Nessuno merita il male. Sembra banale, sembra scontato, sembra retorico. Ma potrebbe anche essere la materia narrativa su cui edificare un film che smette di essere passivo intrattenimento nel momento in cui pizzica le corde emotive. Pizzica e corrode le emozioni, facendoci smaniare sulla poltrona di una sala gremita, sospesa aspettando l'inevitabile e travolgente addio di una saga nella saga. Guardiani della Galassia Vol. 3, che coincide con l'estremo addio di James Gunn alla Marvel, è un film che smuove, che resta addosso. Davvero, alcune sequenze ci tengono svegli la notte: all'inizio, l'enorme mano che esce dal buio, avvolgendo l'ignaro procione, è traumatizzante. Un film che riempie lo spazio tra immaginazione e realtà. Un pugno di personaggi divenute persone, che prendono il giro largo di una vita maledetta, a caccia di pianeti e di stelle, difendendo il buono che c'è. In nome dell'amicizia, dell'amore, dell'imperfezione a tempo di musica pop.
Dopo anni di torpore, di banalizzazione, di superficialità, l'Universo Marvel compie il passo più maturo e probabilmente definitivo, prendendo una chiara posizione: difendere i più deboli. A qualunque costo. Anche suscitando verso il pubblico emozioni che potrebbero essere fraintese, visto il contesto: sdegno, disgusto, paura, dolore. Come vi abbiamo raccontato nella nostra recensione, Guardiani della Galassia Vol. 3 è pervaso dal dramma. Un dramma che c'è, sempre. C'è anche durante i momenti più leggeri, suggeriti dai perfetti tempi comici di Dave Bautista alias Drax, uno di quei personaggi nati per caso ma diventati uno dei motivi per cui siamo ancora qui, a raccontarvi un viaggio che non conosce più confini. Perché, pur mantenendo colorato il tono generale, James Gunn decide con coraggio di mostrare l'essenza più spregevole del male, senza tagliar corto sugli archetipi o le macchiette. Quel male che se la prende con i più deboli; che se la prende con quelle specie definite "inferiori".
Rocket è la rivincita dei più deboli. Animali compresi.
Per questo, oltre essere il film più poetico, adulto e sincero di questo infinito show, Guardiani della Galassia Vol. 3 è una spietata e tragica riflessione sull'abuso che l'uomo perpetua contro gli animali per scopi aberranti. La storia di Rocket, procione che non sa di essere un procione - dimostrando di essere il vero cuore della Marvel - oltre a funzionare da benzina per la sceneggiatura che porta al gran ending, è una disarmante accusa contro i test e la sperimentazione su gli animali. Disarmante e imprevedibile, per certi versi.
È un'accusa contro gli abomini dell'uomo, che incrociano razze per creare altre razze. È un'accusa contro chi gioca a fare Dio - e l'Alto Evoluzionario di Chukwudi Iwuji che vorrebbe "creare la società perfetta" è il villain più maturo e spaventosamente reale che possa esserci -, è un'accusa contro gli allevamenti intensivi, contenitori di paura; è un'accusa contro i test di laboratorio, perpetuati ignorando i limiti e le alternative moderne. Rocket, per James Gunn, è la rivincita dei più deboli, maltrattati e vessati dai più forti.
Guardiani della Galassia vol. 3, Chris Pratt: "Sarà un film incredibile"
Cuore in subbuglio, cieli meravigliosi
Immaginavamo l'alto tasso emotivo del film, tuttavia è stato tragicamente incantevole scoprire che la commozione è scaturita dai dettagli, dalle espressioni, dalle dinamiche umane e dalle emozioni degli animali, che partono da Rocket e, via via, si allungano abbracciando l'intera banda: Peter Quill (Chris Pratt), attanagliato dall'amore per la (sua) Gamora (Zoe Saldana) che non esiste più, ma che alla fine capirà ogni "parola" di Groot (Vin Diesel); la rabbia nobile di Nebula (Karen Gillan); le leggerezza di Mantis (Pom Klementieff), personaggio mai così chiave; l'estro strampalato di Drax, che non ha mai perso l'istinto paterno.
E poi ancora Kraglin (Sean Gunn), erede spirituale di Yondu, in coppia con all'irresistibile Cosmo (voce e motion capture di Maria Bakalova), ovvero la (brava) cagnolina spaziale con i poteri psichici. Uniti e disperati nell'estenuante difesa di quell'amico in fin di vita, da salvare in nome di quelle stelle, in cui potersi perdere nell'esatto istante prima della fine. "In a beautiful world, I wish I was special, You're so fuckin' special. But I'm a creep, I'm a weirdo. What the hell am I doin' here?", canta Thom Yorke nelle cuffie di Rocket, in un inizio che immediatamente ci riappacifica con la Marvel stessa, intanto che James Gunn dichiara le sue intenzioni in un'opera sferzata dalla passione e dal sentimento; sferzato dalla dilaniante consapevolezza di un pupazzo in CGI, reso rivoluzione narrativa capace di artigliare le nostre coscienze.
Come mai prima d'ora, esaltando lo sguardo freak eppure elegante, in una messa in scena pregevole, la digressione sociale di James Gunn diventa la via principale della vicenda, in bilico tra il presente, il futuro e l'oscuro passato di un cucciolo impaurito, sperduto, ferito. Un cucciolo in cerca di una famiglia, avendo condiviso l'orrore con un gruppo di illusi e disgraziati prigionieri (una lontra, un tricheco, un coniglio: piangerete appena li vedrete). Di conseguenza, Guardiani della Galassia Vol. 3, estrapolandolo dal solito concetto legato ai cinecomic, dimostra quanto anche il cinema popolare possa avere una potenza tale da spingerci a riflettere, portandoci in qualche modo a chiedere perdono per i soprusi e gli abusi nei confronti di chi è impossibilitato a difendersi. Da oggi, nella nostra immaginazione, idealmente, ci sarà qualcuno in più a proteggere gli ultimi (di qualsiasi razza, genere o specie), seguendo la scia meravigliosa di un procione scorbutico con il cuore in subbuglio. Volando via "insieme nell'infinito, e nel cielo meraviglioso".