Dicesi spoof movies (o film parodistici) quel genere specifico che prende in giro altre pellicole, altri generi cinematografici o altri prodotti culturali. Si tratta di un tipo di cinema molto difficile da contestualizzare e che si può collocare per lo più in due momenti della storia della Settima Arte: uno da inserire all'interno della cornice di appropriazione e riscrizione tipica del cinema statunintense, e un altro, più vicino, legata all'affermazione del postmodernismo.
Se è vero che il cinema parodistico è a tutti gli effetti un figlio minore, allora è anche vero che il suo successo è legato al nome di un gigante come Mel Brooks, che, seppur con una carriera per tanti versi ondivaga, ha ridato lustro e rigore linguistico a questo genere, firmando delle pellicole che oltre ad essere divenute dei cult, sono anche dei veri e propri trattati. Uno su tutti è la sua quarta fatica, Frankenstein Junior.
A 50 anni dalla sua uscita al cinema, la pellicola costituisce ancora il picco più alto della filmografia del cineasta di New York, iniziata proprio con un titolo che prendeva la tradizione per creare il nuovo, e l'esempio più alto di come la lente demenziale può essere, tra tutte, quella in grado non solo di sfornare una delle letture più iconiche di un classico senza tempo, ma anche l'ideale per fare tutto in modo molto serio.
Mel Brooks e il nuovo cinema demenziale
Mel Brooks ha vinto un Premio Oscar, e l'ha vinto nel 1969 per la sceneggiatura del suo debutto, una pellicola che ebbe una vita lunghissima nella sua versione musical a Broadway e che non apparteneva ancora al filo parodistico. Il suo titolo era Per favore, non toccate le vecchiette! e segno anche l'inizio del sodalizio tra il cineasta e il compianto Gene Wilder.
All'interno di quel film c'erano già tutti i prodromi del successo raccolto dagli spoof movies di Brooks. Il linguaggio parodistico del regista nasce dalla reinvenzione dei canoni della commedia ebraica dei primi anni del Novecento e creare qualcosa di nuovo, in cui era lecito citare, rubare e appoggiarsi ad altro solo per un richiamo strumentale. Nel film, non a caso, vengono citate almeno due famose pellicole di Chaplin.
L'origine del cinema parodistico sta quindi nella scrittura, ovvero nel lavoro che un testo fa su un altro, non per forza per prenderlo in giro, ma per valorizzarlo secondo un punto di vista differente, inedito, valido e dignitoso. Un cinema in grado di sfornare pellicole che possono vincere la prova del tempo, entrando nell'immaginario collettivo per battute sagaci o per frasi celebri e anche per loro la capacità di cogliere qualcosa, un canale, se vogliamo, in grado di parlare allo spettatore di ogni epoca.
Frankenstein Junior o l'arte di ridere facendo le cose serie
Frankenstein Junior non riuscirà mai ad eguagliare la popolarità del romanzo di Mary Shelley, ma molte volte (e per molte generazioni) è stato il primo film a cui si pensa quando si collega la celebre storia al cinema. Un oggetto più che di culto, quasi oseremo dire religioso, conosciuto a memoria, sciorinato come un Ave Maria, per la brillantezza del soggetto (firmato da Mel Brooks insieme proprio a Wilder), per la prova degli attori, per l'incredibile cura filologica e, soprattutto, per la capacità di riportare in scena, sebbene ribaltati, gli archetipi primordiali dell'opera, come la questione irrisolta tra scienza e Dio.
Brooks crea un film che è sia parodia che omaggio e lo fa donando al genere una collocazione linguistica, prima ancora che storica, rivolgendosi allo spettatore intavolando un discorso metacinematografico talmente potente da non dover essere mai esplicitato. L'immaginario della pellicola si rifà infatti all'horror gotico, richiamando quello del dittico di James Whale degli anni Trenta, Frankenstein e La moglie di Frankenstein, ma miscelato con le colonne sonore, i close up e le dissolvenze provenienti quando dal cinema est europeo, quando dal cinema da Golden Age hollywoodiana. Tutti immaginari assimilati, digeriti e immediatamente riconoscibili dal pubblico.
Quella di Frankenstein Junior è una sinfonia polifonica, ma coerente, suonata in un contesto culturale e narrativo formato senza ammiccare una volta sola (anzi si, una sola volta) che rende ogni sequenza cult, mentre opera una campagna iconoclastica totale. La parodia diventa il linguaggio perfetto per smascherare tutte le forzature, le storture, le idee desuete della matrice letteraria, le quali, private della loro sacralità, diventano dei meccanismi per leggere il contemporaneo, dalla politica, alla borghesia, passando per il peso della verginità e l'eredità familiare. Il più alto esempio di una demenzialità che va oltre la risata fine a se stessa, utilizzando in modo serio ciò che si sta prendendo in giro.