Un classico della letteratura come Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas non può non generare molteplici e variegate versioni cinematografiche e televisive nel corso degli anni. Ancora abbiamo ben impressa in mente la miniserie degli anni '90 con Gerard Depardieu oppure la libera rivisitazione moderna Revenge con Emily VanCamp. Tra la fine del 2024 e l'inizio del 2025, però, la nostra televisione è stata riempita di ben due nuovi adattamenti a poche settimane di distanza.
Prima, durante le festività natalizie con il film di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, disponibile su Mediaset Infinity, e ora per iniziare l'anno nuovo ecco la serie diretta da Bille August in onda sulla Rai. Una coincidenza che ci permette di mettere a confronto due metodi molto diversi di adattare un opus magnum: ovviamente, fate attenzione ad eventuali spoiler proseguendo nella lettura.
Il Conte di Montecristo: dalla pagina allo schermo
È interessante il percorso distributivo de Il Conte di Montecristo, il film francese del 2024 diretto da Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, che già si erano cimentati nel portare sul grande schermo un altro romanzo di Dumas, I tre moschettieri. Presentato in anteprima fuori concorso a Cannes e accolto da grandi applausi, è uscito nei cinema francesi a giugno, diventando la seconda pellicola con l'incasso più alto dell'anno e tra le 20 più viste della storia francese. Da noi, per un ginepraio produttivo, è arrivato direttamente in tv su Canale5, trasmesso in due serate come fosse una miniserie in due puntate. Forse per strizzare l'occhio a ciò che sarebbe successo di lì a breve sulla concorrente Rai.
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Classicità vs. modernità nel film Mediaset
La peculiarità di questa versione è la contemporaneità del racconto mescolata al suo essere un romanzo storico. Può essere considerato il suo punto di forza ma anche la sua debolezza: quel mix non sembra propendere né per l'uno né per l'altro stile. Il risultato è che molte scelte narrative cozzano con quanto vediamo in scena, come una battuta che si riferisce a Cenerentola oppure un nascondiglio segreto nella villa del Conte che si apre quasi fossimo in un film di Indiana Jones. Anche i dialoghi utilizzati sono un misto di aulico e contemporaneo, generando una distorsione che può creare fastidio nello spettatore. Va benissimo riscrivere e rendere più vicina ai giorni nostri una storia, ma allora deve essere fatto fino in fondo e con cognizione di causa.
C'è anche un po' d'Italia nel film, elemento in comune con l'altra produzione: il nostro Pierfrancesco Favino interpreta l'Abate Faria, il prigioniero che aiuta il protagonista non solo ad evadere dal Castello d'If ma anche a trovare il tesoro sull'isola di Montecristo, dandogli fortuna, ricchezza e la possibilità di mettere così in atto il suo piano di vendetta: il carisma dell'attore è oramai indubbio ma non siamo sicuri che il suo talento sia stato sfruttato al meglio.
Anche le idee del Conte per camuffarsi quando torna 15 anni dopo lasciano un po' a desiderare e Pierre Niney, per quanto affascinante, sembra più interessato a mostrare il proprio fisico che a donare un vero e proprio charme silente al vendicatore per antonomasia. Essendo un film di due ore bisognava necessariamente tagliare svariate parti ma lasciano oltremodo perplessi alcune "crasi" che hanno unito le caratteristiche di svariati personaggi anche fondamentali, come ad esempio i due aiutanti di Edmond, Jacopo e Luigi Vampa, qui totalmente assenti se non nelle fattezze di altri combinati tra loro.
Una parte riuscita, però, è sicuramente il suo rapporto con Mercedes (Anaïs Demoustier), la donna della sua vita: il gioco di sguardi e di silenzi tra i due, così come i loro confronti, sono emozionanti e restituiscono l'ardore del romanzo. Una differenza c'è invece nel finale dato che questo è senza speranza per il protagonista; una volta finite le sue vendette e pronto a salpare verso il largo, senza Haydée al suo fianco che in questa versione sceglie Albert, che quindi a propria volta non parte con la madre dopo lo sbugiardamento del padre. Con un'inquadratura simbolica sulle sue origini marinaresche e in riferimento all'incipit della pellicola, che inizia e si conclude nell'acqua, proprio come la vita umana.
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La miniserie Rai: il potere della semplicità
Lo stile che Bille August ha scelto per la sua miniserie in otto episodi (quattro serate) è quello della fedeltà all'originale cartaceo, pur con qualche necessaria modifica. La sua è una maestosa co-produzione franco-italiana che quindi si avvale tanto di attori internazionali (francesi e inglesi) quanto nostrani (uno stuolo capitanato da Gabriella Pession, Michele Riondino, Lino Guanciale, Nicolas Maupas) che fa vedere i propri muscoli soprattutto nelle maestranze utilizzate rispetto alla controparte filmica. Presentata in anteprima fuori concorso alla Festa del Cinema di Roma, sta intrattenendo gli spettatori italiani ogni lunedì in prima serata su Rai1.
Uno dei punti di forza di questo adattamento è sicuramente il protagonista scelto, Sam Claflin, non solo per il fascino che si porta dietro ma anche per carisma e presenza scenica, morbida ma decisa, emotiva ma spietata, che riesce a donare al personaggio. Anche la Mercédès di Ana Girardot è una convincente spalla femminile e la storia d'amore al centro della narrazione strugge ed emoziona: qui ancora di più che dall'altra parte, grazie alla chimica tra i due e grazie al maggior minutaggio a disposizione per far intraprendere loro un vero e proprio passo a due lungo le puntate. Anche l'Abate Faria di Jeremy Irons sembra essere più centrato ed ammaliante.
La regia di August si affida ad una scrittura aulica e se vogliamo pomposa, proprio come i costumi che indossano i protagonisti, in parte didascalica che tende a spiegare e ripetere fin troppo lo svolgersi degli eventi, probabilmente avendo in mente il pubblico medio maturo del nostro servizio pubblico (gli ascolti incredibili tendono a confermare quest'ipotesi). Eppure questo paradossalmente aiuta a comprendere al meglio le motivazioni di Dantes e il suo disegno di vendetta sparigliato su più fronti.
Sono tanti gli intrecci secondari da seguire ne Il Conte di Montecristo, fedelmente al romanzo, e quindi il maggior tempo a disposizione e il reiterare le informazioni può diventare utile per il pubblico a casa. Una versione audiovisiva forse un po' troppo arcaica e classica, ma allo stesso tempo funzionale al messaggio di fondo. Certo è l'ennesima dimostrazione di quanto sia una storia senza tempo.