Mercoledì 9 aprile debutta su Sky Atlantic la prima stagione di House of Cards, la pluripremiata serie televisiva ambientata nei "corridoi del potere" della Casa Bianca, con un magistrale Kevin Spacey nel ruolo dell'ambizioso deputato Frank Underwood.
Uno schianto improvviso; un cane lasciato moribondo sul selciato, nell'oscurità; un uomo disposto a prendere decisioni difficili pur di evitare quelle che lui definisce "sofferenze inutili". È la sera della vigilia di Capodanno del 2013, e l'uomo in questione è Francis J. Underwood, detto Frank, membro del Congresso degli Stati Uniti d'America ormai da ventidue anni. Come lo stesso Frank chiarisce allo spettatore, rivolgendosi direttamente alla macchina da presa, il suo compito è quello di "cane da guardia" della maggioranza che sostiene il Governo del neo-eletto Presidente democratico; ora, però, i suoi "giorni da idraulico" sono finalmente conclusi, e Frank è in attesa di ricevere la prestigiosa nomina a Segretario di Stato. Tuttavia, nello sfibrante "gioco a incastri" della politica ai massimi livelli, nessuna promessa è immune al mutare delle maree e alle esigenze della più importante democrazia del pianeta. Ma un uomo come Frank Underwood, la cui astuzia è seconda soltanto alla sua ambizione, non può accettare di subire uno smacco del genere senza reagire: pertanto, la sua rinnovata dichiarazione di lealtà al Presidente sarà solo il primo passo di una vendetta spietata e implacabile. Benvenuti a Washington D.C.!
Il castello di carte
Ispirata all'omonima miniserie televisiva del 1990 di Andrew Davies per la BBC (ambientata al tramonto del Governo di Margaret Tatcher), tratta a sua volta da un romanzo di Michael Dobbs, House of Cards ci trasporta lungo i corridoi e dentro gli uffici della Casa Bianca, muovendosi all'interno di un microcosmo ben definito: una Washington D.C. dai toni plumbei e invernali, in cui sembra quasi tirare un'aria da fine del mondo. Il teatro emblematico nel quale il creatore della serie, Beau Willimon, mette in scena un'affascinante parabola sul potere e sui suoi perversi meccanismi, che si dispiega nell'arco delle tredici puntate della prima stagione, messe a disposizione in streaming da Netflix nel febbraio 2013. Willimon, del resto, non è nuovo alla descrizione degli ambigui retroscena della politica: nel 2008 aveva realizzato infatti un apprezzato dramma teatrale, Farragut North, dal quale nel 2011 George Clooney ha tratto il film Le idi di marzo, con Ryan Gosling. Ovviamente, la struttura a episodi di un prodotto quale House of Cards permette un approfondimento ancora maggiore di situazioni e tematiche già affrontate nella pellicola di Clooney (e in tanti altri titoli analoghi); a partire dall'ambivalente rapporto fra la politica e l'informazione, altro nucleo centrale della serie di Willimon, che in patria ha raccolto un ampio e meritatissimo consenso di critica, coronato dalla vittoria di tre Emmy Award per il casting, per la fotografia di Eigil Bryld e per la regia di David Fincher, al quale è stata affidata la direzione dei primi due "capitoli" di questo avvincente thriller politico.
