Dopo sette romanzi, cinque dei quali diventati film, Niccolò Ammaniti ha fatto il grande passo verso un tipo di scrittura diversa, mettendosi a disposizione di Sky per creare e co-dirigere insieme a Francesco Munzi e Lucio Pellegrino la sua prima serie TV. Si tratta de Il miracolo, prodotta da Wildside con Arte France e Kwaï, in onda dall'8 Maggio su Sky Atlantic e disponibile On Demand per gli abbonati della rete satellitare, anche in 4K HDR per i possessori di Sky Q.
Si tratta di una serie suggestiva e ambiziosa, almeno a giudicare dai primi due episodi che abbiamo avuto modo di vedere, che con i suoi otto episodi copre altrettante giornate di quattro personaggi che si trovano di fronte a un evento inspiegabile, Il miracolo del titolo che consiste in una statuetta della Madonna che lacrima sangue senza nessuna possibile spiegazione scientifica. Quattro percorsi intimi e personali che Ammaniti racconta giocando con le aspettative e indagando l'animo umano piuttosto che limitarsi alla misteriosa premessa del suo show, sullo sfondo di una Italia plausbile ma non del tutto reale.
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Fuori dagli schemi
"Quando ci siamo visti la prima volta con Niccolò" spiega Andrea Scrosati di Sky Italia, "è stato uno di quei rarissimi casi in cui è stato chiaro da subito che fosse una storia che volevamo fare. Una delle poche non incasellabile in una logica di generi." Il miracolo si muove, infatti, tra diversi generi diventando qualcosa di "unico e appassionante" che lo scrittore ha portato avanti con dedizione unica, prendendo parte a tutte le fasi della produzione, senza limitarsi alla sola ideazione e scrittura, ma mettendosi in gioco per affrontare la sua prima regia, supervisionando tutto fino alla sigla di testa e il cui risultato, commenta Nils Hartmann "ci rende orgogliosi". Un processo lunghissimo e faticoso per lo scrittore che spiega con orgoglio come "vedere i giornalisti qui oggi, dopo che hanno potuto vedere gli episodi pronti e finiti, è il vero miracolo rispetto a quando abbiamo iniziato."
Se questa dedizione c'è stata è perché si trattava di un processo creativo diverso da quello al quale Ammaniti era abituato. "Quando finisco un romanzo, ormai il mio è fatto. In questo caso la situazione era diversa, perché non avevo mai affrontato una storia originale per la televisione e l'idea di abbandonarla senza portarla fino in fondo non era accettabile" ha spiegato, aggiungendo: "in più era una storia che mi piaceva tantissimo! Una delle poche volte in cui ho avuto la sensazione che il cinema potesse esprimere le mie idee meglio della scrittura." La serie si affida a immagini forti, come quella della piscina vuota in cui la statua della Madonna viene portata per essere sorvegliata e studiata. "È una delle ultime cose che abbiamo girato, come se la protagonista dovesse arrivare per ultima" ha raccontato, "abbiamo girato come pazzi per trovare la piscina. Non ce n'erano di adeguate, ero molto preoccupato ma volevo ricorrere agli effetti speciali. Poi abbiamo finalmente scoperto questa struttura a Parma e siamo stati giorni a decidere come metterla, come dovesse scorrere il sangue, ogni piccolo dettaglio."
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Trovare l'intesa
In una serie o un film viene bypassata l'immaginazione dei lettori e ogni cosa va mostrata e l'autore si è dovuto porre il problema di trovare i posti adatti a rappresentare quello che aveva solo immaginato. "Non ho mai girato Roma come nella pre-produzione de Il miracolo" dice scherzando e poi aggiunge "da scrittore percepisco le immagini come galleggianti nel buio, con un'idea a trecentosessanta gradi dello spazio, ma qui ho dovuto capire che andavano scomposte e realizzare qualcosa del genere a cinquant'anni non è semplice." Inoltre la regia è frutto della collaborazione di tre mani distinte, con esperienze diverse, che hanno dovuto trovare una spinta comune. "Ho sentito da parte loro," dice Ammaniti, "un'adesione totale al progetto" che ha permesso di mettersi a tavolino per trovare una grammatica comune, uno stile per rendere l'anima dello show.
