Saverio Costanzo, accompagnato dai produttori Giampaolo Letta e Mario Gianani e dagli attori Andrè Hennicke, Christo Jivkov, Filippo Timi, Fausto Russo Alesi e Marco Baliani hanno incontrato la stampa all'edizione 2007 del Festival Internazionale del Cinema di Berlino, dove il film è in concorso.
Il film è tratto dal romanzo del 1960 Il gesuita perfetto di Furio Monicelli, come è nata la decisione di realizzare un film tratto da quel romanzo?
Saverio Costanzo: In realtà il film è solo ispirato al romanzo e l'abbiamo usato come punto di partenza. Gianani mi ha fatto leggere in maniera subdola il libro mentre stavamo lavorando a Private e mi ha colpito subito, ma il tema era molto complesso e faticoso, quindi lì per lì l'abbiamo messo da parte. Dopo qualche tentativo di lavorare ad altri progetti, ci siamo tornati su, soprattutto perchè ero affascinato dall'idea di lavorare ancora una volta su un ambiente chiuso e sull'analisi del concetto di libertà, che sono il centro sia di questo film che del precedente. Qui in particolare si tratta della privazione della libertà.
Siamo partiti dal romanzo ed insieme allo scrittore abbiamo dato maggior respiro a degli aspetti che nel libro non sono raccontati.
Ho notato dei personaggi che ricordano dei sopravvissuti all'Olocausto ed anche i disegni che appaiono nel film ricordano Primo Levi. E' azzardato pensare ad un'analogia tra questi due mondi?
Saverio Costanzo: E' una domanda interessante. In effetti mi sembra un paragone azzardato, anche se i personaggi sono sofferenti e sull'orlo di un abisso, anche se si tratta di un abisso interiore.
Forse sì, il periodo in cui viviamo è sociologicamente un olocausto e qui c'è la volontà dei personaggi di vivere una vita piena e c'è senza dubbio un forte contrasto col mondo esterno, che va avanti e continua a vivere, come possiamo percepire attraverso le finestre.
Sarebbe fuori luogo dire che si tratta di un film d'amore, anche se può trattarsi di amore omosessuale?
Saverio Costanzo: Sì, si percepisce questa tensione, forse maggiormente nel romanzo che negli anni 60 raccontava quello che allora non si poteva raccontare. E' un film d'amore, sì, ma non lo vedo come un amore fisico, ma piuttosto parla del saper amare, di amare sè stessi, la ragione e la conoscenza.
Marco Baliani: Per me si tratta di un film sull'amore, perchè si interroga sul chi sei e parla della necessità di essere amati in modo assoluto, di un amore fine a sè stesso. E il film parla dell'impossibilità di questo amore.
E' un film che ci ha toccati profondamente nel corso delle riprese.
Filippo Timi: Più che omosessuale, si tratta di un amore uomosessuale, cioè del tentativo di cercare Dio all'interno dell'uomo. Per quanto mi riguarda, ho vissuto il film in modo molto intimo, nonostante l'imponenza degli spazi.
E' un film d'amore per l'uomo, ma non parlerei di quel tipo di amore, che non è assolutamente inevitabile quando due uomini condividono lo stesso spazio.
Sembrano esserci anche riferimenti a Martin Lutero nei temi del film. E' stato fonte di ispirazione?
Saverio Costanzo: Il film ha moltissime fonti ed in effetti è un film di ricerca bibliografica, da i Padri del Deserto al teologo francese Olivier Clément e la citazione finale è tratta da Dovstojeskij. Più che un film è una tesi, anche se si tratta di una parola fuori luogo da accostare ad un film.
Come mai ha deciso di affrontare dei temi religiosi?
Saverio Costanzo: L'intenzione non era di fare un film religioso, infatti le domande che i personaggi si pongono sono domande universali, che anche io mi pongo, per esempio prima di una decisione importante, come può essere il matrimonio. La disciplina che i Gesuiti impongono è applicabile ad ogni scelta della vita.
Quanto alla religiosità, abbiamo anche deciso di non usare abiti religiosi per i personaggi, per poter favorire l'identificazione da parte del pubblico.
