Il Vesuvio. Potenza distruttrice e dispensatore di fertilità. Divinità pagana terribile e benefica, spietata e generosa. Temuto e ricercato, il vulcano è divenuto nei secoli simbolo della città di Napoli e troneggia sullo sfondo di ogni quadro, cartolina, foto turistica. Pur avendo fornito saggio della sua pericolosità in più occasioni, le sue pendici sono la zona a densità abitativa più alta d'europa. Questa apparente contraddizione ben simboleggia i violenti contrasti che caratterizzano una delle città più celebri al mondo. Gianfranco Pannone, che a Napoli ci è nato, ha deciso di colmare una grave mancanza dedicando un lungometraggio proprio al Vesuvio.
"Tre anni fa mi sono accorto che non c'era un film sul Vesuvio e invece c'è tanto di quel materiale che se ne potrebbe fare una serie tv. Così ho realizzato Sul vulcano, un film che racconta il rapporto tra l'uomo e la natura, nello specifico tra gli abitanti di Napoli e il loro vulcano". Sul vulcano è un film estremamente elegante, lontano da tutte le produzioni dedicate a una delle città più celebri e complesse. Un documentario che rinuncia a utilizzare le immagini più iconiche della città partenopea per trovare un taglio diverso, originale e per certi versi inaspettato.
"Napoli è sempre stata rappresentata attraverso i suoi stereotipi" spiega Pannone. "Il mio film è alieno e renitente ad accettare l'idea del luogo comune nella rappresentazione di Napoli e va alla ricerca di un luogo che è anche spirituale. Intorno a Napoli c'è un modo di pensare la città ai limiti del razzismo. Da Napoli ci si aspetta certe cose, Gomorra, la cartolina piena di sole, la commedia e siccome tutto questo nel mio film non c'è, temo che alcuni storceranno il naso".
L'ombra del vulcano
Per raccontare il Vesuvio e il suo impatto sulla popolazione, Pannone ha selezionato alcuni personaggi scegliendo di seguirne le esistenze per approfondire la loro relazione con la propria terra. Nella sua ricerca, il regista aveva in mente con precisione il tipo di persone che gli interessava riprendere. "Volevo persone che non corrispondessero allo stereotipo del napoletano caotico e vivace, che gesticola e alza la voce. Se si fa un casting a Napoli, i partenopei si rappresentano, creano l'effetto reality. Io avevo bisogno di persone vere, di facce significative capaci di esprimersi anche attraverso i silenzi. I napoletani, in realtà, sono molto malinconici e pensosi, credo proprio a causa del Vesuvio. I miei personaggi, che io chiamo testimoni perché raccontano la realtà, sono fortemente legati al territorio in cui vivono. Io li considero custodi involontari di un territorio martoriato, perciò ho cercato una certa compostezza morale, che rappresentasse un lato diverso di Napoli".
Un'altra dimensione presente nel film, imprescindibile quando si parla di Napoli è quella religiosa. Pannone prosegue: "I napoletani sentono la necessità di avvicinarsi a Dio, anche attraverso riti pagani. Vivono la religione in modo folcloristico, ma sono molto devoti e provano un grande rispetto per i riti. Considerano lo stesso Vesuvio una divinità sia femminile che maschile. Nella letteratura il vulcano è maschio, ma per i contadini che vivono nei paraggi è femmina, è una potenza generatrice, la chiamano _a muntagna"_.
La memoria della distruzione
Tra i numerosi testimoni fotografati poeticamente nel loro rapporto con il Vesuvio, Gianfranco Pannone ne identifica tre su cui si concentra in special modo, la florovivaista Maria, Matteo, pittore che dipinge quadri con la lava, e Yole, cantante neomelodica che proviene da uno dei quartieri più difficili, ma ha scelto di sfuggire a un'esistenza nell'orbita della criminalità scegliendo la musica. Le immagini che fotografano i loro tre microcosmi sono intervallate da un ricco materiale di repertorio che mostra il vulcano in eruzione mentre in sottofondo Iaia Forte, Fabrizio Gifuni, Toni Servillo, Donatella Finocchiaro e Leo Gullotta leggono brani di opere letterarie dedicate al Vesuvio.
Spiegando il suo approccio a questi materiali, Pannone spiega: "Napoli è stata fatta da altri popoli, arabi, angioini, dall'esercito americano. Ho usato le immagini girate dai militari nel '44 perché all'epoca noi non eravamo in grado di girare qualcosa. Le invasioni hanno reso questo popolo fatalista e nel mio film, come nella realtà, storia e geologia si intrecciano. Ho usato materiale non montato, mantenendo anche la sporcizia tra un'immagine e l'altra proprio perché volevo lavorare sul contrario di quanto accade di solito. Nei documentari spesso il repertorio è più ordinato del girato, realizzato con macchina a mano e più sporco. Il mio obiettivo era evocare le numerose eruzioni che hanno causato terribili danni. Recuperare una memoria che non c'è". Altro ingrediente fondamentale della pellicola sono le musiche appartenenti in parte alla tradizione del Barocco napoletano e in parte composte da Daniele Sepe. "Con Daniele ci conosciamo da tanti anni. Lui non fa musiche per i film, è un artista poliedrico, ma anche un po' bizzoso. Quando ho deciso di accostare le sue musiche al barocco napoletano suonato dal Giardino Armonico, gruppo italiano che fa musica da camera, non era troppo felice. L'ho dovuto convincere, ma alla fine antico e moderno si sono amalgamati alla perfezione".
Il documentario: un atto politico
Un approccio poetico, inedito nella produzione di Pannone, rappresenta un tentativo di rottura con il passato, ma forse non del tutto. "Sul vulcano è un film di passaggio. Ho abbandonato la fase storico-politica per concentrarmi su quella poetico-evocativa, anche se questo film è un atto politico. E' un viaggio in un paradiso perduto in cui i personaggi camminano sulle macerie di un passato meraviglioso. Volevo che i drammi di Napoli passassero in filigrana, volevo spostare la riflessione su un piano evocativo, personale, ma i problemi sono reali. La situazione è a rischio perché i governi non si sono mai occupati della questione Vesuvio. Se accadesse una sciagura oggi, non ci sarebbe neppure un vero e proprio piano di evacuazione. La speculazione edilizia è dilagata e i napoletani non sono in grado di gestire una situazione a cui non sono abituati. La gente ha paura del vulcano, ma ci va a vivere".
La scelta stessa di realizzare documentari, per un autore come Gianfranco Pannone, è politica. Riguardo al boom vissuto dal genere che ha visto, in pochi mesi, due film non fiction vincere i Festival di Venezia e Roma, l'autore commenta: "L'industria non ama questo fenomeno quindi temo che finirà presto. La produzione italiana documentaria sta vivendo una stagione eccezionale, ma è un fenomeno unico in Europa. Oggi c'è il desiderio di conoscere la realtà, i nostri film escono nelle sale (Sul vulcano sarà distribuito da Cinecittà Luce a inizio ottobre) e la nostra generazione di autori ha avuto il merito di aprire la strada. Però i produttori non sono felici, il documentario deve starsene buono in una nicchia. Peccato perché la nostra grande libertà potrebbe aiutare il cinema italiano".