La fine di un'era. È con questa sensazione che ci si è sentiti alla conferenza stampa tenutasi al Teatro Brancaccio di Roma di Gomorra 5, ultima stagione della serie che arriva dal 19 novembre su Sky Atlantic e NOW con due episodi a settimana per cinque settimane. Un'impostazione teatrale che ritorna nell'assetto della serie, come abbiamo visto nella nostra recensione dei primi due episodi di questo atto finale. Grande la presenza di produttori e interpreti, anche qualcuno dalle passate stagioni passato per un ultimo saluto ai giornalisti. Ma entriamo nel dettaglio.
Produrre la serie è stata una scelta coraggiosa
Hanno esordito i produttori, ricordando come sia stato un percorso iniziato prima ancora del 2014 quando debuttò la prima stagione, con la volontà di raccontare il mondo attraverso Napoli. Siamo arrivati a 58 episodi da due pagine presentate a Riccardo Tozzi da Roberto Saviano partendo dal suo romanzo con un giornalista in vespa. Come racconta Antonella D'Errico, Executive Vice President Programming Sky Italia: "Una serialità così complessa non era pensabile prima, ci è voluto un grandissimo coraggio nel farla. Un prodotto nerissimo dai tempi della tragedia greca, per genere e qualità, che sono stati messi in piedi con questa serie. Gomorra - La Serie rappresenta l'archetipo di quello che è la serialità oggi in Italia e il DNA di Sky. Un'altissima qualità produttiva, la ricerca del talento (alcuni degli interpreti non erano così conosciuti quando è iniziata la serie) e l'essere legati fortissimamente alla contemporaneità". La serie chiude all'apice del suo successo, all'estero è la serie che viene citata quando si parla di cult non solo di serialità italiana. Questo inorgoglisce anche Riccardo Tozzi, fondatore e CEO di Cattleya: cosa fa di un produttore un visionario per le due pagine presentate? Come racconta lui: "Una serie è la creazione di un mondo in cui lo spettatore si immerge e decide di rimanere, non bisogna tenere conto delle conseguenze perché altrimenti non si farà mai niente di grande. Ce la siamo inventata facendola questa serialità. Era un processo iniziato già con Romanzo Criminale ma che è potuto sbocciare davvero con Gomorra".
Poi aggiunge sulla scelta del dialetto secondiglianese: "Anche il modo di scrivere i dialoghi cambia con l'impostazione del dialetto, un'altra scelta coraggiosa che facemmo. Girarlo in loco e non in studio ha messo ancora di più al centro la realtà, noi in fondo abbiamo alle spalle il neorealismo, una caratteristica tutta italiana. Nel documentario disponibile su Sky e NOW sono raccontati e spiegati alcuni di questi passaggi". Aggiunge Tozzi: "Ci sono ovviamente delle ragioni imprenditoriali nel far andare avanti uno show ma chiuderlo all'apice del successo è una scelta per non cadere nella stanchezza creativa come capitato con altri prodotti. Meglio morire da vivi. Meglio rinunciare alla produttività in favore di qualcosa di non raccontato. D'altronde su HBO dov'è approdata la serie negli Usa sta avendo un grandissimo successo, anche dopo ZeroZeroZero, e ancora di più il film L'Immortale, dando un valore di posizionamento anche alle altre serie Cattleya, che possono così viaggiare molto di più grazie a Gomorra". La parola passa a Nils Hartmann, Senior Director Original Productions Sky Italia: "C'era anche tutto il discorso dei sottotitoli da realizzare scegliendo il dialetto. C'è un prima e un dopo Gomorra nella serialità italiana: ha creato un sistema che ha dato spazio e fatto crescere tanti talenti e il territorio di Napoli per la produttività". Gli fa eco la produttrice Gina Gardini: "Non c'è giudizio, non c'è pedagogia sui personaggi e sulla storia fin dall'inizio. Perché non volevamo avere compromessi nella storia, non volevamo presentare un mondo consolante e rassicurante, un po' per l'approccio neorealistico, un po' per quello giornalistico che veniva dal romanzo di Saviano, una forte indagine su cui costruire intorno la storia di questa famiglia di Secondigliano. In Gomorra ci sono personaggi mostruosi e belli nella loro mostruosità. Si racconta anche questo nel documentario, le scelte drastiche e coraggiose come non far morire Genny alla fine della prima stagione, sacrificando un altro personaggio (cioè Donna Imma, ndr)".
