La Casa Bianca non è mai stata così grigia e sporca. L'innevato castello di Grande Inverno è macchiato di un intenso rosso sangue indelebile. Da una parte un impietoso ritratto della politica moderna, famelica e letale, dall'altra un affresco delle spietate corti medievali, piegate da vili sotterfugi.
No, non abbiamo smarrito mappe, orologi e bussole, perché nonostante le coordinate spazio-temporali de Il trono di spade e di House of Cards siano quasi agli antipodi, entrambe le serie si soffermano con dovizia di particolari e buona dose di cinismo sul tema del potere.
Fine e mezzo per controllare gli altri, strumento per affermare se stessi in un mondo complesso e difficile da tenere a bada, nelle due serie il Potere assume connotati simili. È bramato con disperazione quando è un lontano miraggio, è usato senza alcuna pietà quando è nelle mani di chi siede su troni o dietro scrivanie. Tra riunioni dentro stanze ovali e concili ristretti, tra appartamenti lussuosi e solide mura di granito, i due show sembrano porsi all'inizio e alla fine di un lungo segmento, una linea dove il potere cambia forme e volti, ma resiste al passare del tempo come obiettivo di ogni società, per imporsi come forza imperitura e imbattibile (il Presidente Underwood lo definirà come "la vecchia casa in pietra che resiste ai secoli").
Che sia un losco accordo del vorace Frank o uno dei tipici piani diabolici di Casa Lannister, questa sete di dominio si impone come qualcosa di autoreferenziale, perché sentirsi potenti non significa per forza diventare ricchi, essere stimati dalla gente, ma sentirsi capaci di tutto. Insomma, il Potere è il potere. Così, tutti i personaggi sfacciatamente onnipotenti di House of Cards e de Il Trono di Spade si dilettano a dipingere un grande quadro del mondo occidentale, una tela impregnata di violenza e pragmatismo machiavellico, restituendoci una realtà dove le brave persone sono bandite dalle stanze del potere, esclusiva di individui deprecabili.
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"Al gioco dei troni o si vince o si muore" dice una ferina Cersei al povero, leale Ned Stark; una frase che sembra aver viaggiato nel tempo, per poi arrivare sulla lingua avvelenata di Francis, pronto a ribadire che "esiste una sola regola: o cacci o vieni cacciato". Siamo quindi pronti a trovare più di una similitudine tra queste due serie, lontane nei generi e nel tempo, ma affini nel ribadire una fascinazione costante per i meccanismi del potere. Ed è così che il celebre motto di Casa Stark, "l'inverno sta arrivando", suona un po' come la minaccia di elezioni presidenziali imminenti.
1. Ammaliare con le parole
Non a caso basate su fitte e complesse pagine letterarie, Il Trono di Spade e House of Cards fanno della parola l'arma fondamentale dei loro aguzzini. Al di là di una serie di azioni deplorevoli (omicidi, tradimenti, vendette), in entrambe troviamo una passione viscerale per dialoghi decisivi, dove promesse e raggiri riescono ad essere efficaci almeno quanto lame e rotaie di una metro. Tra le caratteristiche più apprezzate del pubblico c'è proprio questa predilezione per lunghe e affilate chiacchierate tra personaggi che si pungolano a vicenda, stuzzicano, offendono con fare subdolo e minacciano grazie a frasi misurate e taglienti. Se Frank Underwood cerca di ammaliarci guardandoci e parlandoci negli occhi, abbattendo a suon di monologhi cinici la quarta parete, Il Trono di Spade ha senza dubbio in Tyrion Lannister il più abile "spadaccino linguistico" di tutta Westeros.
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Il suo acume, la sua spiccata intelligenza autironica e la battuta pronta ne fanno un prezioso consigliere (Daenerys se ne è accorta presto) e una persona capace di mettersi al pari (se non al di sopra) di tutti gli altri, annullando di fatto il suo handicap fisico. Dunque, che si parli di regnanti o senatori, per George R.R. Martin e Michael Dobbs la "trama" non è intesa solo come "storia" ma anche come un lungo filo di incontri segreti, telefonate e colloqui; tutto parte di una fitta tela di eventi. Per conferma, rivolgersi al Ragno Varys ad Approdo del Re.
Mio fratello ha l'armatura e io ho la mia mente, e la mente dipende dai libri quanto la spada dall'affilatura.
2. Non è un Paese per buoni
Chi abita i piani alti della società? Chi si muove nelle luccicanti stanze del potere? Soltanto i più spietati, uomini e donne disposti a tutto pur di raggiungere gli scopi più infimi. Come animali mossi da istinti primordiali (e i casati di Westeros sono lì a confermarlo), la maggior parte dei personaggi dei due show mette in scena individui totalmente privi di moralità. La loro condotta fa della politica una compiaciuta attività illecita, segnata da azioni orrende e contrarie ad ogni buona etica. Quelli che riescono a vivere in questo ecosistema inquinato da gloria sono quindi esseri altrettanto sporchi e spietati. La geografia di House Of Cards e de Il Trono di Spade è quindi abitata soprattutto da brutte persone, perché per i buoni, i leali e i giusti non c'è spazio e soprattutto non c'è fortuna.
