Dopo l'esordio avvenuto nel 2013 con Prossima Fermata Fruitvale Station, Ryan Coogler è diventato uno dei registi più promettenti e di successo a Hollywood. Un percorso, il suo, condiviso spesso e volentieri con il suo attore-feticcio Michael B. Jordan che ha recitato in tutte le sue pellicole con la sola eccezione del secondo Black Panther. Proprio l'incredibile successo commerciale dei due lungometraggi targati Marvel Studios ha conferito al filmmaker un'incredibile visibilità che è stata ribadita e riaffermata anche con il lancio della saga spin-off di Rocky, Creed. Coogler ha diretto solo il primo, ma ha prodotto anche i due seguiti.

Ora il regista è di nuovo nei cinema, sempre insieme a Michael B. Jordan, con I Peccatori, un progetto che torna, decisamente più in grande stile, dalle parti di Prossima Fermata Fruitvale Station da un mero punti di vista concettuale. Non abbiamo a che fare con il rilancio di una storica saga cinematografica effettuato percorrendo la strada dello spin-off né dell'aggiunta di una nuova tessera al colossale e spettacolare mosaico del Marvel Cinematic Universe.
I Peccatori è un lungometraggio basato su un'idea originale, un southern gothic ambientato in Mississipi negli anni trenta del novecento, quando le leggi razziali non rendevano di certo semplice la vita alle persone nere. Una pellicola che ha a che fare con l'occultismo e il vampirismo in cui Jordan interpreta addirittura la doppia parte di due gemelli.
Il primo fine settimana è andato decisamente bene al botteghino per una Warner che, dopo i pesantissimi flop di Mickey 17 e The Alto Knights, sta respirando un po' di ossigeno grazie a Un film Minecraft e alla pellicola di Coogler che potrebbe dimostrare di avere una buona tenuta (con un costo di circa 90 milioni, dovrebbe comunque incassarne almeno 300 per andare tranquillamente in attivo). Eppure a Hollywood I Peccatori sta destando una certa preoccupazione per via di una specifica clausola contrattuale richiesta da Coogler che potrebbe mettere in crisi il sistema degli studios.
Causa di forza maggiore
Quando I Peccatori era ancora al centro di un'accesissima bidding war fra gli studi di Hollywood, la WME, che cura gli interessi del regista, ha messo subito le cose in chiaro circa quelle che erano le richieste di Coogler: il final cut privilege, un guadagno percentuale partendo dal first dollar gross (quindi, letteralmente, dal primo dollaro incassato dal film e non dal momento del punto di oareggio in poi) e, infine, il punto più controverso. Dopo venticinque anni dall'uscita della pellicola, i diritti di sfruttamento dovranno tornare nelle sue mani.
Tutte queste condizioni sono stare garantite dalla Warner che ha prodotto l'opera. Sony e Universal, le altre realtà molto interessate a I Peccatori, hanno deciso di lasciar perdere proprio per la volontà di non voler in alcun modo ottemperare a quest'ultimo, controproducente punto. Far sì che un regista abbia il pieno controllo dei diritti di sfruttamento di un film è qualcosa che va in direzione contraria a quello che è il tipico modo di fare delle major. Già perché da che mondo è mondo, gli studios di Hollywood producono film per arricchire il proprio catalogo, definire la propria identità e fare milioni su milioni di dollari negli anni a venire.
Naturalmente, in base a ciò che viene stabilito nei contratti e grazie alle tutele dei vari sindacati, gli autori e gli interpreti di un film continuano a macinare milioni di dollari anche anni dopo l'uscita di un dato progetto per via dei ben noti residuali e le eventuali partecipazioni a livello produttivo. Registi, produttor e attori possono fare il buono e il cattivo tempo con le varie operazioni di restauro e re-release senza tuttavia possedere in toto il frutto del loro lavoro che resta appannaggio della major che ha fornito il capitale e le risorse necessarie alla sua realizzazione.
Non è un caso che alcune recenti acquisizioni multimiliardarie - quella della Fox da parte di Disney, di MGM da parte di Amazon e della Paramount da parte di Skydance - avessero come obbiettivo proprio l'accaparramento delle relative library cinematografiche e le uova d'oro che possono garantire dal punto di vista dello sfruttamento commerciale reiterato nel tempo. I co-presidenti di Warner Bros., Pam Abdy e Michael DeLuca, hanno dovuto necessariamente assecondare le richieste di Ryan Coogler perché la major deve ancora sistemare tutti i danni della precedente gestione, quella che aveva deciso di portare per un anno abbondante in day-and-date al cinema e in streaming tutte le pellicole del listino come risposta alle sfide della pandemia e dei cinema in ginocchio.

