"E figli so' ffigli", recita nel celebre monologo della Madonna delle Rose una delle più iconiche battute di Filumena Marturano, eroina protofemminista nata nel 1946 dalla penna irriducibile e scaltra di Eduardo De Filippo, che aveva scritto quel ruolo appositamente per la sorella Titina De Filippo. Una commedia di straordinaria modernità ed un personaggio intramontabile che qualche anno dopo avrebbe portato Eduardo al cinema con il film omonimo del 1951. Da quel momento per circa settant'anni Filumena Marturano ha continuato a vivere in un' innumerevole quantità di adattamenti tra palcoscenico, tv e cinema e oggi dodici anni dopo l'ultima trasposizione televisiva (con Massimo Ranieri e Mariangela Melato) torna su Raiuno (il prossimo 20 dicembre) nell'ambito dell'ambizioso progetto "Collection De Filippo", culminato nel 2020 in Natale in Casa Cupiello e nel 2021 in Sabato, domenica e lunedì per la regia di Edoardo De Angelis. Questa volta tocca a Francesco Amato misurarsi con un caposaldo del teatro eduardiano, firmando un lavoro di adattamento perfettamente riuscito e rispettoso (come proveremo a spiegarvi meglio nella recensione di Filumena Marturano).
L'eredità di un passato illustre
Senza stravolgere il testo originale, Francesco Amato (18 regali, Imma Tataranni - Sostituto procuratore) realizza la sua personalissima Filumena Marturano, fondendo il linguaggio televisivo e quello teatrale in una sintesi di straordinaria efficacia. Alle spalle pesano certamente i fantasmi dei precedenti adattamenti: dalla trasposizione cinematografica dello stesso Eduardo De Filippo alla versione del 1964 di Vittorio De Sica con Sophia Loren e Marcello Mastroianni in quel Matrimonio all'italiana destinato a dominare a lungo l'immaginario collettivo e a regalare alla storia e ai personaggi una vita nuova, quasi autonoma rispetto al testo edoardiano. Per non parlare poi degli sceneggiati televisivi: nel 1962 la pesante eredità fu raccolta da Regina Bianchi, sempre accanto a Eduardo, mentre quasi cinquant'anni dopo nel 2010 ci provarono Massimo Ranieri e Mariangela Melato.
Il regista di Imma Tataranni non si lascia però fagocitare dai suoi illustri predecessori e con un gruppo di sceneggiatori (Massimo Gaudioso, Filippo Gili) attento a non farne delle copie carbone o delle asettiche riproposizioni filologiche, trova la chiave giusta per riproporre la commedia di De Filippo al pubblico contemporaneo, con una sua anima e una propria identità. Al di là di qualsiasi approccio ideologico è il melodramma a guidare le scelte degli autori, in un riso amaro costante dove l'imperativo è la tenerezza. Così una Filumena Marturano più attuale che mai rivive sullo schermo attingendo a piene mani alle scene iconiche delle trasposizioni del passato, citando De Sica ma soprattutto mantenendo come riferimento costante l'adattamento del 1951, per stessa ammissione del regista.
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Filumena Marturano: una storia che sopravvive al tempo
La storia è quella che tutti conosciamo, tramandata da decenni di rappresentazioni teatrali, cinematografiche e televisive: Filumena Marturano è una ex "malafemmina", che da anni convive con un ricco pasticcere Domenico Soriano, di cui amministra gli affari e la casa. Si sono conosciuti venti anni prima, quando Filumena faceva la prostituta nei bassi di Napoli e Domenico era un cliente del bordello dove la ragazza prestava servizio. Oggi mentre lui continua fare la bella vita e a corteggiare giovani fanciulle di buona famiglia, Filumena governa le sue attività, ma stanca dell'ennesima notte brava decide di fingersi in punto di morte per costringerlo a sposarla. Subito dopo la celebrazione del matrimonio Domenico scopre l'inganno e ne chiede l'annullamento, ma Filumena gli rivela di avere tre figli, di averli cresciuti in segreto "rubando i suoi denari dal portafogli" e che uno dei tre è in realtà suo.
