"Ma se c'è un Dio, allora perché c'è tanto male in questo mondo? A livello di semplificazione, perché c'erano i nazisti?" "E che ne so io perché c'erano i nazisti? Io non so come funziona un apriscatole!"
Il 7 febbraio 1986 nei cinema statunitensi debutta Hannah e le sue sorelle, sedicesimo lungometraggio dell'infaticabile Woody Allen. All'epoca, Allen è reduce da tre film apprezzatissimi dalla critica e molto diversi fra loro: il mockumentary Zelig, la commedia Broadway Danny Rose e la fiaba surreale La rosa purpurea del Cairo; la sua vena creativa, insomma, non mostra il minimo sintomo di stanchezza. Ma con Hannah e le sue sorelle il consenso per il regista newyorkese è destinato ad aumentare ulteriormente, tanto da raggiungere una fetta di pubblico ben più ampia del consueto; la prova arriva quando, il 28 febbraio, il film riceve una distribuzione nazionale negli USA, dimostrandosi per Allen un inedito campione d'incassi.
Nell'arco di un anno, Hannah e le sue sorelle taglia infatti il traguardo dei quaranta milioni di dollari in patria con undici milioni di spettatori, imponendosi come il massimo trionfo commerciale di Woody Allen dai tempi di Manhattan, ottiene il Golden Globe come miglior commedia e si aggiudica tre premi Oscar: per il miglior attore supporter a Michael Caine, per la miglior attrice supporter a Dianne Wiest e per la miglior sceneggiatura originale. Ma quali sono i principali motivi di un successo così trasversale, capace di abbracciare critica e pubblico, Europa ed America in egual misura?
La "commedia umana" di Woody Allen
Partiamo da un primo dato essenziale: Hannah e le sue sorelle è un capolavoro. Non stupisce più di tanto in una filmografia come quella alleniana, gremita di grandi o grandissime pellicole, eppure questa sua commedia del 1986 è ammantata di una grazia, di una dolcezza e di una capacità di coinvolgimento particolarmente evidenti. Merito, forse, della sua peculiare struttura narrativa, ispirata a Woody Allen dalla letteratura russa (Anna Karenina è un'influenza dichiarata) e ribadita fin dal titolo: Hannah e le sue sorelle è un'opera corale, la seconda per Allen dopo Interiors, che ruota attorno a cinque co-protagonisti e a una cerchia di comprimari in un arco temporale scandito da tre feste del Ringraziamento.
E nei due anni che dividono l'incipit dall'epilogo, corredati da saltuari flashback, Allen condivide con noi una parte del percorso di vita di questi personaggi, dipinti con una delicatezza e un'empatia che ce li rendono incredibilmente vividi, mettendone in luce le fragilità, le idiosincrasie e i piccoli egoismi quotidiani. A partire da Mickey, tipico eroe alleniano alla Alvy Singer, interpretato dallo stesso Woody: un autore di sketch televisivi affetto da un'inguaribile ipocondria e dilaniato dai dilemmi sul senso dell'esistenza, tanto da mettere in discussione se stesso e andare alla ricerca di una risposta (impossibile) nella filosofia, nella religione e, in ultima battuta, nel cinema.
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Mariti e mogli (e amanti)
L'ex moglie di Mickey, Hannah, che ha il volto di Mia Farrow, è il baricentro emotivo della famiglia: donna realizzata sul piano professionale (è una stimata attrice di teatro) e privato, Hannah è il fiore all'occhiello dei genitori, Evan e Norma (i veterani Lloyd Nolan e Maureen O'Sullivan, quest'ultima madre della Farrow anche nella realtà), e la più stabile del terzetto di sorelle. Ma in un film sulla natura precaria della felicità, scopriamo fin dalla prima scena che il marito di Hannah, Elliot (un Michael Caine insolitamente goffo), ha perso la testa per la cognata Lee (Barbara Hershey), che tenta di intercettare con improbabili appostamenti e alla quale dedica poesie di E.E. Cummings. Lee, a sua volta, è una giovane donna ancora incerta su di sé e sul proprio futuro, e soffocata dal rapporto con l'austero pittore Frederick (Max von Sydow).
In questa girandola di colpi di fulmine e tradimenti, perfettamente nel solco della tradizione alleniana sul carattere irrazionale e volatile dei sentimenti, a fare più fatica è l'altra sorella, Holly (Dianne Wiest): ex cocainomane e aspirante attrice di scarse speranze, disposta a ripiegare sulla ristorazione insieme alla collega April (Carrie Fisher), dalla quale però è messa in ombra tanto nelle audizioni, quanto nell'attirare le attenzioni maschili. Dianne Wiest, un talento lanciato proprio da Allen nel ruolo che le varrà il suo primo Oscar, è abilissima nel far affiorare le insicurezze, le frustrazioni, ma pure l'ansia di riscatto di Holly, la quale si rivelerà in grado perfino di incrinare le imperturbabili certezze di Hannah.
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Il (non) senso della vita
Rivedere Hannah e le sue sorelle significa dunque immergersi in un'adorabile "commedia umana" in cui l'occhio di Woody Allen non è mai giudicante né moralista, pur costringendo i suoi personaggi a confrontarsi con la moralità delle loro scelte e con i compromessi a cui sono disposti a cedere nell'ottica di un'agognata felicità. Una felicità che, per una volta, forse non è solo mera illusione: Hannah e le sue sorelle è non a caso, al di là della sua lucida ironia, uno dei film più 'ottimisti' di Allen (e pure questo può aver contribuito alla sua enorme fortuna), un'apologia delle opportunità che ci vengono offerte e delle piccole e grandi gioie che talvolta tendiamo a dare per scontate, ma che potrebbero (letteralmente!) salvarci la vita.
E così un appuntamento disastroso, rievocato con la distanza della nostalgia, può essere il preludio a una nuova storia d'amore; da un matrimonio ormai spento può riaccendersi un'inattesa scintilla; e una vecchia commedia dei fratelli Marx può aiutarci a comprendere il nostro posto del mondo meglio di qualunque riflessione teologica. Sarà lo stesso Mickey, sconsolato alter ego di Allen, a rendersene conto nel buio di una sala, di fronte alle immagini de La guerra lampo dei fratelli Marx: "Guarda tutta quella gente là sullo schermo! Senti, sono proprio buffi! E... e se anche fosse vero il peggio? E se Dio non ci fosse e tu campassi una volta sola e amen? Be', non vuoi partecipare all'esperienza? E che diamine, mica è tutta una noia!".
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