Una domanda anche sulla musica del film, che è a tratti un semplice contrappunto, mentre a volte diventa molto più assonante. Che lavoro è stato fatto?
Saverio Costanzo: Mi è capitato di passare del tempo in comunità religiose in cui si mangia accompagnati dalla musica, per esempio alcuni conventi di Gesuiti usano polke o valzer. Prima delle riprese abbiamo fatto con gli attori un periodo di meditazione per prepararci e abbiamo usato lo stesso sistema, quindi la musica era diventata una abitudine.
In un film in cui tutto è eccessivo, l'uso della musica in contrasto serve per raccontare le contraddizioni di un ambiente. Il valzer è stato usato perchè mi è capitato di sentirlo in alcune comunità, quindi si trattava di un aspetto reale, ma anche perchè in contrasto con l'atmosfera della scena.
In altri momenti, invece, la musica serve ad accompagnare ed è quando il film si prende più sul serio.
Come mai ha scelto Andrè Hennicke per il ruolo del Padre Superiore?
Saverio Costanzo: Volevamo un attore del nord Europa ed Hennicke è un genio ed è il contrario esatto del suo personaggio. Inoltre ha interpretato il ruolo senza conoscere l'italiano in modo esemplare.
La scelta è stata complessa, eravamo già a Venezia a girare e ci eravamo ormai convinti a prendere un italiano, contraddicendo la nostra idea iniziale, quando è venuto fuori il nome di Hennicke e mi hanno convinto a provarlo. Lui è venuto a Venezia, ci siamo incontrati e siamo stati subito colpiti.
Andrè ha un corpo che è puro cinema, un volto incredibile.
Il bacio finale è da intendersi come bacio omosessuale o come il bacio di Giuda?
Saverio Costanzo: Il bacio è un invito all'amore, l'amore che dovrebbe guidare tutte le grandi decisioni, quindi l'opposto del bacio di Giuda. Sul bacio si potrebbe discutere a lungo, e preferisco che ognuno abbia la sua interpretazione, ma la mia è opposta al tradimento.
Per quanto riguarda il casting, ha scelto attori non italiani perchè voleva quei particolari attori o per poter avere una visione dall'esterno di un ambiente tipicamente italiano?
Saverio Costanzo: Volevamo ricreare un ambiente attinente alla realtà, un ambiente internazionale come sono i seminari.
In particolare Christo è stato scelto perchè volevamo un attore dell'est per quel ruolo, con la capacità di lavorare molto con gli occhi.
Come mai un film cattolico realizzato da un regista di sinistra?
Saverio Costanzo: Che vuol dire esattamente regista di sinistra? Il film è inserito in un contesto profondamente cattolico, ma se qualcuno ha visto un'apologia delle istituzioni, sbaglia perchè in realtà si tratta del contrario.
Noi cerchiamo di porre delle domande e non avrebbe avuto senso se il discorso fosse affrontato dall'esterno delle istituzioni stesse.
Christo Jivkov: Il film parla di molte cose, ma non c'è sinistra, non c'è destra, nè cattolico od ortodosso. E' un film che o ti tocca o non ti tocca, e se non lo fa dipende da una chiusura da parte dello spettatore.
Si aspetta una polemica da parte del Vaticano per la scena del bacio, considerando anche il momento e l'accento di Hennicke che ha un che di Ratzingeriano? Qualcuno in Italia ha già visto il film?
Saverio Costanzo: Abbiamo finito il film martedì, quindi ancora non è stato visto. Per quanto riguarda le polemiche, è da vedere: a volte cascano nelle reti, ma mi aspetto che le parole del Padre Superiore dette in quella stanza diano la giusta prospettiva alla scena.
Se poi creerà disagio, ne siamo contenti.
Nei titoli c'è un ringraziamento a Marco Bellocchio, è stato importante per lei?
Saverio Costanzo: Per Bellocchio ho un debito da cineasta. Ci ha seguiti molto durante la lavorazione, ci ha fatto tagliare, tagliare... insomma ci ha accompagnati. E' un maestro e ringraziarlo era il minimo che potessimo fare.