Horizon: An American Saga: la storia di un kolossal non compreso

Se il Capitolo 2 ha chiuso Venezia 81, andiamo a riscoprire la prima parte della saga western firmata da Kevin Costner. Un'opera imponente, forse non del tutto compresa.

Kevin Costner in Horizon: An American Saga

Horizon: An American Saga - Capitolo 1, primo di quattro film western scritti, diretti e interpretati da Kevin Costner è forse uno dei progetti più controversi, e mal comunicati, dell'ultima Era cinematografica. Probabilmente sarebbe bastato che questa saga western fosse stata firmata da qualche personaggio più main-stream, che avrebbe fatto furore ricevendo consensi e premi da ogni parte del mondo, perché ciò che ha realizzato Costner non è semplicemente un film western, ma un vero e proprio classico kolossal western.

Horizon An American Saga Kevin Costner
Baffi e cappello: il ritorno di Kevin Costner

Il problema è proprio Costner, amato dal pubblico, ma probabilmente molto odiato dagli addetti ai lavori per alcuni suoi comportamenti. Purtroppo in un'epoca dove la spettacolarizzazione e la velocità la fanno da padrona, una lettura così classica, ma tremendamente attuale e moderna del genere western, per di più realizzata da uno degli ultimi Cow-Boy (dopo Eastwood) di Hollywood, non è stata né compresa né purtroppo supportata.

Ma Horizon: An American Saga - Capitolo 1 è effettivamente un grande kolossal, senza tanti giri di parole, che viene però spalmato per ore e ore di narrazione. In un periodo in cui tutti vivono e comunicano attraverso prodotti verticali, o orizzontali ma molto brevi, e la serialità da streaming si trova in ogni casa con centinaia di prodotti a disposizione ogni giorno, il fatto che un quasi settant'enne Costner voglia raccontare "di nuovo" la Frontiera, con la carta del grande romanzo corale americano è quasi un'utopia. Tuttavia c'è ancora chi crede a questo vecchio Cow-Boy, come Alberto Barbera che ha deciso di chiudere, con una proiezione speciale e fuori concorso, l'81esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, con il secondo capitolo di questa grandissima opera.

Horizon, un film d'altri tempi?

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Kevin Costner a Cannes

Sì, probabilmente è questo il motivo della riluttanza di Hollywood su un film di questa taratura. Un film forse non adatto a questi anni, che si prende il tempo per narrare delle vicende fondanti dell'America e che ancora oggi rappresentano delle ferite aperte: quella Frontiera nata sul sangue di Indiani, Coloni e Bianchi. Un film senza dubbio che osa andare su una direzione inglobata da una miriade di immensi grigi, a differenza della realtà odierna dove lo schierarsi è divenuto quasi d'obbligo. Un film che rappresenti il bianco o nero e che vada dritto in una possibilità di racconto schierandosi non è certamente Horizon. Chi si aspettava un Costner alla Balla coi Lupi, in direzione dei Nativi Americani si sbagliava o chi si aspettava un Costner alla Yellowstone, in difesa solo dei bianchi altrettanto sarebbe caduto nell'inganno di questo immenso racconto americano.

L'amore di Costner per il West, e per l'America, sono la chiave per l'interpretazione del suo senso della vita, una chiave talmente forte che lo ha portato ad ipotecare un suo ranch per finanziare i 38 milioni di dollari necessari alla partenza delle riprese, ed ovviamente questo atteggiamento non è piaciuto alle major hollywodiane. Horizon è una storia che si prende il suo tempo, come è giusto che un western faccia, è una storia dall'ampio respiro costruita in maniera sia realistica che romantica: uno dei focus, tra l'altro, è senza dubbio la donna, mai stereotipata e assolutamente figlia del suo tempo, quell'ottocento duro e crudo, dove chi viveva nelle grandi pianure poteva morire dall'oggi al domani in maniera atroce e si veniva "scalpati", sia tra i bianchi che tra gli indiani.

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Lo sguardo del racconto

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Un primo piano di Abbey Lee

Proprio gli Indiani, mai chiamati in questa maniera (o in pochissime battute) ma aborigeni, sono fotografati in un modo che, soprattutto in questo primo capitolo, rappresentano uno schiaffo in faccia a qualunque mito del buon selvaggio saggio dalle parole indomite. Chi si trovava in quei luoghi cercava una via di fuga da un'Europa tremenda, che sfruttava e uccideva, e voleva un riscatto e una nuova vita, in un posto apparentemente più equo, dove giocarsela con tutti e tutte. I più intelligenti o meglio i più furbi, veloci, fortunati e spietati ce l'avrebbero fatta. In Horizon si raccontano molte tematiche, nonostante si pensi che le storyline siano "deboli" sono necessarie per narrare quei tremendi anni: gli assalti degli Apache, le motivazioni che portano i Nativi ad attaccare chi usurpa le loro terre, i pali conficcati in un campo per delimitare un confine poi trasformati in croci, i dubbi degli stessi Indiani con i conseguenti conflitti interiori e poi il viaggio dei bianchi verso una terra promessa (Horizon) dove poter costruire una nuova vita fatta di piccole quotidianità strappate da un momento storico dove l'unica regola era quella di sparare più veloce.

