Vi siete mai chiesti perché tutti personaggi dei film di Gabriele Muccino si chiamano Ristuccia? Incontri come quello che è avvenuto ieri al Cinevillage Talenti, progetto di Cinema, Cultura ed Intrattenimento organizzato da ANEC-AGIS, al Parco Talenti, a Roma, servono anche a questo, a rispondere a domande che ci siamo sempre fatti, e a svelare qualche gustoso aneddoto. Gabriele Muccino è arrivato, con un entusiasmo coinvolgente, a presentare il suo ultimo film, Gli anni più belli. "Quando feci il primo film, dovendo dare dei cognomi ai personaggi, diedi i cognomi dei miei compagni di liceo" ci ha svelato Muccino. "Uno era Ristuccia e l'altro Incoronato. Da lì, un po' perché non volevo confondere il Fato, ho cominciato a chiamare ogni protagonista dei miei film Ristuccia. Addirittura, in uno dei film con Will Smith, ho scritto una scena in cui, rispondendo al telefono, un personaggio diceva: 'Hello, Ristuccia?' Il primo Pietro Ristuccia è Claudio Santamaria in Ecco fatto, Matteo Incoronato era Giorgio Pasotti in quel film. E quei nomi sono tornati sempre".
Si sentivano le cicale, prima della proiezione de Gli anni più belli al Cinevillage Talenti, si sentiva "l'estate addosso", per citare un titolo di Gabriele Muccino. Ma si sentiva, tra il pubblico, e nello stesso Muccino e nei giovani attori che lo hanno accompagnato, una grande voglia di cinema. L'arena, al netto delle limitazioni dei posti per il distanziamento sociale, era "gremita", nel senso che era sold out. E la voglia di cinema è qualcosa che caratterizza da sempre Muccino e il suo modo di vivere la Settima Arte. "Ogni film lo faccio con uno spirito particolare, come se fosse il mio ultimo film" ha rivelato il regista. "Ricordo che dissi questa cosa a Fabrizio Bentivoglio sul set di Ricordati di me: ogni film lo faccio con l'idea che sia l'ultimo, cerco di metterci dentro tutto quello che posso, in modo che sia il massimo che possa aver fatto come regista. Quell'attitudine non è cambiata, anche se mi sono abituato a fare questo mestiere, l'ho conosciuto, l'ho vissuto a latitudini diverse e in culture diverse. Ma ogni film è un miracolo, perché, anche se sulla pagina è ben scritto, può diventare un brutto film, se gli attori non sono scelti bene, se non trovano la chimica sul set, se accadono cose imponderabili, se sul set piove per un mese. Allora il film avrà un destino diverso da quello che volevi. Fare un film è sempre il compimento di un viaggio, quasi omerico, che a un certo punto ti porta a tornare a casa con il film finito, che consegni al pubblico". A margine dell'incontro con il pubblico, Movieplayer ha scambiato qualche battuta con Gabriele Muccino. Cinevillage è organizzato da AGIS Lazio Srl, in collaborazione con ANEC Lazio, e patrocinato da Confcommercio, il Municipio Roma III, in collaborazione con CONI Lazio e con il supporto di CNB Comunicazione e Impreme Spa.
Gli anni più belli, le famiglie e l'amore
Con gli anni più belli è riuscito a omaggiare il cinema che l'ha formata, ma anche, a suo modo, a realizzare un classico. Era questo il suo obiettivo dopo che, a fine anni Novanta, aveva scelto di rompere con il cinema italiano di allora?
Il classicismo è sempre attuale. Lo vedo come una riflessione ulteriore sul cinema, che continua a mutare. Ogni film ha la sua storia, e la storia si porta dietro anche il suo linguaggio. Il linguaggio cambia a seconda dei personaggi, a volte sono nevrotici, a volte non lo sono...
In molti suoi film si vedono delle famiglie allargate, che spesso sono famiglie spezzate e altre che nascono. È sempre stato pessimista sull'amore, e la famiglia. Lo è ancora oggi?
Non è pessimismo... basta vedere come è andato a finire Romeo e Giulietta...l'amore è foriero di tormento, di difficoltà, di conflitti, di un destino che può essere anche avverso. L'amore è la cosa meno plasmabile, meno controllabile in assoluto.
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A casa tutti bene, la nuova serie per Sky
A proposito, si è parlato di tanti conflitti possibili nelle convivenze forzate di questo lockdown. E ha pensato subito di farsi raccontare le storie per farne un film. Perché si è fermato?
Perché quello che mi sembrava un film interessante concettualmente nei primi 15-20 giorni di lockdown, è diventato poi un film troppo triste e senza un finale. Ora preferisco fare un'altra cosa e dimenticarmi, come vogliamo fare tutti, di questo periodo claustrofobico e spaesante, faticoso per l'anima.
Girerà invece una serie per Sky, A casa tutti bene. Come sarà e cosa cambierà rispetto al film?
I personaggi saranno gli stessi: il loro DNA, la loro struttura sarà la stessa, e si porteranno dietro delle storie e dei percorsi che, intrecciandosi, andranno a creare la drammaturgia necessaria per sorreggere gli otto episodi della serie.
Ricordati di me, quel film profetico
Il suo cinema ci trasmette il mood di una generazione in perenne ansia da prestazione, in perenne attacco di panico. È così?
Molte cose le ho comprese facendole... Quando ne L'ultimo bacio usai il telefonino come device per la scoperta del tradimento e del conflitto - il tradimento di Stefano Accorsi veniva scoperto tramite un telefonino - ricordo che mi erano state fatte molte critiche. Mi dicevano "tutti questi telefonini dove li hai tirati fuori?". Basta guardarsi intorno: non sai mai dove andrà il mondo. Ma se sei attento, se sei una "spugna" che assorbe quello che c'è intorno, racconti la vita che osservi.
Ricordati di me, più di 15 anni fa, è stato incredibilmente profetico rispetto a quello che oggi accade con i social network; raccontava l'ansia di apparire...
Il concetto del film era proprio l'ansia di apparire prima che di essere. Il film racconta quello. Certo, non c'erano ancora gli smartphone e non potevo immaginare che il mondo si sarebbe catapultato in quella direzione, ma quel concetto è così terribilmente attuale. Ma il film non è profetico solo in quel senso: si parlava anche dello sfruttamento della donna in televisione, e che poi è sfociato qualche anno dopo nelle storie del Bunga Bunga...
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Ai tempi di Ricordati di me aveva fatto parlare di Neo-neorealismo (la definizione è di Roberto Nepoti). Si ritrova in questa definizione?
Ogni termine è abbastanza riduttivo. Non so neanche io quello che faccio, diciamocelo. Faccio quello che mi viene istintivo, che il mio subconscio mi dice che è giusto fare. Ma non lo so perché lo faccio. Penso sia giusto farlo, lo faccio. E ho anche la fortuna di farlo, perché qualcuno me lo fa ancora fare. Non so definirmi, né vedermi da fuori. Non ho mai visto nessuno dei miei film con gli occhi di uno spettatore. Un film lo fai, lo pensi, lo scrivi, lo giri, lo monti, lo smonti, lo rimonti. Non l'avrai mai visto come qualunque spettatore. Non so parlare di quello che faccio, perché non l'ho mai visto come l'avete visto voi.
A casa tutti bene, Muccino: "La famiglia? Il big bang delle relazioni umane"