Recensione My Dear Desperado (2010)

Le battute, le gag e le schermaglie sentimentali che la sceneggiatura offre sono restituite come da copione, ma nel film si nota una limpidezza di intenti, una lucidità nello sguardo e un'attenzione alla credibilità delle vicende, che segnala il regista come un nome promettente, più attento alla costruzione narrativa di molti suoi colleghi che si sono cimentati nel genere.

Il lato credibile della commedia sentimentale

Se-Jin è una giovane donna di provincia da poco trasferitasi a Seoul, per lavorare per una grossa azienda. Inizialmente entusiasta del suo lavoro, la ragazza si impegna al meglio, ma la ditta fallisce inaspettatamente a causa di una frode perpetrata dalla proprietà. Costretta a trasferirsi in un economico monolocale, e frustrata nei suoi tentativi di trovare un nuovo impiego, Se-Jin conosce Dong-cheol, un gangster di mezza tacca che vive nell'appartamento accanto. Più fastidioso che minaccioso, l'uomo inizia a modo suo a cercare un contatto con la ragazza, e lei, dapprima riluttante, comincia gradualmente a coglierne i lati positivi. Ma il nuovo lavoro, per Se-Jin, sembra essere ancora ben lungi dall'arrivare, e inoltre le compagnie di Dong-cheol rischiano di metterla nei guai...

La commedia sentimentale coreana, almeno nei suoi esempi più recenti, non è certo un genere che brilli per originalità. Questo My Dear Desperado, tuttavia, esordio alla regia di Kim Kwang-sik (lo ricordiamo come assistente di Lee Chang-dong per Oasis) presenta più di un motivo di interesse. La sceneggiatura del film, pur aderendo fedelmente agli stilemi del genere, si segnala per una certa tendenza al realismo, sottolineata da una parte dal carattere solitario del gangster (interpretato dal divo coreano Park Joong-hoon) dall'altra dall'attenzione data alle vane ricerche di un impiago da parte della giovane protagonista, l'emergente Jeong Yu-mi. In un film dal carattere fondamentalmente commerciale, il regista riesce così ad inserire elementi di critica sociale genuini e non pretestuosi, donando inoltre ai caratteri dei due protagonisti uno spessore che facilita l'empatia da parte del pubblico.

Le battute, le gag e le schermaglie sentimentali che la sceneggiatura offre sono restituite come da copione, ma nel film si nota una limpidezza di intenti, una lucidità nello sguardo e un'attenzione alla credibilità delle vicende, che segnala il regista come un nome promettente, certo più attento alla costruzione narrativa di molti suoi colleghi che si sono cimentati nel genere. Nella seconda parte, il film effettua una virata decisa verso il noir, accentuando il suo carattere realistico e premendo anche il pedale sulla componente melò: il cambio di registro è gestito bene sia dalla regia che dai due protagonisti, che adeguano bene il loro stile recitativo al mutato clima, mostrando inoltre un notevole affiatamento. I minuti finali dicono molto in termini di coinvolgimento emotivo, creando abilmente un climax che restituisce bene anche il carattere in fondo "morale" della storia. E si può in fondo perdonare al regista anche l'ultima scena, a parere di chi scrive superflua e forse anche dannosa nel rivelare un esito della vicenda che sarebbe stato meglio lasciare alla libera interpretazione dello spettatore. Ma si tratta, è bene ricordarlo, di un film per il pubblico, e in questo l'esordiente Kim ha svolto, più che egregiamente, il suo lavoro.

Movieplayer.it

3.0/5