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La scrittura in dialetto
Dai produttori agli sceneggiatori. Gli head writer Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli si sono dovuti calare nella realtà di Scampia, chiedere in giro le testimonianze e portarle in scrittura e poi sullo schermo. Dice Fasoli: "Partendo dal libro di Saviano c'era l'intensità del narratore che dovevamo prendere come eredità. Un doloroso guardare quel mondo, un mondo terribile. Quello che Roberto faceva scrivendo il libro e girando per Napoli. Ci siamo innamorati di quel territorio terribile e lacerato. È stato come scendere in una zona di guerra". Aggiunge Ravagli: "Si trattava di aderire a un approccio da parte di tutti. Abbiamo preso informazioni anche dalle ordinanze di custodia cautelare che abbiamo utilizzato una volta divenute pubbliche, sempre a favore del realismo. Era il racconto e il dolore di un'anima divisa in due, uno strazio personale, quello di Roberto. Personaggi negativi ma umani come lo siamo noi, una contraddizione difficile da raccontare, sono umani ma non li capisci fino in fondo, lascia l'amaro in bocca alla fine della serie. Ci si augura che si continui a parlare di questo dolore anche dopo che sarà finita, che lasci questa eredità".
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Davanti e dietro la macchina da presa
È il momento del primo degli interpreti, Marco D'Amore, che in questa stagione ricopre anche il ruolo di regista di alcuni episodi e consulente per la scrittura: "Goethe parlando del teatro, dove ci troviamo anche oggi e non è un caso, diceva che avrebbe voluto che il teatro fosse pericoloso come il filo di un funambolo affinché nessuno vi s'arrischiasse. Io mi sono sentito così, continuamente in bilico. La grande fortuna che ho avuto è di non viverlo da solo ma con gli altri interpreti e la troupe. È una necessità così moderna quella di voler rinnovare il linguaggio e di dare spettacolarità a un racconto italiano. È stato tutto difficile in questa serie. Io sono scappato dalla mia terra a diciott'anni e questa serie mi ha aiutato a capirla meglio".
Dopo la terza stagione D'Amore ha esordito come regista nella quarta, dopo un caffè durato tre ore in cui era molto dubbioso se buttarsi anche se oramai conosceva bene la materia. Durante la lavorazione de L'Immortale fu Riccardo Tozzi a scegliere di metterlo alla regia: "Quasi otto mesi di riprese in cui questi signori che mi stanno vicino (gli attori, ndr) hanno saputo tenere una distanza quando si trattava del me regista". Tocca a Roberto Saviano, dal cui romanzo è partito tutto (prima il film di Garrone, poi la serie Sky) visibilmente emozionato, tornato sempre sotto scorta per l'occasione: "È davvero difficile sintetizzare questo percorso, volevo raccontare non in poco tempo, permettendo spazio e profondità, allo spettatore il più complesso dei poteri, quello della Camorra, schiacciato spesso da una sintesi superficiale dalla cronaca. La serialità nasce con questo obiettivo in fondo, avere più tempo e spazio per esplorare delle storie e dei personaggi. Gomorra è il racconto della famiglia, del potere e della sua rappresentatività, della violenza. Il sottotesto continuo di ogni singolo personaggio non è però solo il Male: se ci fosse solo ombra, non si potrebbe vedere la luce proprio grazie alla crudeltà. Varie band straniere, tra cui una corso-angelina e una messicana, citano Gomorra continuamente nei loro testi e hanno addirittura girato un videoclip musicale a Scampia pur non essendo l'argomento del brano, questo dimostra che Gomorra è andata oltre. Rappresenta la periferia di tutte le metropoli: Wagner Moura, che interpreta Pablo Escobar della serie Narcos ha dichiarato di guardare Gomorra e di riconoscere la sua periferia. All'epoca non volevamo dare nessuna tregua, nessuna facilità di arrivare al pubblico, compresa la scelta del dialetto. O freghi o sei fregato, non c'è una terza strada. Sta tutta qui la qualità della complessità alla serialità".