Non ci si è divisi però gli episodi, ma i personaggi. Ogni episodio della nuova serie Sky è composta da sequenze dirette dallo stesso Ammaniti, da Munzi e da Pellegrini "e sono convinto che nessuno potrà notare le differenze." Una collaborazione che non si limita alla sola regia, ma anche nella scrittura insieme a Francesca Manieri, Francesca Marciano e Stefano Bises. "È stato molto divertente sviluppare la storia insieme ad altri," ha raccontato Ammaniti che da scrittore è abituato a lavorare da solo, "è stata una sfida perché avevamo diversi toni e abbiamo dovuto trovare un'intesa. Abbiamo lavorato sulle parole, discutendo di ogni aspetto di ogni sequenza, abbiamo cercato personaggi molto diversi uno dall'altro e che insieme collaborassero per spiegare un miracolo per il quale non ci sono risposte." Una collaborazione che l'ha illuminato su un aspetto: "Lavorare con gli umani è bello!"_
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Personaggi in cerca di sé stessi
"Negli anni," ha detto Ammaniti, "ho continuato a pensare che mi sarebbe piaciuto mettere un personaggio importante come un primo ministro in una situazione di difficoltà." Lo ha fatto qui con il Fabrizio Pietromarchi di Guido Caprino, un uomo serio e immerso nel proprio lavoro, alle prese con un imminente referendum che potrebbe portare l'Italia fuori dall'Europa. Un uomo egocentrico, ma d'altra parte "non si può fare il Premier se non lo si è" ci spiega Caprino aggiungendo come sia stata fondamentale per lui la domanda "perché proprio a me?" che sostiene l'evoluzione del suo personaggio. Al suo fianco c'è la moglie Sole, che però non viene direttamente a contatto con la statua, "una First Lady anomala" secondo Ammaniti "per scrivere la quale mi sono chiesto quale potesse essere l'incubo peggiore che potesse capitarle." "È una donna irrequieta" aggiunge Elena Lietti che la interpreta, "e lo è da parecchio tempo. Un animale in gabbia. Una figura reale sin da quando ho letto la sceneggiatura: se avesse suonato il campanello e me la fossi trovata davanti, non mi sarei stupita."
Padre Marcello è invece un prete di una parrocchia di periferia, un uomo che sta affrontando una crisi e la perdita della Fede dopo un evento che andrà scoperto nel corso dell'evoluzione degli episodi. "Lavorando con Niccolò mi è stata data la possibilità di seguire spudoratamente la mia curiosità," ha raccontato il suo interprete Tommaso Ragno, "facevo domande sul mio personaggio e sulla sua trasformazione, perché le sue caratteristiche andavano molto dosate per evitare di cadere nel ridicolo. Un personaggio del genere e le sue ambiguità sono quelle che un attore si augura di trovare nella sua carriera." C'è poi Clelia, una donna che per amore è disposa a rinunciare a tutto, "una donna buona, espressione dell'amore puro, che diventa una leonessa per difenderne l'oggetto. "La particolarità di questa serie," ha aggiunto Lorenza Indovina che le dà il volto, "è che i personaggi sono stati scritti da un autore e questa cosa si sente. Mi è capitato di leggere tante sceneggiature, ma trovare una tale forza autonoma in ognuno dei personaggi è cosa molto rara."_
Lo stato è rappresentato dal Generale Giacomo Votta di Sergio Albelli, il primo del gruppo ad entrare in contatto con il mistero della Madonnina. "È un personaggio piuttosto enigmatico," spiega Albelli, "ogni volta che cercavo di inquadrarlo, mi mancava un pezzo. Ho subissato Niccolò e Francesca con note, domande, per capire un personaggio travagliato, che appare come colui che custodisce l'ordine e prende in carico su di sé questo evento." C'è infine la Sandra Roversi di Alba Rohrwacher, scienziata che deve faticare a trovare un senso a quello che si trova ad indagare e che l'attrice ci racconta così: "È una donna di scienza, molto razionale, che viene sconvolta da un evento a cui non riesce a dare una spiegazione e che diventa un'ossessione."
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Tra Fede e ragione
Niccolò Ammaniti non ha voluto mettere ne Il miracolo il suo rapporto con la fede, la premessa è stata affrontata dal punto di vista dei personaggi, indagando come e quanto questo straordinario evento influisce sulle loro esistente. Un obbiettivo raggiunto chiudendo la statua della Madonna in un luogo isolato, tenendola lontana dagli occhi del mondo. Un ambiente curato dalla direttrice della fotografia, Daria D'Antonio, come un luogo che avesse determinate connotazioni a seconda che fosse notte o giorno, con il sangue che avesse un aspetto quasi magico. Il tutto sostenuto da una scelta della colonna sonora definita sin dalla fase di scrittura. "Da bambino," ha raccontato infatti Ammaniti, "invidiavo questo aspetto della regia, il momento in cui poter scegliere le musiche" e che ha portato avanti senza regole. In attesa di poterlo fare ancora in una seconda stagione che, dalle parole di Andrea Scrosati e Nils Hartmann, sembra quasi certa.