Il Gobbo di Notre Dame quando uscì in sala lasciò di stucco critica e pubblico. Il nuovo corso impegnato preso della Disney era sotto gli occhi di tutti, Il Re Leone aveva parlato di Shakespeare e Omero, Pocahontas aveva affrontato la scomoda realtà storica del colonialismo. Ma nessuno si aspettava che dal grande capolavoro di Victor Hugo sarebbe stato tratto un film così audace, così cupo e così complesso. Sono passati 25 anni da quando le avventure di Quasimodo portarono per la prima volta un personaggio affetto da deformità al centro di un iter animato, rompendo un tabù, siglando una totale cesura con la tradizione disneyana che voleva solo principi belli e aitanti o animali fieri e divertenti. A conti fatti uno dei film più importanti sul concetto di malvagità e pregiudizio, sulla diversità e la nostra difficoltà nell'accettarla, sulla storia dell'umanità, scritta col sangue, e la sofferenza degli ultimi.
Una nemesi tanto realistica quanto terrificante
La Disney era nel pieno del suo Rinascimento, di un periodo dorato che l'aveva vista sfornare capolavori su capolavori. Il re leone era stato l'apice di quel nuovo corso, con la sua capacità di andare oltre semplici storie dello scontro tra bene e male, abbracciando una dimensione diegetica in cui si affrontavano tematiche importanti e anche disturbanti. Tuttavia ne Il gobbo di Notre Dame, la responsabilità personale, l'incomunicabilità, l'accettazione del diverso e la politica furono protagonisti in modo inedito.
Se è vero che in una storia il cattivo è il 50% di ciò che serve, allora parlando de Il Gobbo di Notre Dame non si può che partire da lui, da Claude Frollo, che si fece ambasciatore di lussuria, odio razziale, xenofobia e di una religiosità tossica. Vi sono stati tanti nemici più affascinanti e volendo carismatici di questo giudice (nell'opera originale era un arcivescovo) ma nessuno che possa rivendicare l'incredibile rinnovamento che egli portò, nonché la sua complessità, soprattutto perché connesso a un reale periodo storico. La Francia fu mostrata per quello che era nel XV secolo: un paese diviso da una guerra civile, ma soprattutto da un fanatismo religioso, in cui i non cattolici erano trattati come nemici da estirpare e distruggere. Frollo era un fanatico che mirava alla pulizia etnica, non diversa da quella che nei Balcani si era consumata in quegli anni e portava con sé l'eredità storica di uomini come Torquemada, Himmler, Tamerlano, ispirandosi a quel Amon Goeth che aveva fissato nell'immaginario collettivo Ralph Fiennes in Schindler's List. Poi vi era Esmeralda. Verso di lei Frollo provava qualcosa di indefinito, torbido e disturbante, in cui possessività, maschilismo, ipocrisia si spingevano al limite in virtù di una natura sadica e strutturata su un'ossessione fautrice di un'instabilità mentale palese. Si, Frollo non era un cattivo come Capitan Uncino o Scar, come Crudelia o Ursula. Era l'immagine storica della sopraffazione maschile verso il sesso femminile, era la metafora visiva di secoli di stupri, angherie e violenze, spesso istituzionalizzate o mascherate come "Opera di Dio".
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Un eroe diverso da tutti gli altri
Il Gobbo di Notre Dame rovesciò i canoni visivi e semiotici dei cartoni Disney. Certo, vi era Febo, che se nel libro originale era un uomo terrificante e malvagio, qui invece fu reso un eroe senza macchia e senza paura. Nulla di innovativo, ma perfetto per fare da contraltare a Quasimodo che abita nella cattedrale e si nasconde dal mondo, che arrivò come un fulmine a ciel sereno a spezzare uno storytelling a base di leoni coraggiosi, affascinanti ladri o bei marinai che la casa di Topolino aveva proposto in quegli anni. Il contrasto tra i due era qualcosa di assolutamente unico e anche prezioso. Perché Febo, in fondo, era tutto ciò che Quasimodo sognava di essere, un aitante e coraggioso guerriero, oggetto dell'amore di Esmeralda. Nel proporre al pubblico giovanile tale contrasto tra realtà e immaginazione, Il gobbo di Notre Dame inserì con forza il concetto di astrazione, di fantasia come consolazione, e negò soprattutto la classica trasformazione finale.
L'atmosfera oscura, gotica, i simpatici gargoyles, donavano all'insieme il fascino del mistero e del fatato, ma per i più piccoli fu sicuramente una sorpresa vedere che non vi era nessuna bacchetta magica con cui Quasimodo poteva diventare come Febo: doveva accettarsi per quello che era. Ma, soprattutto, erano gli altri a doverlo accettare e per altri si intende anche il pubblico, che ha dovuto aspettare Alla ricerca di Nemo per vedere un altro personaggio afflitto da disabilità come protagonista. Di lì a pochi anni, anche Shrek avrebbe aiutato (con molta più ironia e sarcasmo) a rinnovare uno storytelling fissato da decenni sulla bellezza esteriore come rappresentazione di quella interiore. Ma di certo non poteva vantare un film così complesso, anche esteticamente raffinato, e soprattutto non era un personaggio così vulnerabile, poetico, ingenuo, messo di fronte ad un percorso di formazione tanto doloroso quanto realistico.
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Un film profondamente politicizzato
Quasimodo nel film subiva di tutto. Vessazioni, umiliazioni a non finire, manipolazione psicologica, aggressioni fisiche. Il Gobbo di Notre Dame ebbe quindi anche il grande merito di parlare al suo pubblico di quella piaga che era il bullismo, qualcosa che, ieri come oggi, colpisce quasi sempre i più deboli o i diversi. Ma più ancora ci parlò del razzismo, soprattutto della ghettizzazione, quel processo di isolamento che è ancora oggi triste realtà, che si parli delle banlieue Francesi (non poi così diverse dalla Corte dei Miracoli dei gitani) così come delle favelas di Rio o dei ghetti statunitensi. Si era esclusi e trattati come esseri inferiori per un mix che vedeva intersecate povertà, diversità di costumi o usi, e naturalmente la propria razza. Non proprio degli argomenti "classici" per un film Disney, soprattutto perché espressi in modo plateale, palese, con un'atmosfera non solo cupa, ma anche presaga di violenza, di morte e in cui il contrasto tra luce e tenebra venne sviluppato in modo perfetto. Oltre a tutto questo, Il Gobbo di Notre Dame parlò in modo molto meno metaforico e incredibilmente più realistico del pericolo nascosto dietro il culto della personalità, il delegare completamente il proprio destino e le proprie decisioni agli altri.
Frollo non aveva il suo potere in quanto Monarca o leader ingenuamente eletto. Era un uomo della burocrazia, che usava la paura, le menzogne, il sospetto e soprattutto la religione come armi. A conti fatti era un populista estremista, non diverso poi dai tanti che anche in tempi moderni cercano di arrivare al potere, creando una nemesi esterna da usare come spauracchio. Sono passati 25 anni da quando questo film non solo rinnovò coraggiosamente la semiotica dell'animazione disneyana, ma portò anche alla luce un semplice dato di fatto: l'animazione doveva essere più impegnata e sensibile, parlare concretamente delle problematiche più spinose. Il tempo delle canzoni tra uccellini e di baci incantati era finito.
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