per il pubblico del 1990, non rintracciare negli eventi del film dei precisi riferimenti alla cronaca degli anni passati: le losche attività finanziarie della Città del Vaticano rimandano direttamente allo scandalo del Banco Ambrosiano; e il Cardinale Lamberto di Raf Vallone, che succede per un brevissimo pontificato a Papa Paolo VI, è un personaggio-specchio del vero Giovanni Paolo I, Albino Luciani, che qui viene reso come l'interlocutore nonché il confessore di don Michael (e Coppola non manca di far leva sulla 'leggenda' dell'avvelenamento del Pontefice).
Sempre nell'ambito degli ambigui rapporti fra la Chiesa e i Corleone si distingue la figura dell'infido banchiere svizzero Frederick Keinszig, le cui sembianze (appartenenti a un irriconoscibile Helmut Berger) ricalcano quelle di Roberto Calvi, così come le oscure circostanze della sua morte, quando finirà impiccato al ponte dei Frati Neri di Londra. Un corto circuito fra realtà e immaginazione che Coppola mette in scena negli ultimi trenta minuti del film: una macro-sequenza magistrale, in cui il regolamento di conti attuato dai Corleone si consuma durante una rappresentazione della Cavalleria rusticana al Teatro Massimo di Palermo, con il primogenito Anthony (Franc D'Ambrosio) al suo debutto come cantante d'opera, al cospetto della famiglia al gran completo.
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La resa dei conti
È in momenti come questi, in cui il montaggio alternato rievoca le sequenze analoghe degli altri film della saga, che Il Padrino, parte III raggiunge il proprio apice. Alla fittizia violenza del melodramma interpretato sul palcoscenico si sovrappone la violenza autentica orchestrata dal nipote Vicent (Andy Garcia), l'erede designato di don Michael, destinato a seguirne le orme e pertanto a portare avanti quella scia di sangue che suo zio avrebbe voluto interrompere. Ma a differenza delle precedenti vendette, stavolta la violenza non sarà unilaterale: il sicario Mosca (Mario Donatone), travestito da sacerdote, riuscirà infatti a sottrarsi alla caccia da parte degli uomini di don Michael e, subito dopo la fine dello spettacolo, ad aprire il fuoco sul boss.
Il Padrino, parte III, come dicevamo, è appunto il film della redenzione impossibile. Il finale, con il pianto di Diane Keaton e l'urlo strozzato di Al Pacino sui gradini del Teatro Massimo, risulta straziante non solo per la morte di Mary davanti agli occhi dei genitori, ma anche perché sancisce il fallimento definitivo di Michael: un antieroe vittima di se stesso e della maledizione che, come una pestilenza, ha trasmesso a tutte le persone a lui più vicine. Fin quando del boss onnipotente del clan dei Corleone non sarà rimasto altro che un uomo anziano, logorato nel corpo e nell'animo e condannato a spegnersi nel silenzio e nella solitudine.