Dopo l'uscita di Donnie Darko nelle sale nel 2001, il suo "creatore" Richard Kelly si rifiutava di considerare il lavoro relativo al film e ai personaggi concluso. La sua ossessione era liberarsi dalle limitazioni e dalle imposizioni provenienti dal Sistema hollywoodiano e di portare in sala la sua creatura in quella forma pura e non mediata che lui aveva ben chiara in mente.
"Sebbene io sia orgoglioso della precedente versione del film, ho sempre pensato che, in qualche modo, la storia era stata compromessa dalla necessità di restare sotto le due ore" ha dichiarato Kelly, che grazie all'amore dei fan e all'incontro con figure produttive e distributive che l'hanno supportato è stato quindi in grado di "finalmente completare il film".
La Director's Cut di Donnie Darko è uscita nelle sale americane nell'estate del 2004, successivamente è sbarcata in alcuni dei paesi dove già era uscita la theatrical version, mentre in Italia abbiamo avuto l'occasione di vederla nel corso della 61esima Mostra del Cinema di Venezia.
In cosa differiscono le due versioni?
La Director's Cut ha circa 20 minuti in più (133 minuti invece degli originali 113), ha nuovi effetti visivi e conta su una colonna sonora rivoluzionata, con l'aggiunta di alcuni brani e la ri-collocazione all'interno del film di altri.
Oltre ad una variazione nelle scene iniziali, le principali differenze risiedono nella lunghezza e nel montaggio dei momenti "onirici", dei sogni ad occhi aperti di Donnie, ma soprattutto nell'introduzione di molte scene che approfondiscono i testi contenuti nel libro di Roberta Sparrow "The Philosophy of Time Travel".
In questo senso, l'intenzione di Richard Kelly risulta piuttosto chiara: guidare più approfonditamente lo spettatore nelle concezioni filosofiche e scientifiche dei viaggi nel tempo e degli argomenti correlati (come l'Universo Primario, l'Universo Tangente, e i Viventi Manipolati). Purtroppo però, quello che nelle intenzioni del regista risultava essere il tentativo di spiegare e coinvolgere di più, alla prova dei fatti ha un effetto quasi opposto: l'eccesso di esplicazione si tramuta in un aumento della cripticità e della complessità dei concetti, che a sua volta corre il rischio di diventare una fonte di distrazione dalla splendida storia del film. Una storia che - ci teniamo a sottolineare - va ben oltre un gioco fantafilosofico sul viaggio nel tempo e sulle sue implicazioni, ma che trova nell'esame dell'ansia di un adolescente, nella sua difficoltà a far coincidere i suoi sogni e le sue aspettative con la realtà, nell'analisi spietata di un certo tipo di Sogno Americano le sue più interessanti ragioni d'essere.
Troppo legato, forse, a queste teorie da lui stesso create, Kelly non riesce quindi a mediare i suoi desideri con la necessità di realizzare un'opera funzionale all'interazione con lo spettatore.
Di tutt'altro genere è invece il discorso che potrebbe essere fatto riguardo le variazioni relative alla colonna sonora: già splendida nella versione originale, in questo Director's Cut risulta essere ampliata ed ancora più funzionale alla necessità di essere "coro greco" che serva da commento e sottolineatura alle vicende di Donnie nel film. E grazie al cielo è stata conservata per lo struggente finale del film la splendida cover di Gary Jules della Mad World dei Tears for Fears: un connubio tra musica e immagini che diventa una delle più toccanti rappresentazioni dell'assurdità e della sobrietà del lutto ammirate di recente.
Nel complesso, non possiamo che appoggiare la decisione della Moviemax, che ha deciso di distribuire (finalmente) Donnie Darko nelle nostre sale nella sua versione del 2001, quella che permette di coglierne più agevolmente e con maggiore fascinazione l'essenza e la valenza. Chi - come chi scrive - ha amato il film, troverà poi nella Director's Cut l'occasione per rivedere e approfondire. Certo, il massimo sarebbe avere una versione 2001 che godesse del lavoro sulla colonna sonora della Director's Cut, ma nella vita non si può avere tutto.