Da un'idea di Roberto Saviano
Continua poi Saviano: "Non avere un eroe positivo nello show è stato determinante. È diventato un canone all'estero e viene visto come "la serialità italiana" oggi e questo ci può rendere solo orgogliosi. I personaggi sono già sconfitti all'inizio e lo sanno ed è anche questo che li rende tali. Gli interpreti si sono dovuti trasformare in qualcuno che non ce la farà: tutti sanno che moriranno, chiedendosi solo come e quando accadrà, e devono riuscire a fare qualcosa nel frattempo. Non si chiede allo spettatore di giudicare ma di ascoltare. Si tratta di non dare allo spettatore un cibo già masticato come capita con altre serie". La parola passa a Claudio Cupellini, l'altro regista degli episodi di questo atto finale di Gomorra - La Serie: "Credo non sia quantificabile quanto mi ha dato Gomorra e nemmeno quello che ho vissuto come esperienza nello stare a Napoli per cinque stagioni. All'inizio sono entrato in punta di piedi sia a Scampia sia nel mondo della serialità, che non mi apparteneva. Sono entrato a lavoro già impostato, una materia bollente da maneggiare, difficile e complicata. Kubrick diceva che qualunque opera romanzo, film o altro che sia ha un senso se ne esci fuori euforico e non depresso. Ed è come mi sono sentito io, vivendo la stessa angoscia di chi invece doveva restare lì, in quella terra, mentre io avevo la fortuna di potermene affrancare".
Genny e Azzurra
Salvatore Esposito, il personaggio più rappresentativo di Gomorra con cui ha avuto una sorta di osmosi, che sarebbe dovuto morire alla fine della prima stagione ma così non è stato per fortuna data l'evoluzione enorme che ha avuto, prende la parola: "Gli effetti di Gomorra su di noi? (citando la parodia dei The Jackal, ndr) In aneddoti quotidiani, ad esempio quando ho incontrato il mio mito Maradona che mi ha detto 'è un onore per me conoscerti', è stato surreale gli ho chiesto se stesse scherzando. La serie m i ha fatto crescere come uomo e come artista, mi ha permesso di incontrare dei grandi professionisti e persone davanti e dietro le quinte. La vedo come la fine di una relazione, prima ti dai alla pazza gioia ma poi ti guardi indietro con nostalgia, malinconia, tristezza e la consapevolezza di aver dato più del tuo massimo a quella relazione".
Gli fa eco Ivana Lotito, la non napoletana del cast, pugliese di origine: "Gomorra è un esperienza assoluta e totalizzante, inevitabilmente il personale e il professionale si intrecciano e ognuno di noi ha speso ogni risorsa che aveva col corpo e con la propria esperienza personale, conoscevo già il successo dello show quando sono arrivata ed ero terrorizzata di entrare dopo, ma mi sentivo anche fortunata. Mi sono affidata a compagni di scena grandiosi e a registi di talento che si sono spesi con grande cura e amore, nessuno mi conosce come loro grazie anche al lungo tempo passato insieme. Gli attori sono creature complesse e delicate e questi registi mi hanno saputo vedere molto meglio di come mi veda io. Ho compreso molti aspetti sul personaggio di Azzurra, rinunciando all'idea che la fragilità sia una debolezza. È stato un viaggio introspettivo. Non mi sono mai sentita sola. Per l'atto finale posso dire che Azzurra vivrà un'asfissia doppia, la guerra della macrostoria e quella interiore, sarà sempre vista come 'la moglie di' quasi una condanna e allo stesso tempo non riuscirà a rinunciare all'amore per Genny. In fondo ti scegli qualcuno che ti somiglia e in questi ultimi episodi c'è sempre la sensazione che possa essere l'ultima volta, perché lo è per davvero fuori e dentro il set". L'ultimo a parlare è Arturo Muselli, ricordando quanto fosse emozionato alla sua prima conferenza stampa di Gomorra (quella della terza stagione) finendo per parlare del Trono di Spade per paura di fare spoiler sulla serie Sky: "In quest'ultima stagione troviamo Enzo anestetizzato, in un religioso silenzio, è un personaggio che ha fortemente bisogno di credere in qualcosa, ha dei valori che lo guidano e lo costringono all'azione, vive in contrapposizione tra passato e futuro, legato a un sentire del passato ma con la violenza del futuro. Ritornerà all'azione o morirà? Questo il suo dubbio amletico".