Una scelta che ha portato al divorzio della major con Christopher Nolan e alla nascita di dissapori con autori di richiamo come Denis Villeneuve. Per tale ragione, Abdy e DeLuca si sono ritrovati nella non semplice posizione di dover rispondere "Sì, signore" a pretese come quella di Coogler. E non solo: hanno accettato anche di produrre lungometraggi estremamente costosi di autori riconosciuti, ma commercialmente poco performanti. 130 milioni di dollari sono stati spesi per Una battaglia dopo l'altra di Paul Thomas Anderson, 80 milioni per The Bride! di Maggie Gyllenhaal (una sorta di rivisitazione punk di La moglie di Frankenstein) e 80 milioni per l'adattamento di Cime tempestose firmato da Emerald Fennell (Saltburn).
I precedenti
In realtà a Hollywood esistono dei precedenti in quanto a registi che, dopo un tot numero di anni, assumono il possesso dei film che hanno prodotto o girato. Un copyright club che comprende Mel Gibson, Peter Jackson, Richard Linklater e, soprattutto, Quentin Tarantino. Nel 2017, quando ha siglato il contratto con la Sony per la produzione di C'era una volta a Hollywood, veniva stabilito che dopo 30 anni i diritti del film sarebbero tornati a lui.

Vulture segnala che, stando a due insider a conoscenza dell'accordo di reversion in oggetto, non si trattava di una novità per il papà di Pulp Fiction. Era una clausola ereditata da un precedente contratto con Miramax, lo studio dei fratelli Weinstein dove il regista aveva lavorato a pellicole trionfali come la già menzionata Pulp Fiction e Kill Bill. Una terza fonte a conoscenza della vicenda su C'era una volta a Hollywood aggiunge che: "La fortuna della Weinstein Company era dovuta a Tarantino, quindi gli davano tutto ciò che chiedeva. E quando ha iniziato a lavorare altrove, Sony ha detto: 'Beh, aveva già questo benefit. Se vogliamo lavorare con lui, dobbiamo continuare così'.".
Tornando a Coogler, i timori secondo cui il suo accordo possa dare inizio alla fine del sistema Hollywood e al controllo da parte delle major sui film prodotti, sarebbero eccessivi secondo alcuni. Si tratta di qualcosa che solo i registi più importanti possono ottenere. Non è alla portata di tutti.

Ma c'è anche chi fa notare che se si tratta di doversi assicurare i servizi di un regista non caucasico o donna che ha all'attivo un successo più o meno a sorpresa, uno studio potrebbe comunque assecondare eventuali pretese del genere pure per ottemperare alle varie necessità di diversificazione in seno all'industria del cinema percepita come "troppo bianca e maschile". Andando quindi a correre un rischio effettivamente non da poco.
Un dirigente di uno studio rivale di Warner citato sempre da Vulture non appoggia minimamente la mossa per I Peccatori: "Non faccio il tifo contro Mike DeLuca e Pamela Abdy. Sono produttori a favore dei filmmaker, hanno rischiato tanto collezionando anche grandi fallimenti. Ma questo accordo che hanno fatto con Ryan Coogler ha incasinato tutto, ed è stato fatto per disperazione. Far ritornare i diritti in mano al regista? È davvero pericoloso".