Filippo Nigro si racconta a Giffoni

Artista sensibile e attento ai problemi sociali, al cinema d'impegno, ma anche desideroso di varietà nei generi. L'attore, in cerca di nuove sfide sul piano umano e professionale, si prepara a tornare in teatro.

Lo abbiamo visto interpretare tanti ruoli diversi al cinema e in televisione. Filippo Nigro è uno degli attori più versatili e appassionati del nostro cinema, capace di fare scelte difficili e di mettersi al servizio di personaggi non sempre amabili. Dopo le polemiche sollevate dal discusso E la chiamano estate di Paolo Franchi, l'anno prossimo l'attore romano tornerà sul palcoscenico con una commedia perfettamente in tema con la 43esima edizione del Giffoni Film Festival, The reasons to be pretty di Neil LaBute. Giffoni è l'occasione per incontrarlo e sentirlo raccontarsi a 360 gradi, parlando di politica, società e del suo approccio personale al mestiere dell'attore, scelto per caso durante l'università è mai più abbandonato.

Filippo, la tua carriera è nata in modo fortuito. Dopo aver studiato Storia Medievale, sei passato al Centro Sperimentale. Non volevi fare l'attore da sempre.
Filippo Nigro: Ho sempre fatto tante cose contemporaneamente. Durante l'università facevo il servizio civile e non pensavo proprio a fare l'attore. La vocazione mi è venuta dopo. Ho fatto il provino per entrare al Centro Sperimentale e mi hanno preso. Il primo anno è stato molto sofferto perché ero pieno di dubbi, ma poi sono riuscito a trovare il mio equilibrio.

In Diverso da chi? hai interpretato un omosessuale. In questo periodo i temi del matrimonio e dell'adozione omosessuale sono attualissimi. Quale è il tuo pensiero al riguardo?
Io ho sempre pensato che la famiglia è là dove c'è amore. I figli possono essere cresciuti da due persone che si amano, indipendentemente dal loro sesso. Non vedo il problema, che però, in un paese come l'Italia, durerà ancora a lungo.

Per un attore quanto è importante la sceneggiatura? E che ruolo ha l'improvvisazione?
Se trovo un ruolo che mi piace, ma il soggetto è scritto malissimo non lo accetto. E' difficile amare un personaggio in una storia che presenta lacune. Per me la scrittura è molto importante, anche se è vero che un attore lavora sempre sullo script per farlo proprio.

In Amore che vieni, amore che vai interpreti l'inedito ruolo di un prete. Amore che viene, amore che va è un film particolare. L'ispirazione nasce da un brano di De Andrè, ma è anche un heist movie. Per prepararsi a un ruolo spesso in Italia abbiamo il minimo del tempo disponibile. Negli Stati Uniti ci sono attori che si preparano per mesi, addirittura per anni, per un ruolo, ma qui spesso abbiamo solo due settimane di tempo. Ho amato molto girare Amore che viene, amore che va, ma è stato girato in grande emergenza.

Ti senti più a tuo agio in ruoli comici o drammatici?
I ruoli mi possono piacere a prescindere dal genere. C'è stato un momento in cui volevo fare delle commedie e ci sono riuscito con Diverso da chi e Amore, bugie e calcetto che sono film in cui spesso ho giocato sul contrasto tra risate e lacrime. In realtà quando mi arriva un copione spero solo che sia bello.

Tra il cinema e la televisione hai vissuto un'importante esperienza teatrale con Occidente solitario. Com'è andata la tournee?
Questa è stata la mia prima tournée nazionale. Non avevo mai fatto un'esperienza cone questa, perché spesso il teatro spaventa gli attori abituati a cinema e tv. E stato un rischio, ma è andata benissimo. Mi piaceva il testo, mi piaceva stare in scena e me la sono giocata. Abbiamo fatto 140 repliche.

Poco fa ci hai detto che gli attori italiani hanno poco tempo per prepararsi a un ruolo, ma so che per R.I.S. - Delitti imperfetti non è andata così.
In effetti il primo anno c'è stato un addestramento del cast che ha imparato una serie di nozioni pratiche, per esempio si è abituato a maneggiare strumenti del mestiere come il Luminol. Io l'addestramento non l'ho fatto perché stavo girando un film e sono arrivato solo alla fine delle lezioni, ma era molto utile perciò ho recuperato dopo.

Quale è stato il personaggio più difficile da interpretare?
Non ti saprei risapondere. A volte il personaggio hai la sensazione di trovarlo mentre fai il film. Ne La finestra di fronte avevo un grande carico di responsabilità, ero l'unico attore sconosciuto nel cast, i produttori volevano un altro nome e Ozpetek ha deciso comunque di affidare a me la parte. Ho sofferto tanto perché sentivo molta pressione. Avevo paura di deludere il regista e i produttori perché era un film molto importante.

Cosa ne pensi del motto di Giffoni, 'forever young'?
A metà gennaio farò uno spettacolo di Neil LaBute, un autore americano che ha firmato una trilogia sull'estetica. La provocazione del testo parte da una coppia che si lascia perché la moglie scopre che il marito ha detto ad altre persone che lei è brutta. Oggi nella nostra società c'è una spinta verso questi standard altissimi che poi rendono le persone infelici perché non si sentono mai all'altezza. Non importa ricorrere a chirurgia e altri strumenti. Forever young lo sei dentro.

Come riesci a separare lavoro e vita privata? Ti capita mai di portare un po' dei tuoi personaggi a casa?
E' impossibile separare lavoro e privato. Durante A.C.A.B. mia moglie aspettava il terzo figlio e in quel periodo ero più nervoso, aggressivo. Lavoravo sul personaggio e mi era rimasto un po' addosso. Quando preparavo il film siamo stati a lungo a contatto con i celerini che ci hanno aiutato e sono stati molto utili per permetterci di capire la realtà di quel lavoro. Non li voglio assolutamente giustificare, ma ho cercato di capire da dove nasce la violenza. In quei casi, spesso c'è uno scollamento della società. Molti di loro sono frustrati perché vengono isolati, fanno un lavoro sporco, sono scudi umani. Rappresentano la legalità, ma sono odiati da tutti. La violenza genera violenza. Se tu sei in un squadra armata la violenza dilaga. Abbiamo fatto delle simulazioni sul set con i poliziotti veri e a un certo punto l'adrenalina è esplosa. Le persone più fragili, sotto il sole, vestiti e armati di caschi, di fronte alle persone che li insultano e gli sputano addosso, possono impazzire.

Secondo te il cinema deve mostrare la violenza, anche a rischio di sembrare diseducativo?
Il cinema deve raccontare storie di ogni tipo e la violenza, purtroppo, fa parte della realtà. Mi chiedo perché in Italia, all'opposto, non si facciano film disneyani come Mrs. Doubtfire - Mammo per sempre o Mamma, ho perso l'aereo. Quello è un filone che in Italia non esiste. Non sono capolavori, ma sono film che fanno soldi, portano tanta gente al cinema, li vedi con i genitori. In Italia abbiamo questo ricordo di cinema autoriale che è un po' soffocante e ci impedisce di dedicarci a generi diversi. .