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Nel cast anche Sam Worthington

Nel film, come se ce ne fosse bisogno, è ancora più marcato il rapporto degli americani con le armi da fuoco, una relazione quasi ancestrale che fa comprendere purtroppo, principalmente al popolo europeo, quanto sia utopistico tornare indietro (soprattutto oggi). Costner in Horizon non stereotipa nessuno, né gli Indiani né i bianchi, cercando di mettere in scena delle persone, con una loro cultura, una loro storia, una loro interiorità, molto distante da quella dei coloni americani, pieno di retorica in alcuni casi e luoghi comuni, ma anche colma di citazioni e sguardi che fanno comprendere molto di più di tante scene action. Il western dopotutto è sempre stato fondato e caratterizzato dagli sguardi di coloro che lo raccontavano.

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Il mito della frontiera

La trama di Horizon, più volte criticata per alcuni e definita come una lunga puntata di una serie tv, si fonda anche sulle basi dei grandi racconti di Zane Grey, uno degli autori cardine per quanto riguarda il west, che sono scritti esattamente in questo modo; si entra da subito nel cuore dell'azione senza particolari successioni canoniche e sono le storie a rappresentare l'intero linguaggio, attraverso i piccoli dettagli, magistralmente messe in scena da Costner. Una ruota di un carro che si rompe, uno scambio di battute in un trading post, una fuga a cavallo, un indiano che incocca una freccia con la paura di morire, una vedova che piange il passato cercando di vivere il presente questo e molto altro fanno di Horizon un grande kolossal che racconta, e racconterà, l'America attraverso i suoi demoni ed angeli. E questa saga è un atto d'amore dello stesso Kevin Costner che si sente perfettamente a suo agio nelle praterie, in mezzo al bestiame, accanto ai carri di cui è fatto il western, una storia che rappresenterà una pietra miliare (sicuramente fra diversi anni) del genere.

Horizon, non è privo di difetti...

Come tutti i kolossal, che si rispettino, anche Horizon presenta delle perplessità, una fra tutti il ruolo stesso di Costner: dove tutti si aspettavano una sua firma indelebile, alla Balla coi Lupi, la sua firma è proprio nella narrazione stessa e non nella sua interpretazione. Il personaggio di Kevin Costner è funzionale, come gli altri personaggi, alla coralità delle scene di Horizon e non prevale in minutaggio né in scene "memorabili", ma è proprio il suo sguardo a voler raccontare quello che le parole non riescono a dire. Il lavoro di Costner è pieno di enfasi e retorica, ma anche di citazioni colte tratte dai grandi scrittori americani che hanno raccontato in lungo e in largo il West.

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Un dettaglio di Horizon

Nei panni del burbero pistolero del West ci si cala a pennello (un John Dutton dell'Ottocento), è chiaramente uno degli eroi della storia, ma non il protagonista assoluto (almeno in questo capitolo) e anzi forse è l'unico personaggio del film ad agire più di quanto parli. E qui torniamo agli sguardi, è proprio il suo personaggio a ricordare che non c'è bisogno di chissà quali battute, visto che il carisma con cappello e pistola è rimasto immutato dai tempi di Balla coi lupi e migliorato dopo Yellowstone. Il suo lavoro è fatto di luoghi comuni, ma anche di sentimenti potentissimi e primari dove l'unica vera debolezza è la figura patriarcale e assolutamente anti-intellettuale di Costner stesso, sia come personaggio, che come attore che (ad oggi) uomo pubblico e in un'epoca dove il politically correct la fa da padrone, anche questo ad Hollywood non piace.

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Una scena di Horizon

La linea dell'orizzonte è un confine sempre rimandato e un punto d'arrivo che non arriva mai (per ora), ma che risulta sempre vivo e nitido, rappresentando lo scopo dell'intero "viaggio degli eroi", ma che eroi ovviamente non sono. Tuttavia nonostante la magnificenza di alcune vedute quello che manca, se dovessimo andare a pescare il pelo nell'uovo, è forse una bella carrellata del grande west, delle grandi praterie e i grandi spazi che non sono solo lo sfondo delle storie, ma sono i protagonisti.

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Horizon quindi racconta una storia fuori dal tempo? No: le narrazioni cinematografiche come questa stanno tornando, perché l'America sta uscendo da una lunga fase di cinismo e negatività, ma come viene proposta sicuramente è un modo innovativo e forse fuori tempo per raccontare un'epopea, perché oltretutto cerca delle storie che si dischiudano e guardino in avanti, delle storie ottimistiche, positive pure nella loro crudeltà e violenza. La realizzazione del world-building non risulta mai noiosa, certo lenta ma funzionale sempre a sé stessa, e la parte finale con quelle anticipazioni (anche queste veramente fuori tempo e forse stonate) lasciano la voglia di saperne di più, o perlomeno voler capire dove i bianchi e indiani andranno a costruire il loro nuovo orizzonte.