Vanessa Scalera e Massimiliano Gallo: tra perdono, miseria e umanità
Filumena Marturano è una donna che la gioia di piangere non l'ha mai avuta, una popolana dalla mente scaltra indurita dalla vita che non le ha lasciato molte possibilità se non quella di agire per il bene dei figli, perché "'E figli so' ffigli. E so' tutti eguali". Tocca a Vanessa Scalera farla rivivere in tutte le sue sfumature; l'interprete di Imma Tataranni, che ancora una volta divide la scena con Massimiliano Gallo, riesce a costruire la sua Filumena con il rigore e la compostezza di Titina De Filippo e la dolenza e la schiettezza di Sophia Loren. Ma soprattutto non ha paura di aggiungere alcune sue personalissime inclinazioni: un'improvvisa e trattenuta smorfia di dolore nel volto, un gesto delle dita che stringono nervosamente un mozzicone di sigaretta, i silenzi, le pause o gli occhi persi nel vuoto mentre ricorda un passato che gli autori hanno il coraggio di rievocare tramite brevi flashback. Dall'altra parte pronto ad assecondarne ritmi e a dominare lo spazio c'è Gallo, il suo Domenico Soriano vanesio e narcisista è onnipresente.
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Tra i due va in scena un gioco di sguardi e riflessi, in una storia di miseria, passione e perdono; Eduardo De Filippo e il suo teatro rimangono sempre al centro della messa in scena che non si sposta di un millimetro dal suo baricentro. Amato ha la capacità di rivitalizzare la commedia eduardiana, insieme agli sceneggiatori sceglie ad esempio di regalare a Diana, la giovane promessa di Domenico Soriano, uno spazio e un background inesistenti nell'originale, arricchisce la storia di rimandi alla modernità e rende la sua Filumena Marturano estremamente attuale: scaltra, determinata, ma anche solitaria, dolente e fragile, capace di farsi strada in un mondo di uomini, una figura alla quale il regista è stato in grado di restituire un vigore inaspettato oltre la patina del semplice teatro in televisione. Merito di un testo che sopravvive all'usura del tempo, di un gruppo di interpreti in stato di grazia e di una squadra di autori che ha saputo osare. È il trionfo dell'umanesimo.
Conclusioni
Francesco Amato riesce a rivitalizzare la commedia eduardiana senza stravolgerla, come abbiamo già ampiamente sostenuto nella recensione di Filumena Marturano: le regala un’identità ben precisa grazie a un gruppo di sceneggiatori che sceglie di osare pur nel pieno rispetto dell’originale, che per il regista è stato il film omonimo del 1951 diretto e interpretato dallo stesso Eduardo De Filippo. Merito di un lavoro minuzioso, di prove e aggiustamenti che hanno guidato una straordinaria coppia di interpreti: Vanessa Scalera e Massimiliano Gallo in scena fanno scintille dando forma a una tensione continua. A fare da traino è il melodramma ed una tenerezza infinita che sottende composta e trattenuta all’intera storia.
Perché ci piace
- La capacità di Francesco Amato di osare e rivitalizzare il testo eduardiano, pur rimanendovi fedele.
- Il regista di Imma Tataranni riesce così a creare la sua personalissima Filumena Marturano e portarla al pubblico contemporaneo.
- Con i loro sguardi, i silenzi, le pause Massimiliano Gallo e Vanessa Scalera, rispettivamente Domenico e Filumena, regalano un’interpretazione credibile e rispettosissima, facendo propria la lezione di Eduardo e Titina De Filippo.
- Un adattamento che non ha paura di osare e trovare una propria identità.
Cosa non va
- Pur essendo una scelta coraggiosa, la scelta di inserire dei flashback per rievocare alcuni momenti del passato di Filumena rischia di interrompere il flusso delle emozioni.