Il Divin Codino, la recensione: Roberto Baggio, la vittoria è l’amore della gente

La recensione de Il Divin Codino: Roberto Baggio non è stato un personaggio banale, e il film che lo racconta, in streaming su Netflix dal 26 maggio, non è un film banale, ma un dramma in tre atti sui momenti chiave della sua vita.

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Il Divin Codino: Andrea Arcangeli in un primo piano

Roberto Baggio da Caldogno, Vicenza, è stato forse l'ultimo calciatore di una generazione che non c'è più. La recensione de Il Divin Codino, il film di Letizia Lamartire in streaming su Netflix dal 26 maggio, non può che partire da questa considerazione. Guardate una delle primissime scene, in cui, a Vicenza, Roberto Baggio concede un'intervista a bordocampo, dove gli viene chiesto se è il talento del futuro. Roberto, interpretato da Andrea Arcangeli, risponde in maniera timida, umile. Si concede poco. Ecco, Roberto Baggio è sempre stato un personaggio schivo, riservato, che a molti poteva sembrare antipatico. Era semplicemente se stesso, un calciatore che teneva molto al privato. Proprio nel momento in cui la sua parabola in nazionale era in fase calante, tra il 1998 e il 2000, in ascesa c'era Francesco Totti, prototipo del calciatore di oggi: mediatico, estroverso, social. Per questo Il Divin Codino è un film importante non solo perché racconta il giocatore, l'uomo, ma anche un'epoca.

Da Vicenza a Firenze e Brescia, passando per l'America

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Il Divin Codino: Andrea Arcangeli in una sequenza del film

Vicenza, 1985. Roberto Baggio (Andrea Arcangeli) è un giovane talento della squadra locale. Viene intervistato, gli chiedono se sarà il futuro del calcio italiano. Passa alla Fiorentina. Ma, durante una partita contro il Rimini di un certo Arrigo Sacchi, subisce un primo, grave infortunio. Lo ritroviamo a Firenze, dove per molto tempo non gioca. In un negozio di dischi incontra Maurizio, un ragazzo che lo inizia alla pratica buddista. Mentre è in forte dubbio se rimanere a Firenze o tornare a casa, riceve una bella notizia, la convocazione in Nazionale. Lo ritroviamo dopo sei anni, un Pallone d'Oro vinto e i mondiali di calcio, USA 1994, alle porte. Quella storia la conoscete. Con un salto di sei anni, siamo in un'estate strana, quella del 2000. Roberto Baggio è senza squadra, gli hanno proposto un ricco ingaggio in Giappone. E lui in Giappone ci vuole andare. Ma ai mondiali del 2002, con la nazionale. È quando si fa avanti il Brescia.

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Come Steve Jobs di Aaron Sorkin

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Il Divin Codino: Andrea Arcangeli in un momento del film

Il Divin Codino non è un biopic classico, una pagina Wikipedia degli eventi della sua carriera. Per raccontare una carriera durata quasi trent'anni, quella del miglior calciatore italiano di sempre, ci sarebbe voluta una serie, magari in dieci stagioni. Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, che già una volta ci avevano trasportato magicamente negli anni Novanta con la serie 1992, 1993, 1994, hanno scelto di fare una pièce in tre atti, un po' come aveva fatto Aaron Sorkin con Steve Jobs, facendo girare tutto intorno a tre presentazioni. Qui i momenti chiave sono tre: gli esordi e la vita a Firenze, i mondiali americani del 1994, e il finale di carriera a Brescia, con la rincorsa ai mondiali del 2002. In questo modo, la storia procede per ellissi. Detto dei salti temporali di sei anni, anche un momento chiave come il gol al San Paolo contro il Napoli di Maradona non viene mostrato, ma citato in un discorso con la moglie Andreina (Valentina Bellè). È una scelta che ci sembra sensata, anche se potrebbe lasciare l'amaro in bocca a qualcuno. Ognuno di noi ha avuto il "suo" Roberto Baggio, e ognuno magari vorrebbe vederlo con la maglia di questa o quell'altra squadra.

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Il Divin Codino: Andrea Arcangeli in una scena del film

La maglia azzurra

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Il Divin Codino: Andrea Arcangeli in una sequenza

E questo discorso ci porta a uno dei temi del film. A parte Vicenza e Fiorentina, non vediamo Baggio in nessuna casacca delle squadre big. Lo vediamo solo in azzurro: la maglia della nazionale prima, quella del Brescia poi, azzurra con la classica V bianca sul petto, una provinciale lontana dal tifo delle grandi squadre. È giusto così, perché, se Diana è stata la principessa del popolo, Roberto Baggio è stato il calciatore del popolo, il calciatore dell'Italia, che ha indossato tante maglie senza essere identificato con una in particolare. Per questo Baggio è amato da tutti, da chi ha tifato per la nazionale, da chi ha sognato con lui per almeno tre magiche estati.

Nel nome del padre

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Il Divin Codino: Andrea Arcangeli in una scena

Brescia, poi, è stato il luogo in cui ha incontrato Carletto Mazzone, interpretato qui da Martufello. È lui a dirgli che un calciatore, in un tecnico, cerca soprattutto un padre. E un padre Roberto Baggio lo ha sempre cercato. Era il suo. Il rapporto con il padre (Andrea Pennacchi) scontroso, apparentemente anaffettivo, ma solido e con i piedi per terra come certi contadini veneti, è il cuore pulsante di un film che, ovviamente, non è solo calcio. Tutta la storia è raccontata come la storia di un figlio che cerca di raggiungere il padre, di avere la sua approvazione, il suo affetto, di farsi dire bravo. Ha saputo che il padre ha pianto durante Italia-Brasile dei mondiali del 1970, e, a tre anni, gli ha promesso: li vincerò io i mondiali contro il Brasile, lo farò per te. Ci arriva, quasi, ma in finale, nel 1994, perde, ai calci di rigore, sbagliando il suo, calciandolo alto come non aveva mai fatto.