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Il rapporto fra Genny e Ciro
D'Amore e Esposito hanno ricordato come non si conoscessero prima di questa serie e lo stesso Stefano Sollima (che aveva supervisionato e diretto le prime due stagioni) fosse rimasto impressionato dalla loro chimica, un'attrazione sentimentale e fisica: "Essere amici nella nostra terra va oltre la frequentazione, va nella carne, come dice Genny a Ciro nel secondo episodio della quinta stagione 'Un amico è meglio di fidanzata'". A quel punto Saviano aggiunge un aneddoto bibliografico: "Non so se amicizia sia il termine esatto, parlano vicini e sembrano sempre baciarsi. È un segno di sfida ma anche di intimità. Quando scrissi il romanzo parlai tra gli altri con i boss Giuseppe Misso e Luigi Giuliano, amici d'infanzia che diventarono poi capi della Camorra e si ammazzarono a vicenda parenti e amici che mi dissero 'Noi non ci vogliamo bene, noi ci amiamo, non possiamo stare mezz'ora l'uno senza l'altro'". Insomma la fine di una storia d'amore questo atto finale di Gomorra - La Serie per Esposito, visto come Genny reagisce quando scopre che Ciro è vivo e le cose che si dicono in preda all'ira "tu non sei stato mai all'altezza di stare al mio fianco": "In quest'ultima stagione sono più sulle cose che non si diranno rispetto a ciò che faranno. Posso dire che Gomorra 5 farà vincere l'amore". Il serial ha una dimensione epica in tutte le sue sfaccettature, una teatralità di fondo, tutto è rito, tutto è maschera, non sarà che questo Gomorra è il contraltare della commedia dell'arte? Ciro è un Arlecchino nero. Ribatte D'Amore: "Non ho mai creduto tanto alla storia del neorealismo per la serie, piuttosto la messa in scena è tutta maschere, l'apice di questo ragionamento è che noi non siamo Marco e Genny anche fuori da queste mura, e non ce ne vergogniamo".
Emulazione
La polemica sull'emulazione causata della serie oramai lascia il tempo che trova. È un termine oramai abusato, "e anzi parliamo piuttosto dell'emulazione del tipo di serialità qualitativa". Lo Stato viene presentato ma dal punto di vista della Camorra e non viceversa, fin dalla prima stagione, i 'buoni' ci sono ma c'è anche l'assenza della scuola e del lavoro nonostante l'enorme sforzo della magistratura che è una vittima della criminalità ed è un'interferenza per quest'ultima. "In fondo tutti guardano Don Matteo ma nessuno si è mai fatto prete per questo" chiosa Saviano, proseguendo: "Il mondo si è accorto di quella dinamica perché l'ha vista rappresentata. È già in quel mondo lì e ci si sta specchiando. Salvatore Conte lo abbiamo rappresentato quasi come un guru confuciano, con la voce che ricorda Brando del Padrino, perché è così che i boss costruiscono il mito di se stessi, la serie mostra proprio questo processo di mitizzazione ma l'arte non deve essere pedagogica. In un'eventuale edizione aggiornata del romanzo non saprei se e cosa aggiungere: il capitalismo criminale, l'aristocrazia che nasce in strada sono frutto di una dialettica creativa. In questo momento c'è un ennesima faida di Camorra a Napoli. Queste dinamiche sono continue e se ci fosse un mezzo d'informazione giornaliero che parla di questo, pensereste di vivere dentro una guerra mentre se è solo nella cronaca nera o locale si pensa che sia un problema lontano. Forse Scampia è cambiata anche grazie alla serie che ha illuminato la via. Ma è ancora lungo il lavoro da fare". Chiude Esposito: "Dopo la serie ci sono molte più produzioni all'attivo a Napoli, di cui alcune internazionali. Sono anni che è la città con il maggior numero di turismo negli ultimi anni. Un'azienda che produceva giacche di pelle è stata salvata grazie al coinvolgimento nello show. Molti giovani hanno voluto studiare recitazione (piuttosto che emulare altro). Dal mio sarò sempre grato a chi mi ha dato il ruolo di Genny, e nonostante abbia già avuto modo di dimostrare di saper fare altro, se alla fine non ci riuscirò, resterò Genny Savastano per sempre, così sia".