Recensione Confessions of an Eco-Terrorist (2010)

Con verve autoironica e dissacrante, Peter Brown ci introduce alla ciurma del Capitano Watson, terrore dei fuorilegge dei mari, ma sa anche illuminarci su prospettive che, accecati dalle buone intenzioni, forse non avremmo considerato.

Ho incontrato il nemico, e siamo noi

Anche prima dell'avvento di Johnny Depp, la figura del pirata ha sempre emanato un fascino particolare. Certo, i suoi metodi non erano proprio ortodossi, e a tutti gli effetti era un ladro, spesso un assassino, sicuramente un poco di buono: ma era uno spirito libero, una persona che combatteva per se stessa e per il proprio diritto a esistere, e si divertiva facendolo. Anche la Sea Shepherd Conservation Society è una ciurma di pirati. Ma, sebbene conservino lo spirito oltraggioso e irriverente della loro controparte classica, loro non fanno del male a nessuno: la loro fame di avventura è anzi finalizzata a un nobile scopo, quello di salvaguardare i diritti degli abitanti del mare, messi in pericolo tanto dai fuorilegge quanto da chi, di una legge ingiusta e confezionata ad arte, si fa scudo per perseguire i propri interessi.

Confessions of an Eco-Terrorist è una sorta di diario di bordo a opera di Peter Brown, che affianca il Capitano Paul Watson da trent'anni e con cui ha dato vita anche alla serie televisiva Whale Wars: non per niente, secondo Brown, la telecamera è infatti l'arma più potente che si possa avere a disposizione, perché dove c'è la stampa c'è la notizia, e dove c'è la notizia ci sono meno possibilità che i cattivi riescano a farla franca, dato il vasto pubblico pronto a linciarli, se non nel senso fisico del termine, almeno mediaticamente. Dalla Groenlandia, terra di mattanza dei cuccioli di foca, alle Fær Øer, tomba di banchi su banchi di balene pilota, passando per il Pacifico, decimato fino a pochi anni fa dalle reti a galleggianti, e facendo sosta presso l'isola di Jurassic Park, oasi naturale in cui spadroneggiavano gli ammiragli sudamericani neanche fosse una riserva di pesca, la truppa di volontari capeggiata da Watson fa sfoggio dei suoi metodi, spesso drastici e sempre ingegnosi, per riportare la giustizia nei mari.

E non si potrebbe desiderare un narratore migliore di Brown a commentare le mirabolanti imprese del gruppo: quello che differenzia Confessions of an Eco-Terrorist dagli altri documentari a sfondo ambientalista, spesso dai toni melodrammatici quando non addirittura apocalittici, è il suo piglio scanzonato, dissacrante, che tuttavia non ci risparmia immagini scioccanti né tantomeno riflessioni non banali, ma che difficilmente penetrano nella consapevolezza dell'attivista medio. Come quella che ci spiega come il principale motivo della caccia ai cuccioli di foca siano in realtà coloro che si oppongono a questo massacro: ormai del tutto sconveniente economicamente sul fronte della vendita delle pellicce, il business è invece molto redditizio per albergatori e ristoratori della zona, che devono offrire vitto e alloggio a coloro che le foche le vogliono abbracciare e non prendere a martellate, e che immancabilmente si presentano in massa a difendere i diritti delle loro protette. Allo stesso modo, Brown non si fa scrupolo di sbugiardare i piani ridicoli orchestrati da autorità improvvisamente empatiche con questa o quell'altra millenaria tradizione, e certamente il suo approccio sopra le righe ha il pregio di imprimere con una forza irresistibile il messaggio anche nella mente dei meno coinvolti nella causa.

Che il contenuto sia più importante della forma con cui viene espresso è fuori discussione, ma è altrettanto vero che saper sfruttare le proprie doti di intrattenitori, il proprio carisma e la propria presenza scenica non può che giovare alla causa di Brown e Watson. Tanto più che le loro prese in giro non assumono mai la forma di un cieco bullismo nei confronti dei loro bersagli (anche perché, per quanto l'idea di speronare una nave possa essere vista come un atto certamente aggressivo, la prima, e inviolabile, regola di Watson è quella di non ferire nessun essere vivente), ma si rivolgono, con una verve autoironica del tutto nuova, anche a loro stessi. Così, le donne vegane diventano le armi più temibili di sempre, perché la loro dieta priva di serotonina le rende irritabilissime, tanto da dover nascondere loro il cosiddetto "vero cibo", e la vita dei volontari, lungi dall'essere una bella utopia di amore e solidarietà, è una sequela di attacchi di vomito e docce troppo sporadiche. Dimostrando che il mondo dell'attivismo non è in qualche modo sospeso in un limbo di ideali e teorie, ma è anzi ben piantato nella realtà, al punto di saper ridere di se stesso, Brown lo avvicina anche ai più diffidenti, facendoci vedere il volto più divertente, ma anche il più efficace, dell'ecologia.

Movieplayer.it

4.0/5