L'inverno del nostro scontento
La definizione di "thriller", tuttavia, non deve indurre in errore: al di là dei colpi di scena e della suspense, House of Cards mira ben più in alto, puntando a veicolare una lucida riflessione sull'esercizio del potere, sugli spettri evocati da un'ambizione divorante e sui compromessi morali ai quali i personaggi sono disposti a piegarsi pur di conseguire i propri scopi. In tal senso, i riferimenti più evidenti di Beau Willimon e del suo team di co-sceneggiatori risiedono nelle tragedie di William Shakespeare: mutano le epoche, muta il contesto storico, mutano le forme istituzionali, ma rimane inalterata la natura umana, in cui l'onestà di facciata e il servizio dello Stato convivono con l'opportunismo più sfrenato, e in cui la doppiezza diventa un indispensabile strumento di sopravvivenza. E Frank Underwood, la cui apparente lealtà alla causa maschera una spregiudicatezza ed un cinismo disarmanti, richiama subito alla memoria figure grandiose e terribili del teatro shakespeariano, in primis Riccardo III e Macbeth. Tanto più che, a prestare il volto a questo tenebroso antieroe dei nostri giorni, è un formidabile interprete quale Kevin Spacey (I soliti sospetti, American Beauty), che in House of Cards domina lo schermo con una performance luciferina ma al contempo sapientemente misurata. Al suo fianco, ad incarnare con fredda eleganza il ruolo della moglie del deputato Underwood, Claire, troviamo un'altrettanto subdola Robin Wright, che per la sua interpretazione si è aggiudicata il Golden Globe come miglior attrice in una serie drammatica: una donna composta e raffinata, in perfetta sintonia con il marito e sempre pronta a condividere - e anzi ad alimentare - la sua brama di potere, come la più degna erede di Lady Macbeth (giusto per proseguire il parallelismo con Shakespeare).
L'ambizione politica e il quarto potere
Ma oltre ai temi sempiterni del desiderio di potere e della sete di vendetta, l'intreccio di House of Cards, come accennavamo in precedenza, si regge anche su un altro significativo elemento narrativo, di un'attualità quanto mai stringente: la natura dell'informazione e del giornalismo in un'era in cui il "quarto potere" è costretto a confrontarsi con l'incipiente monopolio di internet, specialmente dal punto di vista della rapidità nella diffusione delle notizie, e con fenomeni affini al caso WikiLeaks e ai vari "scandali" esplosi in rete negli ultimi anni. Un conflitto, quello fra un giornalismo tradizionale e forse ormai anacronistico e le nuove frontiere dell'informazione on-line, che trova un'ideale personificazione nell'altra co-protagonista di House of Cards: Zoe Barnes (Kate Mara), giovane e determinata reporter del quotidiano The Washington Herald, consapevole delle trasformazioni della propria professione e impaziente di emergere dall'oblio della cronaca minore, mettendo a segno degli scoop in grado di scuotere le fondamenta della Casa Bianca. E qui si innesta il plot più interessante della serie, ovvero il "patto faustiano" tra Frank Underwood, Mefistofele dal ghigno sardonico, che all'occorrenza non esiterà a pugnalare alle spalle il Presidente Garrett Walker (Michel Gill), e la grintosa Zoe, la quale acconsente a ricevere e pubblicare le soffiate da parte di Frank, divenendo gradualmente l'arma più pericolosa e letale nelle mani del deputato.
Il patto con il diavolo
Ma nel corso della serie, Zoe non si rivelerà l'unica complice (e forse allo stesso tempo anche vittima?) di un'alleanza a doppio taglio con Frank Underwood, autentico burattinaio in grado di manovrare gli altri personaggi come pedine su una scacchiera. Nel complesso piano di vendetta del deputato, un ruolo essenziale sarà svolto infatti pure da Peter Russo (Corey Stoll), giovane deputato democratico affetto da una dipendenza da alcol e droghe, scelto da Underwood come potenziale outsider nella competizione per la poltrona di Governatore della Pennsylvania. Forte del sostegno di Frank e di sua moglie Claire, nonché dell'amorevole presenza della compagna nonché assistente Christina Gallagher (Kristen Connolly), Peter Russo inizierà una battaglia personale contro il proprio alcolismo, in contemporanea con un percorso di rinascita politica che lo porterà ad assurgere, agli occhi dell'opinione pubblica, a simbolo delle speranze di rinnovamento del Partito Democratico. Eppure, come nel frattempo avremo avuto modo di constatare, non è possibile scendere a patti con il diavolo senza sporcarsi le mani; e Frank, dal canto suo, si dimostrerà un assoluto campione di machiavellismo, pronto a sacrificare perfino gli individui a lui più vicini sull'altare della convenienza e del successo personale. Rendendo noi spettatori i testimoni silenziosi e partecipi di una progressiva scalata al potere, tanto appassionante nel suo incedere quanto inesorabilmente sanguinaria.