Pensiamo al triste destino di Casa Stark, guidata dall'esempio del prode Ned, uomo d'onore, riluttante all'idea di diventare Primo Cavaliere, ma piegato soltanto dal suo grande senso del dovere. Come lui, anche i suoi figli di buon cuore, legittimi o bastardi, sono stati schiacciati dal tradimento altrui. E come non pensare a Daenerys, riuscita a sottrarsi alle grinfie di suo fratello e arrivata a scalare le gerarchie, scottandosi col fardello stesso del potere, incontrando tutte le difficoltà che comporta l'essere leader. Lo stesso vale per Washington e dintorni dove i coniugi Underwood padroneggiano e i bravi cronisti soccombono, le ragazze in difficoltà vengono uccise (Rachel), così come chi vuole tentare di rialzarsi (Peter Russo). No, questi non erano e non sono Paesi per buoni.
3. Affari di famiglia
Le due serie hanno il grande merito di non rinchiudersi tra le mura della politica, ma abbracciano con ampio respiro anche il contesto sociale in cui il potere detta le sue "leggi". Il Trono di Spade e House of Cards adottano uno sguardo trasversale, quasi verticale, perché si intrufola anche nei bassifondi della realtà, mischiando autorità altolocate ad individui costretti ai margini. E mentre Frank Underwood si lecca le dita gustando costolette di maiale nello squallido locale di Freddy, Ditocorto gestisce bordelli e Cersei subisce umiliazioni pubbliche tra le stradine di Approdo del Re, scopriamo un altro elemento comune fondamentale, ovvero l'esaltazione della famiglia come porto sicuro dentro cui erigere i propri imperi.
Il contesto famigliare non è un luogo dove scambiarsi sincero affetto e costruire relazioni sane (eccezion fatta per i soliti Stark), ma un marchio di fabbrica, quasi una società di cui vanno salvaguardate le azioni, un brand da vendere al mondo, dotato persino di opportuno "slogan" con i motti di Westeros. Le serie ci conducono così sul palcoscenico del potere, ma soprattutto dietro le quinte, per carpirne i principi e i meccanismi più intimi. E anche se si comportano "da Lannister", per Frank e Claire vale senza dubbio la massima del Nord di Westeros: "Gli Underwood non dimenticano".
Amo quella donna come uno squalo ama il sangue
4. Metafora ludica
Finora l'abbiamo chiamata Il Trono di Spade, ma adesso è giunto il momento di restituire all'epica serie fantasy il suo nome originale, senza dubbio più significativo. Game of Thrones rispecchia alla perfezione gli intenti e i meccanismi narrativi rappresentati da David Benioff e D.B. Weiss, ovvero un enorme tabellone di gioco modulare (quello che amiamo vedere e rivedere nella sigla) dove le cose cambiano di continuo e le regole vengono continuamente violate e riscritte. Un enorme gioco di società di cui anche gli stessi personaggi sono consapevoli (Cersei e Varys soprattutto), rimarcato di continuo attraverso alleanze, travestimenti, scontri, tutte dinamiche proprie di molti giochi. La metafora ludica viene ripresa sin dal titolo anche dalla serie di Beau Willimon, con quel castello di carte pronto a crollare sotto l'ira furibonda di Underwood, tradito, scartato e pronto a gridare vendetta. Da allora sarà una partita a poker (spesso a due, anche tra marito e moglie), fatto di re crudeli e regine stufe, assi nella manica e fedeli jolly pronti a tutto (Doug) pur di vincere ogni singola mano, ogni maledetta partita.
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5. Giocatori e pedine
A confermare la vocazione ludica delle serie, c'è un ultimo elemento di contatto che si specchia nel tipo di rapporti umani instaurati tra i personaggi. Chi detiene il potere spesso agisce da grande burattinaio, abusando della marionetta di turno, spostandola come una pedina all'interno di un'enorme scacchiera. Questo sbilanciamento di potenzialità tra chi impone e chi subisce, chi sposta e chi viene mosso, non fa che sottolineare come gli equilibri delle serie trovino nel potere il definitivo ago della bilancia.
E allora ecco politici che stringono accordi con giornaliste e scrittori, fratelli che usano sorelle come merce di scambio, matrimoni combinati e ricatti tra partiti; tutte situazioni dove quasi sempre chi riesce a sfiorare anche solo per un attimo una posizione di comodo vantaggio, finisce per abusarne. Una logica che sposiamo anche noi spettatori, incuriositi dalle sorti di questi potenti spaventosi ai quali non sappiamo dire mai di no, mai odiati davvero sino in fondo perché troppo intriganti nella loro complessa dimensione psicologica. Insomma, siamo tutti vittime di un gioco vizioso dove ogni "puntata" vale come una scommessa a cui partecipare di stagione in stagione.
Il potere risiede dove un uomo crede che risieda. È un trucco, un'ombra sul muro. Ma le ombre possono uccidere. E, certe volte, un uomo molto piccolo può proiettare un'ombra molto grossa