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Il Divin Codino: Andrea Arcangeli durante una scena

Un giocatore lo vedi dal coraggio

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Il Divin Codino: Andrea Arcangeli durante la fisioterapia

Ma non è da questi particolari che si giudica un giocatore, cantava De Gregori. Un giocatore lo vedi dal coraggio. E ci è voluto proprio coraggio, determinazione, voglia di arrivare, per avere una carriera come la sua con tutti i gravi infortuni che ha subito. "Il mio è un karma della sofferenza" ha detto spesso Baggio, parlando - secondo la sua fede buddista - di qualcosa che evidentemente ha dovuto espiare in questa sua esistenza. La sua filosofia gli ha reso tutto più sopportabile, più chiaro. Ma la storia di Baggio è bella anche perché non è un vero e proprio lieto fine. Pensate alla storia di Totti (che abbiamo visto nel documentario Mi chiamo Francesco Totti e nella serie Speravo de morì prima): si rompe proprio prima di andare ai Mondiali di Germania, recupera, e vince i mondiali. Baggio si rompe, recupera, ma non viene convocato. Vive un sogno, battere il Brasile nella finale dei Mondiali, arriva a un passo, ma non ce la fa. Ecco, Baggio è amato anche per questo. Non sempre ha vinto. Ma ha sempre dato tutto. E la vittoria, per lui, è stato l'amore della gente.

Roberto Baggio, un personaggio mai banale

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Il Divin Codino: una scena

Roberto Baggio insomma è stato un personaggio mai banale, e Il Divin Codino è un film che non è affatto banale. La scelta di un dramma in tre atti, il ruotare della storia intorno al sogno di un bambino e al rapporto tra un padre e un figlio (con colpo di scena finale, anche questo affatto banale) è una scelta forte. A qualcuno, certo, potrà lasciare l'amaro in bocca. Ma si tratta di un punto di vista. Ma poi c'è tutta la forma. Detto che Il Divin Codino è un piccolo film, una produzione con budget non eccessivi, che spesso riesce bene a mascherare questo aspetto, ma non del tutto, c'è il discorso tecnico. Come sappiamo, riprodurre le scene del calcio giocato al cinema è una delle cose più difficili in assoluto. Letizia Lamartire e il suo team, anche qui, se la cavano piuttosto bene. Si vede un attento lavoro di studio sul materiale di repertorio, e un grande lavoro di coreografie prima, e di montaggio poi. Spesso l'azione viene riproposta in campo lungo, con il materiale di repertorio, e la finzione avviene, in campo stretto, solo per l'ultimissimo atto dell'azione, l'ultimo gesto, e soprattutto l'esultanza. L'uso di macchine da presa anni Novanta fa il resto. Anche qui, però, possiamo immaginare come il risultato possa non soddisfare tutti.

Andrea Arcangeli e Roberto Baggio

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Il Divin Codino: Andrea Arcangeli in ospedale

Andrea Arcangeli, nel ruolo di Roberto Baggio, è bravissimo: non punta mai all'imitazione ma all'essenza di Baggio, ed è eccezionale nella camminata, nella corsa, nelle movenze, nelle esultanze che sono diventate iconiche, e che vengono riprodotte alla perfezione. Se Andrea Pennacchi, nel ruolo del padre, è una delle cose migliori del film, e Valentina Bellé riesce a dare vita bene alla riservatezza e alla sensibilità della moglie Andreina, alcuni personaggi di contorno (Sacchi, Trapattoni, il Mazzone di Martufello, somigliante nel fisico ma meno nell'essenza) sembrano più imitare che ricreare. Ma guardate il film - in cui l'emozione e la commozione crescono man mano che avanza - e troverete, alla fine, il vero Roberto Baggio. La scena è quella dell'ultima partita giocata, con il Brescia a San Siro contro il Milan. L'ovazione della scala del calcio è uno spettacolo. Ma il vero spettacolo è lo sguardo di Roberto Baggio: quegli occhi azzurri, piccoli e taglienti, ma anche pieni di tante, tante cose. Baggio è stato un giocatore unico. Per raccontarlo ci è voluto un film, a suo modo, unico.

Conclusioni

Nella recensione de Il Divin Codino vi parliamo di un film importante non solo perché racconta il giocatore, l'uomo, ma anche un'epoca. La scelta di non girare un biopic classico ma un dramma in tre atti che ruota attorno al rapporto tra un padre e un figlio, e tra un calciatore e la gente, è una scelta forte, anche se potrà scontentare qualcuno. La storia di Baggio è emozionante, e il film, anche se a tratti, trasmette queste emozioni.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.3/5

Perché ci piace

  • L'interpretazione di Andrea Arcangeli, che non imita mai ma lavora sull'essenza e sulle movenze.
  • Il film racconta un calciatore unico, e un calcio che non c'è più.
  • La scelta di raccontare tre atti, tre momenti chiave della vita di Baggio, dimostra personalità...

Cosa non va

  • ...ma allo stesso tempo potrebbe scontentare qualcuno.
  • Così come alcune sequenze di calcio giocato, realizzate comunque bene, potrebbero non soddisfare parte del pubblico.